La Peace School Mario Paciolla è dunque finita, dopo 4 giorni di continui incontri, dibattiti, discussioni, confronti tra i tirocinanti, i 46 corsisti e i tanti ospiti che sono intervenuti a offrirci le loro storie per questo meeting che non ha nulla di scontato.

Adesso è tornata la calma, la calma della guerra che è alle porte di casa e ci circonda, dell’indifferenza dell’Europa e dell’ipocrisia dei governi asserviti alla Nato. Dicono che è tornata la Pace, ma ne abbiamo sentita molta di più noi, in quell’aula del Maschio Angioino di Napoli dove abbiamo vissuto 4 giorni con i reduci di Ucraina e Palestina o con chi si collegava con noi dalla Cisgiordania per dirci di continuare a parlare ai giovani, a promuovere le professioni della Pace perché la vergogna della guerra finisca per sempre. E’ stata una meravigliosa esperienza, qualcosa che non ci aspettavamo neppure noi che l’avevamo pensata e costruita.

Mentre la preparavamo, sentivamo che questa Scuola di Pace era un modo per rispondere all’esigenza che ci attanagliava davanti alle immagini strazianti del genocidio di Gaza. Volevamo dare una risposta piccola ma concreta all’indifferenza dei grandi media, che da due anni ci fanno vedere le case che crollano sotto le bombe, la gente fatta a pezzi dai droni e dalle armi intelligenti, i bambini uccisi come bambole rotte tra le braccia di genitori disperati e attorno a tutto questo ci mostrano il diritto internazionale irriso e la pietà umana cancellata dalle parole e dai gesti. Per noi, che parliamo da sempre di Diritti Umani, questo spettacolo quotidiano è un’onta inaccettabile, ora che non c’è più neppure il vecchio Papa che ci rampognava con i suoi richiami; adesso anche la sede di Pietro emana un silenzio di chi sa già tutto e deve pensare ad altro. Insomma, a guardare la televisione, pare che la storia stia facendo il suo corso e dobbiamo rassegnarci alle regole del più forte.

Noi invece, a Napoli, forti della sensibilità di un Ateneo antico e moderno al tempo stesso, l’Orientale, che ci ha seguito fin dalle prime intuizioni del nostro Festival, abbiamo deciso che qualcosa andava detta, ma non al governo, occupato a compiacere l’uomo più potente del mondo, piuttosto a chi domani avrà il compito di scegliere dove portare le sue gambe, dove e come vivere la propria vita. Ci sono milioni di giovani che con le loro scelte di vita e di lavoratori, di elettori, consumatori e cittadini coscienti, porteranno il mondo da qualche parte, speriamo oltre questo buio disumano che ha offuscato i nostri giorni, ed è a loro che abbiamo parlato con quanta voce abbiamo.

Sappiamo perfettamente che nelle scuole di tutt’Italia, dalle Alpi al mare, è in corso già da alcuni anni una campagna di reclutamento di giovani, soprattutto provenienti da famiglie povere, a cui importanti aziende produttrici di armi e prodotti bellici stanno prospettando assunzioni a tempi brevi, con stipendi più che decenti, per rimpinguare le fila dell’impresa silenziosa che progetta e costruisce sistemi militari, per difendere, a quanto affermano costoro, la nostra Repubblica. E questo è vero fino ad un certo punto, perché le armi italiane sono vendute in tutte le guerre che insanguinano il mondo. Davanti a questa propaganda strisciante e ambigua, è tempo che anche chi difende la Pace e i Diritti prenda l’iniziativa e la parola, visto che nella scuola e nell’università questo messaggio stenta ad arrivare ai giovani, e dimostri che si può vivere (anche meglio) senza contribuire al mercato della guerra.  Anche a questo la Peace School ha voluto dare una risposta.

Ai giovani che hanno aderito al nostro invito abbiamo voluto mostrare con un esempio, piccolo ma concreto, quanta luce ci sia ancora da portare sulla verità e lo abbiamo fatto raccogliendo una piccola squadra di volenterosi studenti universitari, 46 per la precisione, che sono venuti per 4 giorni di seguito a conoscere alcune realtà coraggiose di cui pochi parlano e di cui scuola e università non hanno mai tracciato un profilo. Noi, alla fine, lo abbiamo fatto e abbiamo portato una nutrita rappresentanza di questi “altri mondi possibili” a Napoli, per ascoltare come i loro attori protagonisti hanno vissuto le loro vite tra guerre, conflitti, odi e contrapposizioni esasperate, sentendosi semplici lavoratori, gente comune che ha appreso una professione o acquisito un titolo di studio e poi ha scelto una direzione precisa: quella della Pace.

Un Festival cinematografico che ha fatto dell’azione il suo linguaggio preferito e un Ateneo che contiene da sempre germi di internazionalismo sociale, culturale e politico si sono messi insieme per dire qualcosa che non era mai stato detto prima, con parole semplici e immediate: che si può vivere di Pace, che la Pace può essere un lavoro.

L’originalità di questa prima edizione della Peace School napoletana è il primo carattere da mettere in evidenza e non siamo noi a farcene vanto o a millantare un primato inesistente; sono stati gli operatori di Pace che abbiamo invitato a dircelo senza mezze misure: “Non abbiamo mai partecipato a una rassegna di esperienze come questa”. E i parametri con cui oggi proviamo a fare un bilancio, un resoconto di ciò che abbiamo vissuto, sono pochi e semplici e non partono dalle quantità dei consensi, che pure ci sono stati, ma dalle espressioni che gli stessi corsisti hanno usato per salutarci alla fine di questa prima esperienza.

Le parole più usate da questi giovani sono state “speranza”, “scoperta”, “alternativa”, per dire che ai loro sensi si è rivelata una realtà possibile e non lontana, prima sconosciuta, che opera ogni giorno, animata da migliaia di persone normali, che produce solidarietà e progetti di Pace che danno frutti evidenti e misurabili, che diffonde una cultura nuova del fare e del pensare, che non ha nulla a che vedere con la forza, la guerra, le armi. Anzi, può essere la base di un nuovo Sistema di Sviluppo globale che non si misura con il reddito lordo, ma con la qualità della vita e dell’ambiente del pianeta che è la nostra casa e sarà la casa di chi verrà dopo di noi.

Tutto questo si chiama Pace, perché si traduce in un’espressione semplice da pronunciare ma difficile da declinare: convivenza pacifica. E’ il progetto che ci avevano lasciato le generazioni che ci hanno preceduto e che abbiamo smarrito nel fumo delle guerre e delle ideologie, nel ritorno alla logica della forza e dei blocchi, è la nostra memoria che oggi i potenti del mondo deridono e calpestano.

A Napoli per 4 giorni, alla Peace School Mario Paciolla, si è sentita solo la voce di chi ha scelto la Pace come bussola della propria esistenza, lavora per questo e vive di questo. Quindici organizzazioni, tra Atenei, Scuole di pace, Associazioni e Organizzazioni Non Governative, si sono succedute ai nostri microfoni per ribadire che queste parole non sono utopie e illusioni per un domani diverso, ma sono realtà operative già oggi, ipocritamente oscurate dall’ informazione e dalle stesse istituzioni che dovrebbero promuovere questi percorsi formativi, questi lavori nobili, e disseminarne i principi tra le giovani generazioni.

A guidare la schiera dei nostri partner non poteva che essere l’ONU, l’organismo posto 80 anni fa a tutela della Pace mondiale, della Cooperazione, del Multilateralismo, dei Diritti Umani. Benché aggredito e spesso neutralizzato, l’ONU è ancora la massima espressione di questo equilibrio sognato e mai compiutamente raggiunto; è una istituzione unica che va riformata per curare la sua deriva etica, ma non cancellata.

L’Ufficio UPeace di Roma, nato solo pochi mesi fa e collegato all’Università ONU del Costa Rica, ci ha accompagnato in questo primo esperimento che, per noi, nati in questa terra del sud, non poteva non essere dedicato ad un giovane cooperante che in questi valori ha forgiato la sua esistenza, Mario Paciolla, difendendoli fino al sacrificio finale. A lui va il nostro rispetto e la nostra ammirazione, è lui che abbiamo additato ai nostri giovani corsisti e, nel suo nome, abbiamo sentito anche il dovere di chiedere quella giustizia che non gli è stata concessa dal governo italiano, dalla sua magistratura e dalle stesse Nazioni Unite che sono complici silenti del suo omicidio.  Questa Scuola è l’ennesimo nostro contributo alla lotta dei familiari di Mario per ottenere giustizia e verità sulla sua fine.

Per questo, non potevamo chiudere la nostra Scuola senza interrogare alcuni giornalisti e giuristi sul senso del rischio connesso a queste professioni e sulle garanzie che il diritto internazionale deve assicurare a chi mette la propria vita al servizio della Pace, accettando di operare in contesti di guerra o di conflitto. E l’applauso finale dei nostri giovani ci ha ripagato di tanta fatica, suggellando un legame che speriamo potrà continuare negli anni a venire.

Sono state le ultime parole che abbiamo ascoltato dai genitori di Mario e da coloro, giuristi e giornalisti d’inchiesta, che seguono le indagini più complesse per giungere alla verità su queste storie, a consegnarci il testimone da lasciare alla prossima edizione che vorremmo ancora più intensa e frequentata, più ricca di contributi e racconti, come il nostro Festival, che l’ha ispirata con le storie dei popoli oppressi e degli attivisti perseguitati che vedono nel nostro impegno  uno spiraglio di luce verso un mondo più libero.

Il nostro nuovo traguardo sarà costituire un nucleo di promotori che dovrà tentare di costruire il futuro della Peace School Mario Paciolla, per servire i giovani di domani, per non dimenticare Mario, la sua professione, i suoi sogni.

 

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