Si sbaglia a chiamarlo progetto del Ponte sullo Stretto, criticandolo solo localmente, perché così si riduce la portata strategica dell’impresa a una semplice questione territoriale, oscurandone la funzione di snodo europeo e mediterraneo.

I soldi già stanziati, con altri in arrivo, sono oggi i seguenti:

  • Salerno–Reggio Calabria (alta velocità): 17 miliardi
  • Messina–Catania–Palermo (alta capacità): 13 miliardi
  • Raccordi e opere accessorie del Ponte: 8 miliardi
  • Ponte sullo Stretto: 5 miliardi

Non vorrei sembrare fissato, ma io ci aggiungerei anche i piani delle aree metropolitane per la mobilità integrata (tram, sottopassi, svincoli, parcheggi…) come pure il recupero e la ristrutturazione dei proti, la gestione delle discariche e il riciclo… è lo stesso errore, forse inevitabile, vedere solo i singoli capitoli di una serie che programma più di una stagione passeggera.

Ma anche solo il ponte basterebbe a vedere la continuità, un disegno che a detta di tanti oppositori mancherebbe, mentre è proprio quello il punto di forza del progetto. In quest’ottica le criticità tecniche passano tutte in secondo piano, devono essere appianate.

Dicono che il “Ponte non è un’eccezione ma il tassello conclusivo di un mosaico che rivoluzionerà la mobilità del Mezzogiorno e dell’intero Paese, con benefici diretti per cittadini, imprese, turismo e scambi commerciali. Non comprenderlo significa perdere di vista la visione d’insieme: un’Italia finalmente più connessa, più competitiva e più unita”.

Ebbene, non mentono ed è giusto che sia la Lega ad esserne la principale madrina, completando il passaggio dall’originario rapporto localistico e regionale coi territori del nord ovest ad un lucido e complessivo progetto politico e sociale. Tra filiazione e affiliazione che sia una nuova famiglia, o una sacra corona quella che li tiene insieme, non è un problema. Si fa con quello che c’è. Piovra o Suburra, cambia poco, si somigliano e hanno lo stesso copione. Hai il governo e affidi le opere, trasformi il bilancio in strumenti del debito e capitalizzi i consensi. Socializzi le perdite e privatizzi i profitti. Nei casi estremi la violenza si vede, per il resto la usi.

Milano chiama Palermo, ma vale per Roma o Reggio Calabria, se non è un ponte è uno Stadio. Bisogna solo capire quali gruppi organizzati saranno i decisori e poi negoziare sulle piazze di spaccio o delle mercature.

Il politico è parassita, ma ha ancora la paternità di questo bastardo. Ce l’ha finché sarà la democrazia la cornice e una maggioranza a scegliere chi passa all’anagrafe a registrare il pupo.

Il pupo di questa stagione sono 50 miliardi di euro. Chi se ne potrà arrogare il titolo e incassare gli interessi? In questo Fratelli d’Italia contende alla Lega un affidamento di lungo termine, magari a passo alternato, ma con lo stesso disegno: “mobilità” dei flussi finanziari e unità nazionale per il controllo delle stazioni appaltanti. A Forza Italia e al berlusconismo si potrebbe riconoscere il merito di aver fatto questa Italia, ma – a differenza della Francia – da noi hanno passato il testimone alle destre. L’Italia è fatta, ma a loro resta il compito di finirla facendo gli italiani.

Appendicite

Il ponte è impiattato come un segno di pace, di integrazione e progresso. Rientra in quella vecchia ricetta del “fare” di cui le destre hanno non l’esclusiva (vedi Emilia Romagna e Lombardia), ma sicuramente una buona tradizione. Però le grandi opere come questa possono rapidamente cambiare la loro copertina, salvando la ciccia; e in presenza di venti di guerra prestarsi a ben altre logistiche. In fondo quel che conta sono i cantieri, il viaggio e non la meta. Fin qui l’atlantismo, quello di Draghi ieri e il trumpismo oggi, o la vecchia DC, il craxismo o il campo largo… come in Borgen, il potere (una serie su Netflix) non più ha un rapporto intimo con una ideologia, sebbene ne debba vantare uno per quella ragione discorsiva che lo vincola al successo elettorale. Almeno finora.