ABSTRACT
Per Giorgia Meloni, che ha espresso sgomento, l’ennesimo naufragio a sud ovest di Lampedusa “nonostante un dispositivo internazionale pronto e operativo ci avverte, […] che il doveroso intervento di soccorso non è una misura sufficiente e, soprattutto, non risolve le cause del drammatico problema”. Ma quale sgomento? Trafficanti inumani, o governo inumano, che ferma o allontana le navi e gli aerei del soccorso civile e qualifica queste traversate come “eventi di immigrazione illegale” fino a quando le persone non finiscono in acqua ? Oppure fino a quando in acque internazionali non arriva una motovedetta libica a sequestrare i naufraghi ed a riportarli nei campi di detenzione gestiti da milizie e trafficanti, dai quali sono fuggiti.
La dinamica esatta del doppio naufragio rimane ancora poco chiara, ma non si può negare la presenza di un imponente apparato di sorveglianza e soccorso. Le attività SAR (ricerca e salvataggio), per quanto si apprende, sono state coordinate dal Centro secondario di soccorso marittimo (MRSC – Maritime Rescue Sub Center) di Palermo, e non dalla Centrale di coordinamento della Guardia costiera di Roma (IMRCC), anche se le operazioni si sono svolte in misura prevalente in acque internazionali. Secondo quanto dichiarato da Flavio Di Giacomo dell’OIM, è inadeguato il pattugliamento, il soccorso, il salvataggio. Non da oggi, ma da tempo. Serve rafforzare il sistema europeo di pattugliamento, perché è quello che salva le vite e porta le persone in un porto sicuro e non in Libia. Con queste abbiamo superato le 700 vittime dall’inizio dell’anno”.
Da anni gli eventi di ricerca e salvataggio (SAR) sono scambiati per eventi di immigrazione illegale, è il modulo Cutro, deciso da tavoli tecnici interministeriali, sotto l’egida dei ministri di turno. In un documento proveniente dalla Centrale di Coordinamento della Guardia costiera italiana (IMRCC), a partire da “tavoli tecnici interministeriali” che si sarebbero tenuti nel 2022, si stabilivano nuove regole di ingaggio per le attività di ricerca e soccorso in acque internazionali che avrebbero limitato gli interventi immediati dei mezzi della stessa Guardia costiera al di fuori del limite delle acque territoriali (12 miglia dalla costa). Mentre la Guardia di finanza pattuglia la cd. zona contigua, da 12 a 24 miglia dalla costa, con compiti di vigilanza e prevenzione.
Fino a quando il Nucleo centrale di coordinamento del Ministero dell’interno (NCC) e la Centrale di coordinamento della Guardia costiera (IMRCC) non classificano un intervento come evento di soccorso (SAR), si tratta soltanto di tentativi di immigrazione illegale, che in acque internazionali vengono tracciati, o ombreggiati a distanza senza intervenire, fino a quando i barconi non entrano nelle nostre acque territoriali. Un modulo di intervento a scopo di intercettazione, ma anche di soccorso ritardato, che coinvolge anche gli assetti aerei e i mezzi navali di Frontex, che nel corso degli anni ha prodotto fin troppe vittime, non solo a Cutro.
Tanti, forse anche i naufraghi annegati mercoledì 13 agosto, che le navi delle ONG avrebbero potuto salvare, sono stati condannati a morte, lasciati morire per abbandono, quando si poteva intervenire tempestivamente in acque internazionali, anche all’interno di una zona SAR libica che si rivela niente di più che una finzione, mentre i maltesi non intervengono al di fuori delle loro acque territoriali, nella immensa zona SAR che ancora oggi gli si riconosce. In ogni caso, come riconosce anche la Corte costituzionale (sentenza n. 101/2025), con riferimento agli obblighi di soccorso imposti a carico degli Stati dalla Convenzione SAR del 1979, “la mancata attivazione dello Stato competente non elide la responsabilità degli altri Stati che fanno parte della Convenzione, chiamati a collaborare per far fronte alle impellenti necessità dei naufraghi, nella maniera più tempestiva ed efficace”.
Forse si potevano lasciare operare le navi delle ONG nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale, senza forzare interpretazioni delle norme sui fermi amministrativi per delegare i soccorsi alle motovedette libiche, o a unità commerciali di diversa nazionalità, magari indotte a dirigersi verso un porto libico che, al pari dei porti tunisini, non può qualificarsi, in base ai parametri forniti dalla Consulta, come un “porto sicuro”, con la possibilità di configurare casi di vera e propria omissione di soccorso.
Fino a quando non si garantiranno condizioni di sopravvivenza dignitosa nei paesi di transito, con un accesso effettivo al diritto di asilo, non sarà certo possibile “prevenire i viaggi in mare” come afferma il ministro Piantedosi. Da ultimo un provvedimento di fermo amministrativo adottato dall’ENAC, e dunque dal ministero dei trasporti, ha bloccato a terra un aereo della flotta civile che in passato, oltre ad essere stato presente nel corso di respingimenti collettivi illegali delegati in acque internazionali ai libici, aveva contribuito alla individuazione ed al soccorso tempestivo di migliaia di persone, che senza quell’avvistamento avrebbero potuto fare naufragio, come si è verificato ancora per l’ennesima volta.
Vedremo quale sarà il bollettino vittorioso che sul fonte della “lotta all’immigrazione illegale”, il giorno di ferragosto arriverà come di consueto dal Viminale. Certo se riusciranno a nascondere la vergogna per il caso Almasri, sarà ben difficile che non provino vergogna di fronte a queste decine di vittime, persone che hanno perso la vita non certo per colpa dei trafficanti, lasciati liberi di operare nei paesi di partenza, o dello scafista di turno, capro espiatorio che presto sarà offerto in pasto al pubblico degli elettori, ma per effetto di politiche della deterrenza che dimostrano ancora oggi a loro totale inefficacia e tutta la loro disumanità.
1. Per Giorgia Meloni, che ha espresso “sgomento”, l’ennesimo naufragio a sud ovest di Lampedusa “nonostante un dispositivo internazionale pronto e operativo ci avverta […] che il doveroso intervento di soccorso non è una misura sufficiente e, soprattutto, non risolve le cause del drammatico problema”. Se lasciamo da parte il fallimento del Piano Mattei per l’Africa, che avrebbe dovuto ridurre le partenze, come gli accordi con governi che non rispettano i diritti umani, con la Tunisia, la Libia e l’Egitto, il “dispositivo internazionale pronto e operativo”, di cui con una dichiarazione fotocopia parla anche il ministro Piantedosi, non è finalizzato certo al salvataggio, ma appare mirato soprattutto alla intercettazione di naufraghi in acque internazionali, in modo da evitare che raggiungano le coste italiane, e possibilmente al loro respingimento verso le coste dalle quali sono partiti. Il “problema” davvero “drammatico” è costituito dall’abbattimento degli obblighi di soccorso e di sbarco in un porto sicuro a carico degli Stati costieri nel Mediterraneo centrale, la rotta migratoria più pericolosa del mondo.
Ma quale sgomento? Trafficanti inumani, o governo inumano, che ferma o allontana le navi e gli aerei del soccorso civile e qualifica queste traversate come “eventi di immigrazione illegale” fino a quando le persone non finiscono in acqua? Oppure fino a quando in acque internazionali non arriva una motovedetta libica a sequestrare i naufraghi ed a riportarli nei campi di detenzione gestiti da milizie e trafficanti, dai quali sono fuggiti.
Oltre 10 mila persone migranti che erano riuscite a tentare la traversata del Mediterraneo centrale, nel corso di quest’anno, secondo i dati diffusi dall’IOM a giugno, sono state fermate in alto mare e respinte collettivamente in Libia, grazie alla proficua collaborazione tra le autorità europee ed i guardiacoste armati del governo “provvisorio” di Tripoli, o delle milizie che controllano la Cirenaica, sotto il comando ferreo del generale Haftar, con cui l’Italia ha intensificato la collaborazione all’insegna del “contrasto dell’immigrazione illegale”. Ma le vittime, anche tenendo conto del numero delle partenze, sono ancora aumentate. Come due uomini della Guinea e un minore del Camerun, annegati sulle rotte del Mediterraneo centrale, ignorati da quasi tutti i mezzi di informazione, appena quattro giorni fa.
2. Questi ultimi barconi, affondati quando erano già vicini a Lampedusa, erano partiti da Tripoli, secondo altre fonti da Zawya, poco dopo l’ennesima “eruzione” della vicenda Almasri, sulla quale dovrà pronunciarsi il Parlamento, dopo la richiesta di autorizzazione a procedere avanzata dal Tribunale dei ministri nei confronti di Nordio, di Piantedosi e di Mantovano. Una strage che non sarà maturata all’improvviso. Prima un barcone ha cominciato a fare acqua ed è affondato, poi un secondo barcone sul quale si erano aggrappati alcuni naufraghi si è capovolto a 14 miglia sud ovest di Lampedusa, in piena zona SAR (ricerca e salvataggio) italiana, a sole due miglia dal limite delle acque territoriali italiane (12 miglia dalla costa), con 27 morti accertati ed un numero ancora imprecisato, forse anche più di 20, di dispersi.
La dinamica esatta rimane ancora poco chiara, ma sul luogo del naufragio non si può negare la presenza di un imponente apparato di sorveglianza e soccorso. Le attività SAR (ricerca e salvataggio), per quanto si apprende, sono state coordinate dal Centro secondario di soccorso marittimo (MRSC – Maritime Rescue Sub Center) di Palermo, e non dalla Centrale di coordinamento della Guardia costiera di Roma (IMRCC), anche se le operazioni si sono svolte in misura prevalente in acque internazionali.
Secondo “fonti qualificate”, riportate il 13 agosto da Adnkronos e RaiNews, “poco dopo le 11 è stato comunicato che il velivolo della Guardia di Finanza Volpe aveva avvistato un’imbarcazione capovolta con cadaveri in acque internazionali, a circa 14 miglia nautiche da Lampedusa (zona Sar italia)”. Ad intervenire subito dopo l’avvistamento del barcone capovolto da parte dell’elicottero della Guardia di finanza, attorno alle 11,30 di mercoledì, sarebbero stati un elicottero e un aereo della Guardia costiera, oltre a un velivolo di Frontex. Nella zona dei soccorsi hanno operato ben cinque unità navali: le motovedette CP 324 e CP 327 della Guardia costiera, due motovedette della Guardia di finanza e un’unità navale di Frontex.

di Sergio Scandura, Corrispondente senior per il Mediterraneo di Radio Radicale
3. Nessuna notizia ufficiale, se non uno scarno comunicato sul numero delle vittime e sui mezzi impegnati nei soccorsi, dalla Centrale di coordinamento della Guardia costiera (IMRCC), e nessun comunicato dal Viminale, al di là delle dichiarazioni di circostanza del ministro Piantedosi, centrate sulla lotta ai trafficanti. Neppure una immagine, per non turbare le vacanze degli italiani, forse, magari anche per nascondere qualche responsabilità. La notizia relegata nelle pagine interne dei giornali. Tanti giornalisti asserviti, o privati delle notizie.
Un’offesa alle vittime, ai loro parenti, ed anche a tutti i soccorritori che in mare hanno operato con una abnegazione che non si può mettere in discussione. Come è possibile che il barcone stracarico di naufraghi, ed anche quello che sarebbe naufragato in precedenza, abbiano raggiunto quasi il limite delle acque teritoriali italiane, in una zona sottoposta ad una rigorosa sorveglianza, anche con radar e droni, e nessuno li abbia visti in tempo per avviare i soccorsi prima del ribaltamento?
Da anni gli eventi di ricerca e salvataggio (SAR) sono scambiati per eventi di immigrazione illegale, è il modulo Cutro, deciso da tavoli tecnici interninisteriali, sotto l’egida dei ministri di turno. In un documento proveniente dalla Centrale di Coordinamento della Guardia costiera italiana (IMRCC), a partire da “tavoli tecnici interministeriali” che si sarebbero tenuti nel 2022, si stabilivano nuove regole di ingaggio per le attività di ricerca e soccorso in acque internazionali che avrebbero limitato gli interventi immediati dei mezzi della stessa Guardia costiera al di fuori del limite delle acque territoriali (12 miglia dalla costa). Mentre la Guardia di finanza pattuglia la cd. zona contigua, da 12 a 24 miglia dalla costa, con compiti di vigilanza e prevenzione.
Fino a quando il Nucleo centrale di coordinamento del Ministero dell’interno (NCC) e la Centrale di coordinamento della Guardia costiera (IMRCC) non classificano un intervento come evento di soccorso (SAR), si tratta soltanto di tentativi di immigrazione illegale, che in acque internazionali vengono tracciati, o ombreggiati a distanza senza intervenire, fino a quando i barconi non entrano nelle nostre acque territoriali. Un modulo di intervento a scopo di intercettazione, ma anche di soccorso ritardato, che coinvolge anche gli assetti aerei e i mezzi navali di Frontex, che nel corso degli anni ha prodotto fin troppe vittime, non solo a Cutro.
Un “Tavolo tecnico interministeriale” o una Direttiva ministeriale, non possono modificare la portata operativa degli obblighi di soccorso a carico degli Stati, che rimangono tenuti ad intervenire non appena arrivi la notizia di una imbarcazione in situazione di distress (pericolo attuale). Almeno se si continua a riconoscere che gli atti aventi forza di legge, e le norme di diritto internazionale, valgono ancora più di atti discrezionali del potere esecutivo, come sancisce la Costituzione italiana (art.117).
4. Di quali “unità navali private” che sarebbero coinvolte nel sistema dei soccorsi parla il ministro Piantedosi, quando alle navi del soccorso civile continuano ad essere imposti fermi amministrativi e porti vessatori di sbarco ? Poi si incolpano gli scafisti, o coloro che rivendicano il rispetto del diritto internazionale o del diritto all’informazione, oppure i giudici che annullano i provvedimenti di fermo amministrativo. Perchè la deterrenza ha bisogno di una sovversione dell’ordine gerarchico delle fonti normative, di una magistratura indifferente e di una informazione asservita. Forse sarebbe il tempo di rivedere le regole di ingaggio dei mezzi militari italiani rispetto alle imbarcazioni cariche di migranti in navigazione nel Mediterraneo centrale.
Nel 2014 le navi militari italiane, e persino unità Frontex, operavano attività di ricerca e salvataggio a 20 miglia dalle coste libiche, dal 2016 al 2017 le navi delle ONG concorrevano a questa attività SAR istituzionale salvando in acque internazionali decine di migliaia di persone. Poi è prevalsa la propaganda elettorale, e la falsa finalità di difendere i confini, da persone in procinto di annegare, tutte a rischio naufragio dopo la partenza dalla Libia, e sono arrivati in successione il Codice di condotta Minniti, nel 2017, l’invenzione di una zona SAR “libica” nel 2018, i decreti sicurezza di Salvini nel 2018 e nel 2019, il Decreto Lamorgese n.130 del 2020, il decreto Piantedosi del 2023 (legge n.15/2023).
I processi penali si sono chiusi, tutti, meno quello assolutamente anomalo a Ragusa contro Mediterranea, per mancanza di prove di colpevolezza, mentre i fermi amministrativi inventati ai tempi del Covid dalla ministro Lamorgese (governo Conte 2), rivisitati dal decreto Piantedosi del 2023, continuano a colpire le ONG perchè non si collabora abbastanza con i guardiacoste libici, o non si accettano porti di sbarco “vessatori” a enorme (e ingiustificata) distanza dai luoghi di soccorso, ed hanno ridotto la presenza delle navi del soccorso civile nelle acque del Mediterraneo centrale. A nulla sembra rilevare che i Tribunali e le Corti di appello annullino o sospendano i provvedimenti di fermo amministrativo adottati con motivazioni sempre più pretestuose. Neppure la Corte costituzionale ha saputo porre un argine a queste prassi vessatorie che riducono la presenza di mezzi di soccorso in acque internazionali. Adesso non rimane che la conta delle vittime.
5. Tanti, forse anche i naufraghi annegati oggi, che le navi delle ONG avrebbero potuto salvare, sono stati condannati a morte, lasciati morire per abbandono, quando si poteva intervenire tempestivamente in acque internazionali, anche all’interno di una zona SAR libica che si rivela niente di più che una finzione, mentre i maltesi non intervengono al di fuori delle loro acque territoriali, nella immensa zona SAR che ancora oggi gli si riconosce. In ogni caso, come riconosce anche la Corte costituzionale (sentenza n. 101/2025), con riferimento agli obblighi di soccorso imposti a carico degli Stati dalla Convenzione SAR del 1979, “la mancata attivazione dello Stato competente non elide la responsabilità degli altri Stati che fanno parte della Convenzione, chiamati a collaborare per far fronte alle impellenti necessità dei naufraghi, nella maniera più tempestiva ed efficace”.
Secondo la stessa sentenza, le norme nazionali sui soccorsi in mare non possono derogare quanto previsto dalle Convenzioni internazionali e dalla tutela dei diritti fondamentali imposta dalla Costituzione, in quanto “l’art. 1, comma 2- , del d.l. n. 130sexies del 2020, come convertito, può e deve essere interpretato in senso compatibile con i parametri costituzionali evocati, in considerazione del dato testuale e delle implicazioni sistematiche della disciplina vigente“.
Dunque “L’osservanza degli obblighi internazionali, anche quando non sia richiamata, non può ex professo non orientare l’interpretazione e l’applicazione della disciplina nazionale” (par.18 della sentenza). Come prosegue la Consulta, “La normativa nazionale è legata indissolubilmente alla Convenzione SAR, che, a sua volta, si inserisce a pieno titolo in un complesso di regole improntate all’obiettivo della salvaguardia della vita in mare. A tale riguardo, si deve rammentare che il paragrafo 2.1.10. dell’Annesso alla Convenzione SAR garantisce l’assistenza ad ogni persona in pericolo in mare, senza distinzioni inerenti alla nazionalità, allo status, alle circostanze del ritrovamento.
Le disposizioni nazionali non possono che essere intese alla luce dell’obiettivo enunciato dalla normativa internazionale che esse intervengono a tradurre in pratica, adattandola alle peculiarità del fenomeno migratorio“. In definitiva, “Spetta al giudice la valutazione delle peculiarità della singola vicenda, senza vanificare le finalità della Convenzione di Amburgo, volta a salvaguardare un efficiente sistema di salvataggio e di soccorso, e la necessaria discrezionalità dello Stato che opera e coordina le operazioni di salvataggio nella necessaria cooperazione con gli altri Stati interessati.
In tale àmbito, occorre coordinare «le esigenze correlate alla sicurezza della navigazione con quelle di ordine pubblico, frutto del doveroso confronto tra le Autorità preposte alle relative competenze istituzionali» (Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 25 febbraio 2025, n. 1615, punto 37), valutando tutte le caratteristiche del caso concreto, il numero, il sesso, le condizioni psico-fisiche dei migranti da assistere, la necessità di somministrare cure mediche adeguate (Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 6 marzo 2025, n. 5992, punto 9 delle Ragioni della decisione) (par.30).
6. Forse si potevano lasciare operare le navi delle ONG nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale, senza forzare interpretazioni delle norme sui fermi amministrativi per delegare i soccorsi alle motovedette libiche, o a unità commerciali di diversa nazionalità, magari indotte a dirigersi verso un porto libico che, al pari dei porti tunisini, non può qualificarsi, in base ai parametri forniti dalla Consulta, come un “porto sicuro”, con la possibilità di configurare casi di vera e propria omissione di soccorso. Fino a quando non si garantiranno condizioni di sopravvivenza dignitosa nei paesi di transito, con un accesso effettivo al diritto di asilo, non sarà certo possibile “prevenire i viaggi in mare” come afferma il ministro Piantedosi.
Quei viaggi in mare, che conducono anche alla morte sono anzi incentivati proprio dal sostegno offerto dall’Italia e dall’Unione europea alle operazioni di rimpatrio e deportazione che la Libia e la Tunisia praticano con frequenza crescente. Per non parlare della mancanza di un vero sistema di ricerca e salvataggio centralizzato e coordinato in acque internazionali nelle zone SAR attribuite alla Libia, alla Tunisia ed a Malta. Violazioni dei diritti umani e carenze sistematiche, anche oltre il limite dell’omissione di soccorso, che sono emerse nei processi nei quali si è cercato di colpire il soccorso civile.
Per il prevalente orientamento della giurisprudenza, emerso nei procedimenti penali intentati contro le ONG e poi archiviati, fino alla Corte di cassazione, “Il pericolo attuale di danno grave alla persona che determina lo stato di necessità, secondo quanto indicato nelle Raccomandazioni emanate dal Consiglio europeo nel giugno 2019, sussiste sin dal momento della partenza dalle coste nordafricane delle imbarcazioni, che devono essere considerate sin da subito in distress in considerazione deI fatto che sono sovraccariche e inadeguate a percorrere la traversaIa. prive di strumentazione e di personale competente.“.
In base alla Risoluzione del Parlamento europeo del 14 dicembre 2023 su Frontex, ” tutti gli attori del Mediterraneo dovrebbero trasmettere informazioni in modo proattivo e, se del caso, trasmettere i segnali di emergenza riguardanti persone in pericolo in mare alle autorità responsabili delle operazioni SAR e, se del caso, a tutte le navi nelle vicinanze che potrebbero intraprendere in tempi brevi operazioni di ricerca e soccorso; si ribadisce l’obbligo previsto dal diritto internazionale del mare di fornire assistenza alle persone che si trovano in situazioni di pericolo in mare e di condurle verso il porto sicuro più vicino; osserva che il regolamento (UE) n. 656/2014 recante norme per la sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata dall’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea stabilisce le norme per il coinvolgimento dell’Agenzia nelle operazioni di ricerca e soccorso; sottolinea che l’Agenzia potrebbe fare di più per aumentare la capacità dell’UE e degli Stati membri di svolgere operazioni di ricerca e soccorso, in particolare investendo in risorse adeguate per tali operazioni“.
Secondo quanto dichiarato da Flavio Di Giacomo dell’OIM,”è inadeguato il pattugliamento, il soccorso, il salvataggio. Non da oggi, ma da tempo. Serve rafforzare il sistema europeo di pattugliamento, perché è quello che salva le vite e porta le persone in un porto sicuro e non in Libia. Con queste abbiamo superato le 700 vittime dall’inizio dell’anno”.

7. Da ultimo un provvedimento di fermo amministrativo adottato dall’ENAC, e dunque dal ministero dei trasporti, ha bloccato a terra un aereo della flotta civile che in passato, oltre ad essere stato presente nel corso di respingimenti collettivi illegali delegati in acque internazionali ai libici, aveva contribuito alla individuazione ed al soccorso tempestivo di migliaia di persone, che senza quell’avvistamento avrebbero potuto fare naufragio, come si è verificato ancora oggi.
Navi civili bloccate in porto e aerei civili tenuti a terra, il sistema di contrasto dell’immigrazione illegale via mare rivendicato ancora aggi dal governo, ha mostrato i suoi effetti deleteri, mentre il numero degli arrivi, e delle vittime, continua ad aumentare, nella totale assenza di canali legali di ingresso per le persone migranti intrappolate in Libia o in Tunisia, e soggette in questi paesi ad abusi sempre più gravi.
Vedremo quale sarà il bollettino vittorioso che sul fonte della “lotta all’immigrazione illegale”, il giorno di ferragosto arriverà come di consueto dal Viminale. Certo se riusciranno a nascondere la vergogna per il caso Almasri, sarà ben difficile che non provino vergogna di fronte a queste decine di vittime, persone che hanno perso la vita non certo per colpa dei trafficanti, lasciati liberi di operare nei paesi di partenza, o dello scafista di turno, capro espiatorio che presto sarà offerto in pasto al pubblico degli elettori, ma per effetto di politiche della deterrenza che dimostrano ancora oggi a loro totale inefficacia e tutta la loro disumanità.










