Mentre la sentenza della Consulta n.96/2025 pur dichiarando l’inammissibilità della questione sollevata dal giudice di pace di Roma in merito alla legittimità costituzionale della detenzione amministrativa prevista dall’art. 14 comma 2 del Testo Unico sull’immigrazione n.286/98, affermava la violazione del principio di riserva di legge stabilito in materia di limitazioni della libertà personale dall’art.13 della Costituzione, con immediate conseguenze sull’applicazione della norma, nelle pronunce delle Corti di appello di Cagliari e Roma, la successiva sentenza della Corte costituzionale n.101/2025, ha dichiarato la ammissibilità della questione sollevata dal Tribunale di Brindisi, ma ha rigettato tutte le eccezioni di costituzionalità proposte da quel tribunale, con riferimento alla legittimità dei fermi amministrativi inflitti alle navi del soccorso civile che salvano vite nelle acque del Mediterraneo centrale.

Se si leggono le motivazioni addotte dai giudici della Corte costituzionale non possono sfuggire stridenti contraddizioni. Per un verso si condivide il rilievo del Tribunale di Brindisi che osserva come “il fermo determinerebbe una «rilevante lesione» della sfera giuridica del comandante e dell’armatore della nave e arrecherebbe un «rilevante danno economico al soggetto sanzionato», ledendo l’esercizio dei diritti costituzionali. Donde la natura «maggiormente afflittiva» della sanzione accessoria rispetto a quella pecuniaria principale”.

Ma subito dopo si esclude a tale riguardo la violazione del principio di tipicità della sanzione penale, in quanto “La previsione censurata supera il vaglio di conformità all’art. 25, secondo comma, Cost. e si rivela coerente con la ratio che ispira il principio di determinatezza”. Infatti, secondo la Consulta, “È l’art. 1, comma 2-sexies, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, a definire il disvalore dell’illecito nei suoi aspetti salienti, che attengono al rifiuto dell’imprescindibile collaborazione con l’autorità competente secondo la Convenzione di Amburgo. Non si ravvisa quella delega in bianco all’autorità di uno Stato estero, che il rimettente e le parti costituite paventano. Il disvalore dell’illecito non solo è definito dal legislatore, che non rinuncia al suo compito di orientare la condotta dei consociati, ma può anche essere agevolmente inteso dai soggetti attivi, il comandante e l’armatore, in virtù delle cognizioni tecniche che a tali funzioni si accompagnano” .

Per la Corte, al punto 13.3. “Né si può ritenere evanescente il richiamo alla richiesta di informazioni e alle indicazioni dell’autorità competente, in quanto tali riferimenti si riconnettono alla Convenzione SAR e, in quest’orizzonte, acquistano un significato univoco per il comandante e l’armatore. La disciplina nazionale si inserisce armonicamente nella trama di regole e di procedure condivise che tale Convenzione istituisce, anche nelle sue interrelazioni con le altre normative internazionali pertinenti.

Anche le fonti internazionali possono concorrere a definire i presupposti applicativi del precetto assistito da sanzione. Quest’opera di integrazione e di osmosi non soltanto non lede il principio di legalità sancito dall’art. 25 Cost., ma ne salvaguarda l’essenziale funzione di garanzia, quando la stessa disciplina nazionale per sua natura interagisce con gli obblighi internazionali consuetudinari e pattizi”.

Con riferimento alle diverse entità militari e politiche che si dividono il territorio libico appare davvero impervio il percorso argomentativo seguito dalla Corte costituzionale, secondo cui “ Lo Stato responsabile di un’area SAR deve farsi carico del coordinamento delle operazioni di soccorso, mediante il Rescue Coordination Centre o mediante i Rescue sub Centre che siano eventualmente designati, e deve approntare appositi piani operativi per le diverse tipologie di emergenza. La mancata attivazione dello Stato competente non elide la responsabilità degli altri Stati che fanno parte della Convenzione, chiamati a collaborare per far fronte alle impellenti necessità dei naufraghi, nella maniera più tempestiva ed efficace.

Gli Stati aderenti sono obbligati a coordinare tra loro i diversi servizi, in modo da assicurarne l’efficacia. La disciplina dettata dall’art. 1, comma 2-sexies, del d.l. n. 130 del 2020, come convertito, si situa in questo quadro di irrinunciabile cooperazione, che ne rappresenta il fondamento e ne circoscrive, in pari tempo, i limiti,  fugando il rischio di un’applicazione arbitraria e imprevedibile.

Le modalità di collaborazione con le diverse autorità libiche possono fugare davvero “il rischio di un applicazione arbitraria e imprevedibile” ? In ogni caso il richiamo agli “obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali in materia di diritto del mare, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e delle norme nazionali, internazionali ed europee in materia di diritto di asilo”, contenuto nel decreto Lamorgese (legge n.130/2020), veniva di fatto svuotato dal tenore del successivo Decreto Piantedosi (legge n.15/2023) che sottoponeva a sanzione ed alla pena accessoria del fermo amministrativo il comandante della nave che trovandosi in una zona SAR di competenza di un paese terzo non obbediva alle indicazioni provenienti dalle “competenti autorità”.

E su questo punto numerosi Tribunali, a fronte del comportamento delle autorità libiche hanno stabilito la nullità di diversi provvedimenti di fermo amministrativo, motivati magari sulla base della “disobbedienza” agli “ordini” provenienti da quelle autorità, “ordini” in qualche caso accompagnati anche dal ricorso all’uso delle armi.

Si dovrebbe quindi affermare espressamente che “la competente autorità nazionale” per il coordinamento dei soccorsi, e quindi per l’assegnazione di un porto di sbarco sicuro, è soltanto l’autorità SAR ( dunque la Centrale di coordinamento- MRCC della Guardia costiera) di un paese che può garantire porti di sbarco sicuri. Per “ competenti autorità nazionali” dalle quali si dovrebbe attendere il coordinamento delle attività di ricerca e salvataggio, fino alla indicazione del porto di sbarco sicuro, non si possono intendere le autorità marittime o di polizia di paesi che non possono garantire place of safety (POS) o si rifiutano di offrire porti di sbarco sicuri.

Ma su questi profili la Corte costituzionale non si pronuncia in modo conseguente con i principi affermati nelle Convenzioni internazionali che pure richiama con dovizia di riferimenti. Non si coglie in sostanza il contrasto ricorrente tra gli obblighi di ricerca e soccorso imposti ai comandanti delle navi, di tutte le navi, dal diritto internazionale del mare, e l’ampia delega concessa alle autorità che controllano zone SAR e che non garantiscono nè il rispetto dei doveri di soccorso, nè le garanzie dei diritti fondamentali dei naufraghi dopo lo sbarco a terra.

La sentenza della Corte costituzionale fornisce poi una interpretazione della normativa vigente che dovrebbe fugare i dubbi di costituzionalità sollevati dal Tribunale di Brindisi. Per la Corte, “Spetta al giudice la valutazione delle peculiarità della singola vicenda, senza vanificare le finalità della Convenzione di Amburgo, volta a salvaguardare un efficiente sistema di salvataggio e di soccorso, e la necessaria discrezionalità dello Stato che opera e coordina le operazioni di salvataggio nella necessaria cooperazione con gli altri Stati interessati.

Come chiarisce il punto 32 della sentenza, nessuna sanzione “in definitiva si può irrogare quando l’osservanza del precetto si ponga in contrasto con i princìpi sovraordinati evocati dal rimettente, in base a dati specifici che il prudente apprezzamento del giudice dovrà soppesare, nel quadro di un giudizio che fa gravare pur sempre sull’amministrazione l’allegazione e la prova degli elementi costitutivi dell’illecito e della legittimità dei provvedimenti emessi (in termini generali, sull’illecito amministrativo, già Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 30 settembre 2009, n. 20930)”.

Malgrado questa decisione della Corte costituzionale, che pure sembra proporre una interpretazione costituzionalmente orientata, le sanzioni previste dal decreto Piantedosi rimangono del tutto generiche circa la individuazione dei presupposti, sostanzialmente rimesse alla discrezionalità delle autorità amministrative, richiamando gli istituti del “fermo amministrativo”, del “sequestro” e della “confisca della nave,” a fronte di provvedimenti di incerta natura provenienti da autorità straniere o di divieto di ingresso o sosta, che dovrebbero essere assunti dalle autorità italiane nei confronti dei comandanti delle navi oggetto delle sanzioni.

Cosa si intende per violazione delle regole, di quali regole si parla esattamente per ciascun tipo di sanzione? I relativi provvedimenti amministrativi rimangono indefiniti nei contenuti e nelle competenze (cosa si può intendere per “contestazione della violazione”?). Gli stessi provvedimenti amministrativi che dovrebbero essere assunti prima della adozione delle sanzioni, e il fermo amministrativo come pena accessoria, sfuggono così al principio di legalità (tipicità della sanzione) e non risultano in alcun modo prevedibili.

In realtà il governo italiano con le modifiche normative introdotte per effetto del decreto Piantedosi al precedente Decreto Lamorgese n. 130 del 2020 , ha creato una vera e propria trappola a tempo, che non è stata avvertita per tempo dalle ONG che per anni, fino al 2021, hanno avuto incontri al Viminale su sollecitazione della ex ministro Lamorgese. A totale discrezione delle autorità marittime italiane, l’assunzione del coordinamento dei soccorsi da parte di IMRCC, la centrale di coordinamento della Guardia costiera italiana, in alcuni casi costretta a coordinare attività di ricerca e salvataggio anche al di fuori della zona SAR di competenza italiana, o il mero rimbalzo alle autorità libiche o maltesi, ha creato, sulla base di scelte politiche ed elettorali, i presupposti per fare applicare dai prefetti, con una ulteriore sfera di discrezionalità, le sanzioni pecuniarie ed i fermi amministrativi previsti dal Decreto legge “Piantedosi” (legge n.15/2023).

Sanzioni amministrative, di impatto anche maggiore rispetto alle sanzioni penali previste in precedenza, tanto che possono arrivare anche al sequestro ed alla confisca della nave soccorritrice, indipendentemente dalla tutela del valore primario della vita umana in mare, e dagli obblighi di sbarco in un porto sicuro (POS) a cui si attengono le Convenzioni internazionali e le scelte obbligate dei comandanti delle navi umanitarie. Sanzioni atipiche dunque di natura penale-amministrativa, che dovrebbero essere soggette al principio di legalità (tipicità).

Il richiamo contenuto nel Decreto legge Piantedosi ( n.1/2023), e quindi nella Legge n.15 del 2023, a potenziali rischi determinati “a bordo”, evidentemente, della nave soccorritrice, e non certo in acqua o a bordo dei natanti soccorsi, già tutti in condizione di distress, ha accresciuto i poteri discrezionali delle autorità di polizia e dei prefetti di sanzionare attività di ricerca e salvataggio delle ONG nelle quali ulteriori rischi, oltre alla situazione di pericolo grave (distress) nella quale si trovano in acque internazionali tutte le imbarcazioni che partono dalla Libia ( e dalla Tunisia), sono prodotti dalle modalità di intervento delle motovedette libiche e tunisine allertate da Frontex, mezzi che in diverse occasioni hanno provocato panico a bordo delle imbarcazioni intercettate, per la violenza delle modalità di avvicinamento in alto mare, con armi in pugno, con persone che sono cadute in acqua e annegate proprio a seguito dell’intervento delle motovedette libiche.

Se si rileggono le motivazioni del mandato di arresto di Almasri emesso dalla Corte Penale internazionale si ricava la conferma che in Libia, ammesso che si possa ancora parlare di una unica entità statale, e nella zona SAR “libica”, permane la situazione denunciata per anni dalle Nazioni Unite e riconosciuta in diverse sentenze dei Tribunali italiani e della Corte di Cassazione che hanno archiviato tutti i procedimenti intentati contro le ONG. Si rileva dunque con maggiore evidenza l’arbitrarietà e la incostituzionalità del decreto Piantedosi del 2023 (legge n.15 del 2023) e la illegittimità di tutte le diverse decisioni di fermo amministrativo che continuano a bersagliare le ONG, sulla base della mancata collaborazione delle navi umanitarie con le motovedette della sedicente Guardia costiera libica.

Dopo questa decisione della Corte costituzionale si potrebbe verificare una nuova raffica di provvedimenti di fermo amministrativo nei confronti delle navi umanitarie che operano attività di ricerca e salvataggio nelle acque internazionali ricadenti nella cd. zona SAR “libica”. Anche se è difficile parlare di una sola entità statale “Libia” dopo “l’incidente diplomatico” occorso alla delegazione europea, composta anche dal Ministro dell’interno Piantedosi, che dopo una tappa a Tripoli, era atterrata a Bengasi per definire nuove modalità di collaborazione e di blocco delle partenze da quel paese.

Le operazioni di ricerca e soccorso in acque internazionali non dovrebbero essere coordinate da una autorità marittima di un paese che non può garantire porti sicuri di sbarco. Sono i paesi che possono garantire “porti sicuri di sbarco” che quando ricevono richieste di soccorso rimangono obbligati ad interventi di ricerca e salvataggio anche al di fuori delle proprie zone SAR.  Non si può ammettere che per il gioco incrociato del riconoscimento di enormi zone SAR (di ricerca e soccorso) attribuite per ragioni politiche ed economiche alla Libia (ed a Malta), con gli accordi bilaterali che legano questi paesi tra loro ed all’Italia, sotto l’occhio vigile di Frontex, ci siano persone abbandonate in acque internazionali su imbarcazioni fatiscenti prive di bandiera, in situazione di grave pericolo (distress), ma che siano sottratte a qualsiasi giurisdizione, e poi abbandonate a milizie che nessuna autorità statale riesce a controllare, dunque persone i cui diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita, non potrebbero trovare tutela davanti a nessuna giurisdizione.

In ogni caso, se si vuole ancora attribuire effettività alle fonti normative sovranazionali richiamate dall’art.117 della Costituzione, per effetto dell’art. 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, “ È nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, sia in contrasto con una norma imperativa di diritto internazionale generale. Ai fini della presente convenzione, per norma imperativa di diritto internazionale generale si intende una norma che sia stata accettata e riconosciuta dalla Comunità internazionale degli Stati nel suo insieme in quanto norma alla quale non è permessa alcuna deroga e che non può essere modificata che da una nuova norma di diritto internazionale generale avente lo stesso carattere”. Le norme interne che siano direttamente collegate ad accordi bilaterali tra Stati, che non rispettano le norme cogenti stabilite nelle Convenzioni internazionali, o nei Regolamenti europei, non appaiono dunque coerenti con il richiamo al sistema gerarchico delle fonti imposto dagli articoli 10,11 e117 della Costituzione.

La limitazione di un diritto fondamentale, come il diritto al soccorso in mare, funzionale alla salvaguardia del diritto alla vita, diritti garantiti da principi costituzionali ed internazionali cogenti, dovrebbe risultare ammissibile solo “in ragione dell’inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante”, sicché la norma limitativa deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo sufficiente, ai fini del controllo sul rispetto dell’art. 3 Cost., l’accertamento della sua non manifesta irragionevolezza.

Nel caso dei soccorsi in mare, e dunque del diritto alla vita o del divieto di trattamenti inumani o degradanti, nessuna valutazione comparativa può essere ammessa e la discrezionalità del legislatore nazionale, o del decisore politico, come delle autorità di polizia di frontiera e marittima, si arresta di fronte alla salvaguardia dei diritti assoluti della persona.

Pur nel rispetto dei principi di sovranità statale riconosciuti dalla Corte costituzionale, appare irragionevole una scelta legislativa che assegna di fatto ad autorità di un paese terzo che non rispetta i diritti fondamentali della persona umana e gli obblighi di salvataggio in mare, fino allo sbarco in un porto sicuro, il potere di qualificare come antigiuridico, e dunque sanzionabile in territorio italiano, il comportamento del comandante della nave che in acque internazionali adempie ad obblighi inderogabili di ricerca e salvataggio.

Ma appaiono ancora una volta in contrasto con gli stessi principi costituzionali appena richiamati, a partire dal’art.117 Cost., accordi internazionali che, per quanto ratificati dal Parlamento nazionale, permettono violazioni dei vincoli derivanti dall’ordinamento euro-unitario e dagli obblighi internazionali in materia di soccorso in mare e di salvaguardia dei diritti fondamentali della persona.

Rimane forte il dubbio di quanto importi agli italiani la violazione sistematica di norme costituzionali e internazionali a tutela dei diritti umani quando ovunque sembra crescere il consenso verso governi che strappano impunemente i principi stabiliti a tutela dei diritti fondamentali della persona.

Soltanto questa indifferenza può garantire impunità ai personaggi politici responsabili di queste violazioni, e nel breve periodo non si vedono segnali per una inversione di tendenza, ma questa stessa indifferenza si risolve in un continuo degrado della democrazia che non si limiterà solo allo svuotamento delle garanzie costituzionali dello Stato di diritto, ma si ripercuoterà negativamente, con la fine della coesione sociale, sulle prospettive di vita di tutti, italiani e stranieri, nessuno escluso.

Il ruolo di garanzia, della Corte costituzionale, che di fronte a questi processi non può essere soltanto formale, dovrebbe costituire un argine contro un ribaltamento di valori che sembra ormai irreversibile.

L’articolo originale può essere letto qui