Ieri 24 maggio anche Piazza Politeama si è vestita di bianco, rispondendo all’appello “Il 24 maggio, 50.000 sudari per Gaza” con cui Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, e Paola Caridi, giornalista, hanno invitato “ogni città, paese, contrada d’Italia” a esporre nella giornata del sabato, 24 maggio, su finestre e balconi, un sudario, simbolo di morte, ma anche “gesto estremo di cura, di pietas”, per ricordare i morti di Gaza, “i corpi che il mondo non vuole vedere”, affinché non vengano dimenticati, obliati dal silenzio colpevole dei governi, degli stessi partiti, dei media e possano dunque avere voce grazie alle parole e ai gesti di ogni singolo individuo e alla memoria agita come atto di denuncia civile.
“È un piccolo segno – spiega Montanari – che chiunque può fare, anche chi non può uscire di casa… A cosa serve? A prendere la parola in pubblico, a far sentire un peso crescente sulla coscienza di chi ci governa. Perché chi ci governa con il suo silenzio ha le mani sporche di sangue”.
Questo gesto simbolico, evocativo, potente, è stato fatto proprio dal Presidio donne per la pace di Palermo, nell’ambito delle proprie iniziative, organizzate mensilmente dal 24 febbraio 2022, contro tutte le guerre, e dallo stesso rilanciato nel documento di adesione all’appello, inteso come “ un atto di memoria e di lutto collettivo, per trasformare il silenzio dell’indifferenza in un coro di voci che onorano le vittime; una denuncia radicale del genocidio, per rendere visibile l’orrore che si tenta di nascondere e smascherare la complicità e l’inerzia dei potenti; un impegno per la nonviolenza e la pace, per affermare con forza che la vita deve prevalere sulla morte, la cura sulla distruzione”.
Piazza Politeama, cuore pulsante e luogo di incontro di Palermo, ha così accolto molte centinaia di cittadine e cittadini che hanno risposto sentitamente alla chiamata, convergendo in piazza, come una marea placida e silenziosa, una comunità partecipe nel silenzio del dolore per la tragedia immane che si sta consumando e fortemente determinata a lasciare traccia di sé sul selciato della piazza con un proprio drappo bianco, un fiore, o le parole vergate su un foglio, in un mosaico di tessere lattee che ha tracciato i confini di uno spazio improvvisamente divenuto sacro.
L’eco dell’orrore che si sta consumando a Gaza riecheggia negli interventi di coloro che si alternano al microfono con dolore, rabbia, sgomento, determinazione; viene data voce ai versi vivi e vibranti del poeta Refaat Alareer, scrittore e professore universitario palestinese, ucciso dai bombardamenti israeliani, che chiede nella sua ultima struggente poesia, quasi un testamento spirituale, di essere raccontato dopo la sua morte per portare la speranza; altri interventi evocano contesti, volti e storie di coloro le cui vite “non valgono più niente, nella conta approssimativa dei morti”, volti ormai anonimi, privati delle loro storie, come quelle ferocemente interrotte di migliaia di bambini, a cui è doveroso restituire nome e dignità.
A sottolinearlo con forza nel suo triste rosario di nomi ed eventi, a essi collegati, è Evelina Santangelo, protagonista dell’iniziativa nazionale “Ultimo giorno per Gaza” , insieme con Paola Caridi, Claudia Durastanti, Micaela Frulli, Giuseppe Mazza, Tomaso Montanari, Francesco Pallante: un “piccolo gruppo” volutamente creato per promuovere una mobilitazione della società civile attraverso tutti i canali a disposizione, e per reagire, così, all’orrore in atto, trasformando il lutto in atto civile di condanna e di non complicità.
Ancora accenti intensi e drammatici nella testimonianza, letta da Daniela Dioguardi, di Mariam Khateeb sulla condizione delle donne e dei loro corpi a Gaza: una storia di corpi invasi, negati, prosciugati, sanguinanti, annientati perché “in guerra il corpo perde i suoi diritti, soprattutto il corpo femminile”.
E poi il ricordo va all’informazione silenziata nel sangue: 220 giornalisti uccisi nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre 2023, e, attraverso le parole di Mimma Grillo e di Fausta Ferruzza, in particolare alla fotoreporter palestinese, Fatima Hassouna, di 33 anni, vera voce più che testimone, conosciuta per il suo coraggioso impegno nel documentare i bombardamenti, “i massacri con il suo obiettivo, tra le esplosioni e le sparatorie, catturando il dolore e le urla della gente nelle sue fotografie”.
“Se muoio, voglio una morte che faccia rumore”, aveva scritto Fatima Hassouna, che rifiutava di poter essere “solo una notizia dell’ultima ora o un numero qualsiasi”, desiderando, altresì, che il mondo potesse parlare della sua morte, e che la sua voce venisse udita dal mondo.
La piazza segue con attenzione e partecipazione, applaude con commozione all’intervento di una voce giovanissima che nel porre domande agli adulti su un tema inconcepibile ai suoi occhi, come la guerra, è costretta ad arrendersi, a trovare la risposta nella cinica evidenza della realtà raccontata e agita dagli adulti.
Alle 18,00 la piazza si raccoglie nel silenzio, molti si adagiano sui lenzuoli, in un empatico e simbolico contatto, cinque minuti penetranti per accendere le coscienze, cinque minuti accompagnati dal sintonico rintocco delle campane di una chiesa, prossima alla piazza, cinque minuti di profonda e autentica umanità.
I momenti finali dell’iniziativa sono corollati dalle suggestioni musicali dei canti di resistenza della Palestina, intonati da alcune donne della comunità palestinese di Palermo, che ricordano il legame con la terra, le radici storiche e culturali, la geografia dei luoghi; un omaggio di amore che esprime il senso di perdita per la terra perduta e il desiderio della rinascita e del ritorno.
Quanto avvenuto ieri a Palermo, grazie all’impegno di diverse soggettività ( Presidio donne per la pace, CISS, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università di Palermo), e in tante altre città italiane, può rappresentare l’avvio di un orizzonte diverso “per non restare complici”, di un nuovo spazio pubblico di parola, di uno spazio libero per immaginare un mondo altro e capovolto nelle logiche e nelle visioni?
“Il sussurro ora è diventato voce”, scrive Paola Caridi, e dalle sue parole sembra emergere chiara la volontà da parte delle promotrici e dei promotori di continuare con il sostegno di tutte le realtà che hanno aderito e che si stanno ulteriormente aggregando, con l’obiettivo immediato di “chiedere attenzione e strappare uno spazio allo smarrimento e all’indifferenza” e quello finale di fermare il genocidio.
video di un momento dell’evento realizzato dalla Biblioteca delle Donne Udi Palermo
e video del canto di resistenza palestinese










