All’assemblea convocata a Palermo da Non Una Di Meno nel pomeriggio di ieri, 8 aprile, Giornata dei diritti delle donne, nei locali dello Stato Brado in Piazzetta di Resuttano, siamo così tanti e tante che occupiamo anche lo spazio esterno. 

Siamo qui per Sara, per Ilaria, per ognuna delle donne uccise per un no, e siamo qui per ognuna di noi, per la necessità di urlare la nostra rabbia e farne pratica di trasformazione del tessuto sociale e dei rapporti che viviamo. 

Al microfono si alternano compagni e compagne, sorelle, i cui interventi bene saranno rappresentati subito dopo dai volti giovani che aprono la “passeggiata arrabbiata” per le vie del centro all’ora dell’aperitivo. 

Se l’intento era di fare rumore ci siamo riuscite. Con chiavi alla mano e striscioni, cartelli e slogan, ribadiamo che la violenza maschile sulle donne non è una “triste patologia”, come vorrebbero farci credere gli estensori delle Nuove Indicazioni Nazionali per la scuola, ma l’esito del sistema patriarcale strutturato a tutti i diversi livelli della vita privata e pubblica della nostra società.

E in testa al corteo ci sono giovanissimi e giovanissime, student* di una scuola superiore, a ricordarci che la strada da percorrere è ancora lunga ma dobbiamo farla insieme. 

Già prima, all’assemblea, era stato un giovane uomo a chiedere che fossero proprio loro, i maschi, gli amici, ad alzare la voce ogni volta che una donna viene sminuita, offesa, umiliata da commenti e pratiche sessiste. “Ragazzi, ditelo ai vostri padri di alzarsi e andare a lavare i piatti! Ditelo ai professori che non possono chiamare signorine le vostre colleghe!”

Così, mentre si esprime tutta la rabbia per la vetta della piramide della violenza maschile sulle donne, gridando i nomi delle sorelle uccise, in piazza Sant’Anna, alla fine della passeggiata rumorosa, “il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce” ci ricorda che è dalla base che il sistema deve essere scardinato, ogni volta che sarebbe più facile lasciare perdere. 

Siamo chiamati in causa tutti e tutte, anche e soprattutto chi non è stato oggi in piazza e dobbiamo ringraziare questi e queste giovani per esserci state e, per fortuna, anche qualche loro docente.