Tutto è accelerato, in questo periodo. La presentazione di nuovi progetti urbanistici si è fatta frenetica, i cantieri avanzano (e qualche volta, inaspettatamente, arretrano). E anche l’attacco verso chi si oppone alle politiche urbanistiche del Comune ha cambiato segno: in un paio di occasioni è intervenuta la polizia a farsene carico, con i manganelli.

Cosa succede a Bologna? E che interesse può avere anche al di fuori dei confini locali? Per cercare di capire facciamo un passo indietro, e iniziamo con una fotografia.

Uno: camuffare la partecipazione
Se qualche lettrice o lettore pensa che questa immagine ritragga qualche fredda panchina e due fioriere con una vegetazione in parte rinsecchita, dovrà ricredersi. Un pannello esplicativo ci informa, infatti, che questa installazione è una “infrastruttura verde”. Cosa vuol dire? Si tratta – ci spiega ancora il pannello – di un “elemento decisivo nel ripensare la crescita urbana”, “un termine globale che descrive una rete di elementi funzionali che integrano fattori e processi ecologici e antropogenici, per sostenere comunità ed ecosistemi sani”.

Questa “infrastruttura verde” in particolare, collocata nel quartiere popolare della Bolognina all’incrocio tra via Serra e via Di Vincenzo, è frutto di un “patto di collaborazione” – uno degli strumenti di partecipazione promossi dal Comune di Bologna – ed è focalizzato “sulla infrastrutturazione dei cosiddetti luoghi di vita e di identificazione dei cittadini, [e] intende creare un nuovo spazio urbano aperto, risultante di un sistema integrato strada-giardino-piazza [il giardino è rappresentato dalle fioriere, la piazza è l’incrocio tra le due strade, nda], da intendersi non come un’unità isolata, bensì come parte vitale del paesaggio urbano con un proprio insieme specifico di funzioni.”

Non è uno scherzo. Inaugurato dal sindaco con una cerimonia pubblica e stampa al seguito nel dicembre 2021, simboleggia perfettamente lo spirito della partecipazione “alla bolognese”. La città pullula di micro-interventi in cui la popolazione del luogo è chiamata ad occuparsi della “rigenerazione” di piccole aree, senza la possibilità di interrogarsi sulla connessione tra quello specifico intervento e l’area circostante, né di partire da un’analisi dei bisogni di chi abita o lavora nella zona o nel quartiere. Nessuna possibilità di avere una visuale più ampia sul disegno urbanistico della città, né di alzare lo sguardo sulle grandi opere, imposte alla città senza informazione né discussione pubblica. La partecipazione è frammentata in mille rivoli, privata di conoscenza e potere, avvolta nelle nebbie di una neolingua adoperata per incantare e fuorviare. A volte chi la usa ne perde il controllo, finendo – come in questo caso – con lo svelare ciò che quel linguaggio è chiamato ad occultare: chi, leggendo il pannello e guardandosi intorno, non ha la sensazione di essere preso in giro?

Le contraddizioni implicite nei meccanismi di partecipazione inventati dal Comune si fanno ancora più stridenti quando si passa alle grandi opere pubbliche che stanno mutando il volto della città. In primo luogo c’è il “Passante”, l’allargamento a 16/18 corsie della lingua di asfalto che attraversa Bologna lungo cui scorrono parallele l’autostrada e la tangenziale. Un progetto devastante dal punto di vista ambientale che – senza alcun senso del ridicolo – le forze politiche che fanno parte della maggioranza hanno ribattezzato affettuosamente “passante green” o “passante di nuova generazione”, mentre il sindaco lo ha entusiasticamente definito “simbolo della transizione ecologica”.

Questa euforia deriva dall’introduzione di alcune misure di “mitigazione” che avrebbero il potere taumaturgico di trasformare un’opera altamente inquinante (secondo Autostrade per l’Italia comporterà un incremento del traffico stimato in 25.000 automobili in più al giorno – per un totale di 65 milioni di veicoli all’anno – e un aumento del 10% tasso di incidenza sul totale dell’inquinamento prodotto dal traffico veicolare) in un’opera che – addirittura – abbasserà il volume di emissioni rispetto alla situazione attuale. Il fatto che le evidenze scientifiche smentiscano queste affermazioni non sfiora gli amministratori locali, che continuano imperterriti per la loro strada.

Nel momento in cui questa scelta fu imposta, venne allestito un “confronto pubblico” che si rivelò come un vero e proprio processo di manipolazione finalizzato a orientare i partecipanti verso il consenso ad un’opera la cui realizzazione non doveva essere messa in discussione. Il cerchio si è chiuso pochi mesi fa con la sterilizzazione di un processo di partecipazione nuovo di zecca: l’Assemblea cittadina, inserita con grande enfasi nello Statuto comunale.

La prima sessione dell’Assemblea, come esito di una richiesta sostenuta per lungo tempo da Extinction Rebellion, è stata dedicata al clima. Inizia subito male: il regolamento adottato per l’Assemblea stabilisce che non può occuparsi di progetti già approvati. Una norma scritta apposta per evitare che si parli del “Passante”: l’Assemblea cittadina sul clima non deve affrontare la principale tra le opere che avranno un impatto negativo sul clima. Ma anche nei percorsi partecipativi più controllati c’è sempre qualcosa che può andare storto. Nelle sue proposte conclusive, infatti, l’Assemblea ha chiesto che venga realizzata la Valutazione di impatto sanitario (Vis) del “Passante”, esattamente la stessa proposta avanzata da tempo dai movimenti che si oppongono all’ampliamento. A questo punto che si fa? Si fa finta di accettarla, trasformandola in qualcos’altro.

Emblematico il passaggio di un’intervista a Emily Clancy, vicesindaca con delega all’ambiente, esponente di Coalizione civica, che alle ultime elezioni amministrative ha deciso di lasciare i banchi dell’opposizione occupati nel mandato precedente e di entrare nella maggioranza a guida Pd, abbandonando la sua posizione di netta opposizione al “Passante” per farsi promotrice della miracolistica politica delle “mitigazioni”. A proposito delle conclusioni dell’Assemblea per il clima, quando la giornalista domanda se tutte le proposte verranno accettate, Clancy risponde: “Sostanzialmente sì. Sul Passante infatti realizzeremo una sorveglianza sanitaria proprio perché era stata chiesta la Vis” (Repubblica Bologna, 24 febbraio 2024). In sostanza la Vis viene respinta, e il contorsionismo linguistico con il quale si cerca di affermare il contrario serve solo a dissimulare l’imbarazzo: ciò che viene concesso (la sorveglianza sanitaria) è una cosa completamente diversa, e perfettamente inutile rispetto alla necessità di valutare preventivamente l’impatto dell’opera sulla salute pubblica.

L’ostilità alla partecipazione reale emerge anche dall’iniziativa promossa da D(i)ritti alla città (DAC), una rete che si occupa degli spazi pubblici. Al termine di un lungo processo di scrittura collettiva, nel giugno 2022 DAC ha presentato una delibera di iniziativa popolare, strumento di partecipazione previsto dallo Statuto comunale in base al quale cittadine e cittadini possono avanzare proposte direttamente al Consiglio comunale, che è obbligato a discuterle pubblicamente e a metterle ai voti.

La delibera – che prospetta una serie di soluzioni per recuperare gli spazi pubblici dismessi e affidarli alla collettività anche attraverso forme innovative di gestione – è stata bloccata con pretestuose motivazioni procedurali, e viene tenuta ferma da quasi tre anni in modo del tutto arbitrario, senza neanche convocare i promotori (un passaggio reso obbligatorio dallo stesso regolamento comunale) e senza rispondere alla documentata contestazione del diniego burocratico, che evidentemente maschera una decisione politica.

In definitiva, nel corso degli ultimi anni l’amministrazione comunale ha messo in piedi un articolato sistema di partecipazione che sposta su un binario morto le idee e le iniziative che nascono in modo spontaneo nel tessuto sociale. La partecipazione disegnata dalle istituzioni è disciplinata, normalizzata, manipolata. Una partecipazione senza potere utilizzata come strumento di costruzione del consenso intorno ad un’amministrazione che è lontana dall’interesse pubblico e cerca di colmare quella distanza attraverso un’operazione di marketing.

L’operazione, ormai, mostra la corda. La partecipazione alle elezioni è una spia di questo logoramento. Come mai tanta partecipazione produce un’affluenza così bassa? In una città caratterizzata storicamente da un numero molto elevato di votanti, alle ultime elezioni amministrative l’asticella dell’affluenza si è fermata poco sopra il 51%, registrando il tasso di decremento maggiore rispetto alle grandi città dell’Emilia Romagna. E il sindaco Matteo Lepore è stato designato con il voto di poco più del 30% degli elettori, il dato peggiore rispetto a tutti i suoi predecessori eletti al primo turno. L’apparato mediatico costruito intorno alla retorica della partecipazione è potente, ma poggia sulle sabbie mobili.

Mauro Boarelli

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