È stata presentata martedì 2 dicembre, nei locali dell’Istituto Gramsci di Palermo, la Carta dell’impegno per un mondo disarmato, pensata ed elaborata da una comunità di donne che, già attive in diverse regioni d’Italia in presidi e iniziative per la pace, il disarmo, la giustizia sociale e ambientale, si sono riunite in 10, 100, 1000 piazze di donne per la pace.
L’incontro è stato organizzato dalle Donne per la pace di Palermo, ormai da tre anni in piazza contro tutte le guerre con lo slogan “Fuori la guerra dalla storia”, e dalla Biblioteca delle donne di Palermo.
Il sottotitolo, Tessere la pace, custodire il futuro, esplicita immediatamente gli intenti e la proposta, che, partita dal mondo dell’impegno al femminile con tutte le sue differenze e contraddizioni, si offre all’umanità tutta per un approccio alternativo a quello della narrazione patriarcale della storia fatta di conflitti armati e ricorso alla violenza e alla sopraffazione.
Il ricco dialogo tra tutti e tutte le intervenute si apre con la lettura, fatta da Danila Giardina, di un contributo di Sandra Rizza nel ricordo di Rosi Castellese e della sua testimonianza politica e civile di donna per la pace in un percorso individuale e collettivo che ha tenuto insieme, tessuto appunto, le lotte per i diritti di tutte e tutti con quelle per la giustizia sociale. Interconnessione evidente sin dal suo impegno nella lotta LGTBQ plus per il superamento dell’odio dell’omofobia e della transfobia, da costruttrice di ponti fra le persone nelle relazioni politiche e civili con lo stesso coraggio necessario per opporsi alla guerra, convinta che la pace non si costruisce solo nelle conferenze internazionali ma nelle strade delle nostre città. Che ci sia sempre una Rosi nel mondo così infestato da guerrafondai, è l’augurio che tutti e tutte qui riunite facciamo a noi stesse e al mondo.
E di prospettiva femminista, come recita il primo punto della Carta, parla Mariella Pasinati, nell’introdurre gli interventi degli e delle ospiti che hanno risposto all’invito. Così le donne, nella consapevolezza dell’ormai pervasività della guerra e del suo linguaggio bellicista nell’orizzonte quotidiano, possono e devono recuperare il valore della loro estraneità alla guerra, con riferimento al pensiero di Virginia Woolf, e pensare la pace, non solo come assenza di guerra ma come un modo di stare al mondo, come pratica incarnata, non per essere incluse nella storia degli uomini ma per trasformarla. L’impegno nelle piazze, coinvolgendo scuola ed università e attraversando i quartieri, punta a disarmare le città, invitando i comuni a non ospitare eventi e installazioni e a non stringere accordi riferiti alla guerra. Piuttosto si proporranno iniziative che rendano visibile la scelta delle città per la pace come la tessitura, non solo simbolica e virtuale, di un tappeto che raccolga la parola pace più e più volte ripetuta, scritta, dipinta, ricamata.
E all’arte del cucito, pratica tradizionalmente assegnata alle donne, fa riferimento anche Alessandra Sciurba, nell’osservare come il documento, che è manifestamente femminile nell’essere essenziale e centrato, tiene insieme diversi contesti facendo una vera e propria opera di cucitura. Evidente è anche lo stretto legame tra patriarcato e guerra, sessismo e razzismo. Nel ricordarci che la violenza sulle donne è trasversale a tutte le culture, Sciurba critica il femonazionalismo, concetto coniato da Sara Farris e purtroppo assecondato anche da alcune femministe, per cui “l’uso contemporaneo del femminismo e dell’uguaglianza di genere” diventa copertura ideologica di politiche razziste stigmatizzando categorie umane in base all’appartenenza etnica e o religiosa, al colore della pelle, ecc…
Sembra essersi perduto il pudore degli anni passati e oggi si fanno esplicitamente discorsi brutali a favore della guerra e contro le donne, nel tentativo di cancellarne sguardo e forza di pace, per imporre logiche bellicistiche. Le donne, con le loro lotte, si pensi a quelle delle nere americane, hanno imposto di declinare in soggetti incarnati diritti nati vuoti per un soggetto maschio, bianco, adulto, di chiara matrice coloniale, diritti che, per quanto imperfetti, sembrano scomparire oggi dalla retorica del potere. Con la criminalizzazione dei migranti, e il loro abbandono in mare, sperimentati a lungo nel Mediterraneo, si è testato il livello di sopportazione dell’opinione pubblica per arrivare al genocidio in diretta. In nome della sicurezza si sdogana la necessità della guerra in un paradigma tutto maschile che estromette dalla storia le donne e il loro modello alternativo di società basato sulla loro storica estraneità alla guerra e sulla decostruzione dell’idea di sicurezza.
Basti pensare che sicurezza, dal latino, significa senza cura! Non è un caso che siano simili le parole di una donna, la filosofa Luisa Muraro, e di un migrante vittima della criminalizzazione, Alaa Faraj, e che il loro significato sia la sintesi della proposta di impegno della Carta: rispondere senza aggredire, difendere senza offendere, esporsi disarmato.
Quando è il turno di Annibale Raineri la sala viene sorpresa dalla ripetizione della parola “grazie”. Perché è con un ringraziamento alle donne, la mamma, le sorelle e infine le donne per la pace, che inizia, con il suo corpo e la sua esperienza di uomo, il suo intervento. È la gratitudine, dice, la prima postura per uscire dal paradigma della guerra e imparare un sentimento del corpo che apre l’anima all’altro. Ci tiene ad affermarla la necessità del sentire ed è ai maschi che rivolge la sua esortazione a rompere l’ordine vigente, a imparare a sentire, cambiare vocabolario, cancellando, accogliendo, risignificando le parole. La nonviolenza non è solo una scelta morale o un posizionamento etico, ma la consapevolezza storica dell’essere l’unica via di salvezza da un precipitare mortifero.
Spiega la scelta delle parole, con pacato convincimento. Mortifero perché l’evidenza della cancellazione di tante forme di vita per gli interessi del sistema capitalistico e la presenza sempre più pervasiva della guerra fanno intravedere un’ombra apocalittica. È evidente il connubio crisi di civiltà-guerra e sul paradigma della coppia amico-nemico si sono costruite le società patriarcali dove il padre è il signore della morte. Allora bisogna, tornando all’etimo greco della parola apokalypsis, che significa rivelazione di una nuova vita, imparare da ciò che le donne hanno fatto per millenni in una storia parallela. L’impegno assunto nell’Arca, di cui fa parte, a fare comunità, richiama quello della Carta femminista per un mondo disarmato, per offrirci tutte e tutti disarmati e nudi di fronte al mondo che ci interpella.
Anche Manuela Patti vuole ricordare Rosi e, rischiando di andare contro corrente e sembrare in contraddizione con quanto finora detto, rivendica per lei l’appellativo di guerriera, con riferimento a quanto Audre Lorde, attivista americana nera, lesbica e poeta, diceva di sé. La guerra è per i soldati, le guerriere fanno lotte e battaglie, e chiama a supporto Carla Lonzi che già negli anni Sessanta sottolineava come alla guerra si associasse la figura di maschio virile. Il femminismo dell’uguaglianza, equiparando le donne al maschio, nell’inclusione di un mondo non pensato, ha fatto perdere autorevolezza alle donne, costrette così ad “emanciparsi dall’emancipazione”. Sempre Carla Lonzi aveva già visto il pericolo che l’identificazione della donna con l’uomo eliminasse l’opportunità di un’altra via. Si interroga, poi, sulla mancanza di riflessione, nel femminismo, intorno alla violenza e se piuttosto non si debba parlare di violenze, facendo distinzione tra quella istituzionale e quella dei singoli.
Entra subito in argomento Andrea Cozzo che, nel riconoscere come il mondo sia sempre più “maschilizzato” anche nella scelta di donne che assumono caratteristiche più maschili dei maschi, ritorna alla tessitura della pace come dote, capacità, virtù antica attribuita alle donne e usata anche metaforicamente. Così Lisistrata, nell’omonima commedia greca, alla domanda su come le donne intendano prevenire la guerra risponde che possono districarla come una matassa. E le fa eco, più avanti, Virginia Woolf, rispondendo all’odio con la diserzione, richiamata al punto due della Carta. Questa impone di stare con tutte le vittime della guerra, senza distinzione di parte, non solo tra i civili ma anche tra gli aguzzini, uscendo dall’unico orizzonte culturale, esclusivamente maschile, a cui si è abituati e che ha sempre escluso la donna con la sua visione alternativa della storia. È la cultura femminile che deve resistere, cultura propria della nonviolenza. Lo stesso Gandhi, noto come “bapu”, padre, si comportava come una madre e dovremmo chiamare il sociologo Galtung madre, e non padre, della nonviolenza. Per questo le donne dovrebbero essere almeno il 50% delle forze disarmate di interposizione nei processi di pace dei conflitti armati.
I numerosi interventi susseguitisi hanno ribadito e arricchito quanto emerso nel confronto con il riferimento alle donne pacifiste della storia e alle loro pratiche, come Rosa Parks e Maria Occhipinti, ricordate da Enzo Sanfilippo, che propone di aggiungere nel documento, accanto al richiamo alla diserzione come estraniamento e fuga dal sistema, anche quello all’obiezione di coscienza come offerta di alternativa. Ricorda l’iter della legge italiana che, per la prima volta nel mondo, cita la difesa nonviolenta e afferma la possibilità di servirsene per la tutela della patria con il servizio civile, senza però prevedere un addestramento specifico alternativo a quello del servizio militare.
Tra le cose che si possono fare oggi c’è l’opportunità di coinvolgere i giovani diciassettenni, inseriti ancora nelle liste di leva di ogni comune, per informarli della possibilità di dichiararsi, nell’eventualità di un ritorno all’obbligatorietà, obiettori di coscienza, e la stessa cosa possono fare anche tutti i richiamabili.
Sulle pratiche pone ancora l’attenzione Mimma Grillo che si augura di poter aumentare il numero delle persone contrarie alla guerra per chiedere alle Istituzioni in modo più incisivo di rispettare i principi costituzionali.
Da più parti, insieme alla gratitudine per la Carta, si auspica la possibilità di diffonderla nelle scuole e nelle università per coinvolgere ragazzi e ragazze e di farne strumento di tessitura di pace tra tutte le molteplici realtà che per la pace e il disarmo si attivano nei territori.










