Una grande folla ha invaso venerdì scorso piazza Castello. Un corteo ordinato di lavoratrici e lavoratori con tante bandiere rosse è partita da piazza XVIII dicembre e percorrendo via Pietro Micca è poi entrata nella piazza pedonalizzata ormai vari anni fa.
Lo sciopero, indetto dalla CGIL per tutti i settori, voleva dire “no” alla nuova Legge di Bilancio. Un “no” che in tantissimi a Torino e in tutta Italia e hanno accolto e fatto proprio.
Voci dal comizio
In piazza Castello, punto di arrivo del corteo, tante voci hanno delineato il composito quadro dell’attuale situazione economica e lavorativa del nostro paese, in particolare di Torino e Valle d’Aosta. Voci che raccontando storie ed esperienze diverse avevano come punto comune l’affermazione: “al di là delle logiche economiche, siamo persone! e come tali pretendiamo rispetto e trattamenti dignitosi”.
Un’affermazione che nasce sicuramente dal momento storico fortemente preoccupante ma soprattutto per le risposte fornite da istituzioni e poteri economici, in questo caso la Legge di Bilancio 2026
L’immagine della società civile delineata intervento dopo intervento, presenta moltissimi aspetti critici. In primis la Sanità dove la mancanza di risorse, ormai cronica, sta mettendo in ginocchio tutto il servizio sanitario. Soldi che mancano, personale che non viene rimpiazzato, turni che per chi rimane diventano sempre più faticosi anche per la necessità di coprire anche i turni altrui a fronte di cittadini che vedono allungarsi i tempi d’attesa. Risultato? Una migrazione obbligata verso il privato a volte convenzionato, a volte purtroppo no. Non per tutti è possibile affrontare la spesa di una visita privata e così viene meno il diritto alle cure mediche. La manovra non promette nuove risorse, fondamentale per dare ossigeno al sistema, così come non interviene nel settore dei trasporti.
Se la sanità è in crisi per mancanza di risorse il settore privato invece fornisce un quadro di grande precarietà. La Konekta, ad esempio, società operante nel settore dei call center con 10000 persone impiegate ha annunciato la chiusura delle sedi di Asti e Ivrea, 1100 persone impiegate che verranno dirottate sul capoluogo piemontese. Purtroppo il settore ha una predominanza di part time al femminile che si troverà penalizzata dalla lontananza casa-lavoro tenendo presente il lavoro di cura domestico.
Incertezza anche all’Iveco. La società, messa in vendita in estate è stata ceduta a Leonardo e al Gruppo Tata, ma sono ancora in essere trattative per le clausole di salvaguardia dei posti di lavoro.
Recente è poi l’ufficializzazione della messa in vendita del Gruppo Gedi, proprietario di Repubblica, La Stampa, Radio Deejay, Radio Capital e dell’edizione italiana dell’HuffPost. Il gruppo Gedi appartiene alla Exor, holding finanziaria olandese della famiglia Agnelli-Elkann che controlla Stellantis, Juventus Football Club e Ferrari. Il Gruppo sembra interessare alla famiglia dell’armatore greco Theodore Kyriakou ma anche qui i lavoratori e le lavoratrici del gruppo non sono sicuramente tranquilli.
Anche l’Università è presente nell’elenco. Qui c’è la questione di ricercatori e ricercatrici, che già in passato procedevano con borse e contratti a tempo determinato: il 40% di loro si è ritrovato senza posto di lavoro. Senza dimenticare gli appalti, come quello delle biblioteche, che più o meno ogni tre anni vede apparire un nuovo bando, nuove proposte, nuovi datori di lavoro e in alcuni casi nuove mansioni a cui attenersi.
E se la questione appalti nel settore universitario non implica particolari problemi di sicurezza, in altri settori è invece un aspetto di vitale importanza, nell’edilizia ad esempio. Con appalto o meno la prevenzione degli incidenti sul lavoro è ancora una priorità – nella sola Valle d’Aosta, lo scorso anno sono accaduti 5 incidenti mortali sul lavoro.
Ad esserne maggiormente colpiti i più giovani e i più anziani, i primi forse per mancanza di esperienza i secondi invece per maggior fragilità visto che spesso gli incidenti avvengono soprattutto in lavori usuranti come quelli del comparto edile.
Altre voci ancora si sono succedute sul palco: storie di precarietà, part time obbligati, incertezza, Interventi variamente appassionati come varie sono state le personalità dei relatori, storie individuali che diventano storie collettive.
A fronte di questa situazione la Legge di Bilancio 2026 non offre risposte adeguate. Eppure gli investimenti nella Difesa tra missili, caccia, elicotteri, fregate e blindati aumentano. Riportando quando detto dalle pagine web del progetto MIL€X – Osservatorio sulle Spese Militari: “Il totale previsto per il 2026 dalla Legge di Bilancio è di 32.398 milioni di euro, con una crescita netta di oltre 1,1 miliardi di euro (+3,52%) rispetto alle previsioni di spesa del 2025. Si consolida dunque il superamento della soglia dei 30 miliardi, avvenuto per la prima volta nel 2025”.
E’ necessaria questa spesa a fronte di tutte le difficoltà viste prima?










