È una crisi che viene da lontano.
L’ILVA è presente con stabilimenti a Taranto, Genova Cornigliano, Novi Ligure e Racconigi in Piemonte e a Marghera in Veneto. É un’azienda strategica per l’Italia, che produce laminati a caldo, laminati zincati, tondini per il cemento armato, tubi, barre, banda stagnata a Genova, zincato a Novi Ligure ed altri semiprodotti.
L’occupazione tra tutti gli stabilimenti ammonta a circa 12.000 lavoratori diretti e circa 6.000 lavoratori dell’indotto.
L’ILVA di Taranto che occupa cica 8.000 lavoratori, si estende su una superficie di 15 milioni di metri quadri con un impianto a ciclo integrale che trasforma il minerale in ferro e carbone in una vasta serie di prodotti siderurgici. Quindi un grande stabilimento strategico e nodo cruciale per l’industria Italiana ed Europea, ma che consapevolmente i governanti del nostro Paese hanno messo nelle mani dei privati fino a farlo entrare in amministrazione controllata ed oggi con il Piano del Ministro Urso rischia di chiudere definitivamente in tutta Italia.
La tragedia dell’Ilva e dei suoi lavoratori, ha origine antiche, già nel 1989 dopo l’avvio della messa in liquidazione dell’IRI che era l’Ente economico di gestione delle aziende di stato, in attuazione di quanto richiesto dal Commissario liberista Europeo Van Miert, l’Italsider diventa ILVA e nel 1995, sotto il governo Dini, e, sull’onda dell’ideologia “privato è bello, mentre il pubblico è un carrozzone che sperpera denaro”, la società pubblica chiamata ITALSIDER e divenuta ILVA venne ceduta, sostanzialmente regalata, al gruppo EMILIO RIVA. L’ILVA era una società che valeva circa 5.000 miliardi di lire e fu svenduta per 1.400 miliardi di lire, ma Riva si guardò bene dal fare investimenti adeguati sul piano del risanamento ambientale, per ridurre l’impatto ecologico, e sul piano dell’innovazione tecnologica, per rilanciare sul piano internazionale gli stabilimenti, per fronteggiare la concorrenza soprattutto della Cina.
I vari governi succedutisi, portarono avanti la nuova ideologia legata agli interessi del capitalismo, con le micidiali privatizzazioni e la svendita di tutte le aziende strategiche statali e parastatali nonché con lo scioglimento del ministero delle Partecipazioni Statali. Affossando il patrimonio degli italiani e l’art.42 della Costituzione – il quale stabilisce che la proprietà può essere pubblica o priva e che i beni economici appartengono allo Stato, a Enti o privati – … mentre il pubblico spariva.
Quindi le privatizzazioni hanno avuto origine dalla fine degli anni Ottanta, dalla caduta del muro di Berlino in poi. Anche la sinistra che si rifaceva al PCI – dopo divenuta PDS, dopo ancora DS (Democratici di Sinistra) e infine, abolita anche la parola sinistra, solo “Partito Democratico” – è stata fortemente coinvolta nelle privatizzazioni… Contemporaneamente abbiamo visto l’abbandono di una idea diversa di società rispetto a quella capitalista ed assistito a tutti i governi di centrodestra e centrosinistra che hanno fatto le stesse scelte dettate dalla Confindustria e dai poteri forti internazionali.
Tutti convertiti alle teorie del liberismo fino a privatizzare perfino le aziende pubbliche locali, municipalizzate che erogavano acqua, gas, elettricità, trasporti urbani ecc…
La nuova azienda ILVA privatizzata sfruttò al massimo gli impianti esistenti senza fare investimenti fino al punto di dover subire il sequestro delle acciaierie da parte del tribunale per gravi violazioni ambientali, con la famiglia RIVA indagata per disastro ambientale e con il sequestro 1,2 miliardi di euro ma con i soldi già portati all’estero.
I giudici accusarono Riva di aver sperperato il patrimonio dello stabilimento e di bancarotta; la chiusura dell’azienda fu evitata da Monti nel 2012 attraverso un decreto che permetteva comunque il proseguimento delle produzioni.
Nel 2015, il governo Renzi commissaria lo stabilimento di Taranto che finisce in amministrazione straordinaria. Nel 2016 arriva altro accordo bidone con il gruppo privato ARCELORMITTAL che vince la gara ed incassa lo scudo penale continuando a produrre e facendo debiti fino alla sua uscita dopo circa un anno (ed il rientro in amministrazione straordinaria): un altro anno di seri danni all’ambiente ed ai cittadini di Taranto.
Oggi siamo all’ultimo atto di disimpegno da parte del governo. Il Piano del governo delle destre in Italia presentato dal Ministro Urso, che si autodefinisce Ministro delle imprese e made in Italy, a parole sostiene che le attività delle aziende ex ILVA continueranno, ma nel Piano presentato si prevede:
– La messa in cassa integrazione speciale senza tempo per 6.000 lavoratori a Taranto, occupando gli altri in attività di manutenzione degli impianti,
– Con la continuazione parziale delle attività a Genova e Novi Ligure e con la messa in cassa integrazione e formazione di 701 lavoratori;
– Il negoziato con nuovi “soggetti industriali” extra UE che hanno manifestato interessi a comprare, ma così non solo si ripete quello che è avvenuto a suo tempo con la famiglia Riva e cioè il relago dell’azienda a chi la compra, si rendono anche disponibili aree della ex ILVA non occupate attualmente da impianti industriali. Questo, si dice, al fine di favorire nuove iniziative di reindustrializzazione, cosa che in gergo non sindacalese significa: “chiudere l’ex ILVA, mandare in cassa integrazione, aspettare che ci siano nuovi padroni interessati a fare nuove speculazioni nei terreni liberando in prospettiva un po’ di persone dalla cassa integrazione, tutto questo con l’abbandono delle acciaierie”.
A partire dal 2012, tra sequestri giudiziari, commissariamenti, offerte di acquisizione, finti interventi pubblici e accordi controversi con grandi gruppi transnazionali, la vicenda dell’acciaierie soprattutto quella di Taranto, ha reso visibile il conflitto tra logiche di mercato e interesse pubblico, tra capitale e lavoro.
La siderurgia non è un settore ordinario, ma un’infrastruttura industriale essenziale che nessun mercato concorrenziale può governare efficacemente nelle fasi critiche.
I grandi operatori privati, anche se fossero interessati, sono sempre portati a minimizzare rischi, costi e responsabilità a danno della collettività.
Serve allora una strategia di Stato come avveniva quando ancora esisteva il Ministero delle Partecipazioni Statali. Le privatizzazioni, avvenute storicamente a partire dagli inizi degli anni Novanta, non hanno creato un soggetto industriale in grado di sostenere una fabbrica così grande e complessa come l’ILVA, e la gestione dei Riva & C. ha fatto esplodere i problemi ambientali già esistenti in precedenza.
Oggi i lavoratori dell’ex ILVA scioperano giustamente e chiedono l‘intervento dello Stato anche attraverso la Presidente del Consiglio dei Ministri, perché sanno che nessun grande padrone privato ha interesse ad acquistare o a sostenere l’acciaieria senza imporre condizioni capestro o fortemente sbilanciate a proprio favore contro gli assetti organizzativi esistenti, riducendo il personale e contro l’ambiente e gli interessi industriali strategici dell’Italia.
I lavoratori degli stabilimenti di Genova e Taranto CHIEDONO il diritto alla occupazione, alla salute, il diritto al lavoro, la tutela dell’ambiente, la continuità industriale.
Questo è un conflitto che non nasce dai limiti degli operai, ma da governi volutamente assenti o, peggio, subalterni alle logiche di mercato e alle linee ideologiche dell’Europa. Serve quindi una rinazionalizzazione ed una pianificazione credibile in grado di evitare la polarizzazione drammatica tra salute e occupazione.
Urso oggi rappresenta un modello di sviluppo industriale incapace di integrare dimensioni economiche, tecnologiche e ambientali con il rilancio di una azienda strategica per il Paese.
Quindi la lotta degli operai della ex ILVA di Genova e di Taranto, va sostenuta con forza perché è anche la lotta per fare rinascere una strategia industriale e ambientale italiana, all’altezza de tempi che viviamo.
Umberto Franchi, ex Dirigente Sindacale FIOM e CGIL










