L’anno finisce così, con il mondo diviso in due o tre parti che non si parlano più. Anche se si parla molto di nuove tecnologie e di armi intelligenti, la realtà resta quella di sempre: uomini chiusi nelle trincee, nel fango delle pianure ucraine o tra le macerie di Gaza. Si attende una pace che non arriva, perché nessuno vuole cedere un pezzo di terra o rinunciare al proprio puntiglio.
A Oriente, il mare intorno a Taiwan è solcato da navi da guerra. Sembra che la politica sia diventata solo un calcolo di forze, una preparazione a un evento che tutti dicono di voler evitare ma che tutti alimentano. Si accumulano armi, si stringono patti per l’energia e per i minerali, come se la vita degli uomini dipendesse solo da queste materie inanimate.
C’è poi il clima che cambia, ma anche questo è diventato motivo di contesa e di scambio, una faccenda di soldi e di confini chiusi ai disperati.
In Europa i politici e i generali sono tornati a parlare con entusiasmo della guerra. Esortano i giovani a essere pronti al sacrificio, a morire per la patria, come se il tempo non avesse insegnato nulla. È una retorica vecchia, che sa di caserma e di un orgoglio maschile arcaico.
Eppure, si potrebbe fare diversamente. C’è un modo di stare al mondo che non cerca la distruzione dell’altro. È l’idea della nonviolenza, che molto femminismo ha fatto propria: la consapevolezza che il conflitto fa parte della vita, ma la guerra no. La guerra è solo una pratica antica e feroce. Rifiutarla significa cercare un’altra strada, l’unica che possa davvero dirsi civile, per affrontare il futuro che ci aspetta.
Analisi geopolitica: dal fine 2025 alle sfide del 2026
Il trimestre ottobre-dicembre 2025 ha consolidato alcuni trend strutturali della politica mondiale, spostando l’asse degli interessi verso il Pacifico e ridefinendo le dinamiche di sicurezza in Europa e Medio Oriente sotto la pressione di nuove amministrazioni e crisi umanitarie.
1. L’evoluzione dei conflitti e lo stallo diplomatico
Il panorama bellico di fine 2025 vede l’intreccio tra innovazione tecnologica e rigidità politica.
- Ucraina: il fronte è bloccato in uno stallo tecnologico dominato dall’IA nella gestione dei droni. Tuttavia, il nodo resta politico: garanzie di sicurezza e territori contesi sono indissolubilmente legati. Mosca è irremovibile sul controllo del Donbass come condizione minima per l’apertura di qualsiasi tavolo negoziale.
- Medio Oriente (Iran e Gaza): l’amministrazione Trump ha rilanciato le minacce a Teheran, promettendo sostegno a nuovi attacchi israeliani qualora il regime degli ayatollah tentasse di ricostruire il programma missilistico balistico. A Gaza, la tregua è in un vicolo cieco: Hamas rifiuta il disarmo senza la fine dell’occupazione, mentre Israele pone veti sulla composizione della Forza internazionale di stabilizzazione (escludendo Turchia e Pakistan). Sul campo, la morte dello storico portavoce Abu Obeida segna un colpo simbolico per Hamas, ma la tragedia umanitaria peggiora: piogge e inondazioni nella Striscia colpiscono i profughi in campi privi di protezione, con aiuti umanitari ancora insufficienti.
- Taiwan e il Pacifico: la tensione tra Cina e USA è ai massimi. Pechino ha risposto alla vendita di un maxipacchetto di armi da 11,1 miliardi di dollari a Taipei con imponenti esercitazioni militari che simulano un blocco navale: per Pechino la sovranità sull’isola non è negoziabile. Taipei ha reagito aumentando esponenzialmente il budget della difesa. La situazione è aggravata dalla crisi tra Cina e Giappone, con la premier Takaichi che minaccia un intervento di Tokyo in caso di invasione di Taiwan .
2. Il consolidamento dei BRICS+ (Ottobre 2025)
Il vertice dei BRICS+ di fine ottobre ha confermato l’integrazione di attori energetici chiave come Arabia Saudita, Emirati Arabi e Iran.
- Sviluppi 2026: il focus sarà il lancio di un sistema di pagamenti alternativo allo SWIFT mirato alla “de-dollarizzazione” degli scambi energetici, mettendo alla prova la resilienza finanziaria dell’Occidente.
3. Competizione tecnologica e protezionismo
L’inasprimento della “guerra dei chip” ha visto la Cina limitare l’export di materiali critici (terre rare e gallio) per la transizione green occidentale.
- Sviluppi 2026: l’Europa dovrà decidere se allinearsi totalmente alla linea dura di Washington o cercare una via mediana per salvare la propria industria automobilistica, fortemente dipendente dalle catene di approvvigionamento asiatiche.
4. Nuovi assetti in America Latina e Africa
L’influenza russa e cinese si è consolidata tramite nuovi accordi minerari in Africa e l’espansione della “Belt and Road Initiative” in America Latina, dove i governi cercano capitali per sopperire alla carenza di investimenti interni.
- Sviluppi 2026: si prevede una competizione accesa per il controllo del “triangolo del litio” e delle risorse idriche strategiche.
5. La sfida climatica come leva negoziale
Dopo la COP30, il clima è diventato una vera arma diplomatica. I paesi del “Sud del Mondo” usano la conservazione delle foreste pluviali (Fondo Amazzonia) come strumento per ottenere compensazioni finanziarie.
- Sviluppi 2026: il tema dei migranti climatici sarà prioritario nelle agende di sicurezza nazionale nel Mediterraneo e al confine USA-Messico.
Riepilogo per il 2026
Il 2026 si aprirà all’insegna di tre pilastri:
- Frammentazione: un mondo diviso in blocchi economici e militari poco comunicanti.
- Resilienza armata: la capacità di assicurarsi risorse e difesa autonoma diventerà il metro principale della sovranità nazionale.
- Diplomazia della necessità: tentativi di “congelare” i conflitti (Ucraina, Gaza) per evitare il collasso sistemico, senza però risolverne le cause profonde.
Conclusioni: tra retorica bellicista e l’alternativa della nonviolenza
In questo quadro caotico e tumultuoso, assistiamo a una retorica bellicista che in Europa sta coinvolgendo politici e stati maggiori. Tutti esortano i giovani a prepararsi a “morire per la patria”. Michele Serra su “Repubblica” ha evidenziato come, pur dando per scontata la necessità di un’Europa armata su basi federali e non nazionalistiche, esista un nesso profondo tra passioni belliche e virilismo.
Citando Lea Melandri e il pensiero femminista, anche Serra giunge a proporre un’evidenza fondamentale: la guerra è una pratica arcaica e intrinsecamente maschile. Gran parte del femminismo contemporaneo ha adottato, più o meno consapevolmente, l’atteggiamento della nonviolenza, dimostrando che è possibile gestire il conflitto senza ricorrere alla guerra e alla distruzione del “nemico”. Il femminismo può dunque affiancare la nonviolenza per indicare a tutti una via alternativa di agire politico, capace di scardinare le logiche di morte che sembrano dominare l’orizzonte del 2026.










