Una volta chiamavano Torino la città dell’automobile. Se la definizione era sbrigativa, è pur vero che il settore dell’automotive non solo ha rappresentato storicamente una componente importante dell’occupazione, ma è stato, come dire, un tratto del DNA della città quanto a Genova il know how marittimo-portuale. Dubito però che Genova, se le chiudessero il porto, se ne starebbe zitta e tranquilla. A Torino il buon Elkann e soci chiudono il settore automotive e Torino non brucia, anzi si barcamena, s’attacca alle smentite di Stellantis, sembra non avere il coraggio di accettare la realtà. Non contento, il buon Elkann vende il quotidiano “La Stampa”, giornalisti inclusi nel pacchetto, come fossero carne di porco o fazzoletti Tempo. Dimostrando quanta stima avesse il padrone per i suoi servi ubbidienti che poche settimane prima erano stati esaltati come custodi della libertà di stampa, colonne della democrazia, dopo che un gruppo di studenti un po’ vivaci aveva osato buttare all’aria un po’ di carte posate sulle loro scrivanie. Hanno buttato all’aria delle carte, non hanno dato fuoco al palazzo.
A rivederla, questa sequenza, ha del grottesco. Elkann chiude il settore automotive. Non succede nulla. Ragazzi buttano all’aria delle carte nella redazione di un giornale. Apriti cielo! interviene anche Mattarella. Elkann pochi giorni dopo vende quel giornale, una testata che fa parte dell’identità di Torino. Non succede ancora nulla, sì i giornalisti fanno gli offesi (“Come, a noi colonne della democrazia, questa partaccia, sig. Elkann!”) in sostanza tutti zitti, perché è vero che si vende, ma a un amico della Meloni. Qualche giorno dopo dei ragazzi vengono trovati a dormire nel centro sociale Askatasuna. Dormivano, non stavano confezionando ordigni esplosivi. E succede il finimondo, il Ministro dell’Interno scatena le sue truppe, il sindaco con fare solenne indossa la fascia tricolore e dichiara che quei ragazzi non sono più cittadini rispettabili. E quando mai lo sono stati, quando mai lo hanno voluto essere!
Un ricordo personale. Il tema è la Torino-Lione e il movimento di rivolta nella Val di Susa. Una tema che fa parte dell’identità di Askatasuna. Siamo al volgere del secolo, da più di un anno mi hanno inserito in un comitato di esperti che deve tracciare al Ministero le linee guida del nuovo Piano dei Trasporti e della Logistica. Tutto il trasporto merci è di mia competenza, autostrade del mare, trasporto intermodale su rotaia, come si fa a ridurre l’impatto del traffico di camion sulle strade ecc.. Per questo la Torino-Lione non serve, i colleghi che sono responsabili dei problemi infrastrutturali, ambientali, regolativi, sono d’accordo. Diremo diplomaticamente che “non è una priorità”. Il nostro documento va al CIPE, in Parlamento passa con voto bipartisan, ma poco dopo ci sono le elezioni, Berlusconi rivince e il nostro bel Piano finisce nel cestino.
Passo dal Ministero alle FS, consulente dell’AD di Trenitalia, e lì ho informazioni di prima mano su come stanno le cose nel traffico merci su ferrovia. Tra tutti i diversi (sono cinque) valichi alpini su rotaia il Fréjus sembra il meno importante rispetto al Gottardo, al Brennero, a Tarvisio e financo Opicina. Prima di lavorare per Trenitalia però mi capita di andare a Torino, per un evento di associazioni d’imprenditori. Ricordo che avevo Pininfarina (buonanima) in prima fila seduto accanto a Virano (buonanima), che è stato per decenni il principale promotore della Torino-Lione. Io faccio il mio ragionamento, la Torino-Lione non serve. E spiego perché. In economia dei trasporti – che io non ho mai studiato ma che mi è stata insegnata dai lavoratori – le caratteristiche del traffico dipendono dalla composizione merceologica dell’interscambio tra due paesi. Tra Francia e Italia c’era molta merce di massa (cereali per esempio), soprattutto in import. Le merci di massa si trasportano su carri particolari ma fanno parte ancora di un’epoca fordista, il trasporto merci del futuro sarà sempre più intermodale (container, casse mobili, semirimorchi) per portare componenti, semilavorati, beni di consumo. Un traffico che ha spedizioni molto più frequenti, dunque il carico sulla linea aumenta. Sul Gottardo, sul Brennero, stava già diventando l’unico traffico, dunque era sotto gli occhi di tutti la tendenza del mercato. È vero che la linea ferroviaria del Fréjus era quasi satura, ma la sua crescita era gestibile, non era necessario fare una nuova linea, con lunghe gallerie e tempi lunghissimi di realizzazione. Se il governo italiano avesse dovuto scegliere quali investimenti erano più urgenti, avrebbe dovuto investire sul Gottardo, sul Brennero, tanto più che Svizzera ed Austria, ben consapevoli dell’evoluzione del mercato, ci sollecitavano a farlo. Mentre ai francesi non importava gran che e nemmeno adesso, dopo vent’anni, hanno fretta di fare la Torino-Lione. Ero andato anche a Parigi, accompagnato da un alto funzionario del CNEL, per capire come la pensavano. Ci ricevettero al Senato nel Jardin du Luxembourg e li trovammo piuttosto freddi.
Dissi queste cose e vidi gli sguardi allibiti di Pininfarina e di Virano, ma ero pur sempre un consulente del Ministero, inghiottirono in silenzio, anzi, Pininfarina mi ringraziò per averli informati su come la pensavano a Roma (magari subito dopo avranno telefonato al Ministro, era Bersani se non sbaglio, “ma che razza di consulente si è preso”?). Passai poco dopo alle FS e lì mi convinsi ancor più di avere ragione. Divenni amico addirittura della funzionaria che aveva la responsabilità della circolazione sulla linea del Fréjus, coi suoi dati di prima mano sbaragliavo qualunque avversario. Come vicepresidente dell’Associazione Italiana di Logistica (per pochi mesi) avevo fatto amicizia coi colleghi tedeschi, erano allora i leader mondiali, mi nominarono socio onorario della loro Associazione. Potevo parlare con il direttore del traffico merci della Deutsche Bahn, coi manager dei più potenti spedizionieri europei, Schenker, Kühne&Nagel, DSV. A quei livelli si decide il mercato, chi li frequenta non ha bisogno di grandi studi. La forza del consulente vero – poi ci sono i faccendieri, ma è un altro discorso – sono le informazioni riservate. Così mi convinsi che la battaglia degli abitanti della Val di Susa era una battaglia sacrosanta, per impedire un’opera inutile o, nel migliore dei casi, non prioritaria. Invece le lobby del cemento, gli sventra-montagne, hanno vinto una volta ancora e il potenziamento del Gottardo e del Brennero lo hanno dovuto fare gli svizzeri e gli austriaci, con gli italiani assenti o a rimorchio.
In Val di Susa questo nostro paese ha rischiato la guerra civile per imporre un’opera inutile e oggi minaccia d’infliggere anni e anni di carcere a chi ha combattuto una battaglia giusta.
Per questo gridiamo “Viva Askatasuna”! Ci sono andato una volta sola a parlare di lotte nella logistica e mi dispiace. Era il tempo del Covid e ci passò davanti un corteo di No Vax, uscimmo per vederli passare, ci fischiarono, un esaltato mi venne quasi addosso, “traditori!”. Tanto per non farmi mancare nulla.
Quando penso alla storia della Torino-Lione mi coglie una tristezza infinita. Gli avversari di allora avevano un’altra statura rispetto alle mezze calzette di oggi. Penso alle merducole di Stellantis, che mettono sul lastrico migliaia di famiglie e si beccano i bonus. Al loro confronto Pininfarina sembra un gigante.
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