Il 17 novembre si è riunito, al Palazzo del Quirinale, il Consiglio supremo di difesa, presieduto dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il Consiglio (legge n. 624/1950) esamina i problemi relativi alla difesa nazionale e, dal 1997 (legge n. 25), è stato stabilito che «è la sede nella quale, anche nei momenti di crisi, avviene l’informazione tempestiva e approfondita per il Presidente della Repubblica sulle scelte governative in materia di difesa per consentirgli la più celere ed equilibrata funzione di garanzia del rispetto dei fini, dei mezzi (in particolare dello strumento militare) e dei limiti previsti dalla Costituzione».
Ricordiamo, inoltre, che secondo l’art. 87 della Costituzione, il Presidente della Repubblica: «ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere».
Si tratta di un organismo che nel recente passato (Presidenti Cossiga, Scalfaro e Napolitano) ha contribuito alla subordinazione del nostro Paese alle politiche della NATO; ha sollecitato, nella crisi della ex Jugoslavia, la trasformazione del modello difensivo nazionale, privilegiando un ruolo militare attivo del nostro Paese, in contrasto con l’art. 11 della Costituzione; così come un analogo ruolo attivo (coerente con le politiche dell’Unione Europea) venne assunto rispetto alla crisi libica e, più in generale, nel Mediterraneo.
Alla riunione hanno partecipato, oltre alla Presidente del Consiglio, i ministri dei cosiddetti settori strategici. Ovvero, Tajani (esteri); Piantedosi (interno); Crosetto (difesa); Giorgetti (economia); Urso (imprese) e il Capo di Stato maggiore della difesa, generale Portolano.
È difficile, vedendo la tempistica e la composizione di questa riunione, non pensare ai tristemente famosi Gabinetti di Guerra: «organi ristretti di governo composti da un numero limitato di ministri e funzionari, creati in genere durante situazioni di crisi per prendere decisioni rapide e coordinate sulla strategia militare, diplomatica ed economica».
Impressione suffragata dai temi affrontati e in particolare, come si può leggere in un comunicato della Presidenza della Repubblica, dalle seguenti affermazioni: «Il Consiglio ha confermato il pieno sostegno italiano all’Ucraina nella difesa della sua libertà. In questo senso si inquadra il dodicesimo decreto di aiuti militari. Fondamentale rimane la partecipazione alle iniziative dell’Unione Europea e della NATO di sostegno a Kiev e il lavoro per la futura ricostruzione del Paese. […] Il Consiglio ha espresso preoccupazione per la manipolazione dello spazio cognitivo, attraverso campagne di disinformazione, interferenze nei processi democratici, costruzione di narrazioni polarizzanti e sfruttamento delle piattaforme digitali per indebolire la fiducia nelle istituzioni e minare la coesione sociale».
Temi, questi ultimi, purtroppo ampiamenti presenti nel dibattito europeo, basti ricordare le recenti affermazioni della Kallas (Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza): «la guerra della Russia all’Ucraina rappresenta una minaccia esistenziale per l’Unione Europea. Porre fine alla guerra in Ucraina in modo giusto e sostenibile è il primo passo di un lungo percorso per riscrivere l’equilibrio internazionale e farlo funzionare per ogni Paese […] La verità è che se si inizia a investire nella difesa quando ne abbiamo veramente bisogno è già troppo tardi. E lo è anche oggi. Se vogliamo la pace, dobbiamo prepararci alla guerra».
Del resto, il 16 novembre, il Presidente Mattarella, intervenendo al Reichstag a Berlino in occasione della Giornata del lutto nazionale, ha detto: «considero questa giornata anche un invito a riflettere, insieme, sul percorso straordinario che le nostre due Repubbliche hanno compiuto, fianco a fianco, per costruire – in questi ottant’anni – un mondo migliore, partendo dall’Europa. […] Abbiamo saputo dar vita a un’area di pace, di libertà, di prosperità, di rispetto dei diritti umani, che non ha precedenti nella storia». Ribadendo una supposta superiorità della “civiltà occidentale”, quella cui dobbiamo i due conflitti mondiali, oltre alle vergogne di cui si è macchiato, negli altri continenti, il dominio coloniale, e dimenticando, come scrive Marco Travaglio «che nel 1999 il governo di cui Mattarella era vicepremier partecipò alla guerra d’aggressione della NATO (contro l’ONU) alla vicina Federazione Jugoslava, bombardando per 78 giorni le aree abitate piene di civili a Belgrado. Poi l’Italia e tutto l’Occidente riconobbero la secessione del Kosovo sebbene la risoluzione ONU 1244 vi avesse ribadito la sovranità jugoslava».
Siamo, perciò, di fronte all’ennesimo tassello che fa crescere i pericoli di guerra, o meglio di un ulteriore allargamento dei conflitti in atto, che paghiamo con la progressiva riduzione del diritto di manifestare, l’aumento della repressione e una crisi economica sempre più grave, vista la crescita esponenziale degli investimenti e delle spese militari.
È, quindi, fondamentale opporsi alla normalizzazione della guerra, alla retorica delle armi e del sacrificio, all’esaltazione delle politiche muscolari, consapevoli del fatto che se vogliamo la pace, c’è un’unica strada: preparare, e praticare, la pace.










