Lunedì 10 novembre 2025, ore 21
Materia Spazio Libero, Via Confalonieri 5, Castronno (Varese)
Un viaggio a due voci dentro un’India che nessuna agenzia di viaggio oserà mai proporvi e che anche per molti indiani resta abbastanza off limits. E’ la regione del Jharkhand che ci verrà raccontata attraverso le esperienze della giovane dottoranda Morgana Capasso e della giornalista Daniela Bezzi, che di questo ‘cuore nero dell’India’ si è a lungo occupata.
Che cosa renda questa regione così poco battuta e ancor meno ‘attrattiva’ in termini turistici è presto detto: il 41% delle risorse minerarie dell’intero subcontinente indiano (in particolare ferro e carbone) giace nel sottosuolo di queste foreste antichissime, che per l’appunto danno il nome alla regione. Jharkhand significa infatti ‘terra di foreste’, abitate da tempo immemorabile da popolazioni adivasi (ovvero indigene), custodi di tradizioni, devozioni, saperi ancestrali di mirabile saggezza e bellezza. Basti pensare alle decorazioni murarie che in due periodi particolari dell’anno si rinnovano sulle facciate delle umili case di paglia e fango dei villaggi: un campionario di motivi e simboli, in evidente comunione con la natura circostante, che trasfigurano il paesaggio in uno straordinario teatro d’arte.
Ma anche per questi villaggi la modernità avanza a grandi passi e soprattutto impattante è l’avanzata dell’estrattivismo che sempre più rapidamente sta mangiando intere fette di territorio con immense miniere a cielo aperto. Una forma di colonialismo interno, come infatti lo definiscono i movimenti ambientalisti indiani da anni attivi sul terreno, che nel concreto si traduce in continui espropri di terre, migrazioni forzate e durissima repressione per chi osa opporsi.
E un modello economico che considera la terra esclusivamente come una risorsa da depredare, fa notare Morgana Capasso, che precisamente su questa dimensione del problema ha impostato il suo dottorato di ricerca, dopo la tesi magistrale non a caso intitolata Jal, Jangal, Jamin (ovvero acqua, foreste e terra), considerati gli elementi principali per la numerosa popolazione adivasi.
“Un modello che deve molto al sistema fondiario britannico, fondato sull’idea di massimizzazione del profitto e di messa a valore dei terreni. Concetti totalmente estranei alle comunità locali, e alla loro ben diversa concezione del rapporto con la natura, che si basa su criteri di cura, reciprocità e continuo dialogo con l’ambiente” aggiunge Morgana.










