Ieri, 4 novembre, a Palermo come in tantissime altre città d’Italia si sono svolte iniziative antagoniste alla “festa delle forze armate”, quest’anno particolarmente ridondante e invasiva, dati i progetti di riarmo universale che ci funestano.
Mentre di fronte al teatro Massimo veniva sciorinata una panoplia, proposta alla cittadinanza quasi si trattasse di giocattoli che “i morti” tornavano a consegnare ai bambini (in Sicilia, è d’uso che il 2 novembre si regalino bambole o fucili giocattolo – secondo il sesso – e leccornie ai bimbi come doni degli antenati), a piazza Politeama, per l’intera giornata, si allestiva “il villaggio per la pace e il disarmo”, proprio nel luogo ove un mese prima le autorità avevano impiantato “il villaggio dell’esercito”.
Un progetto dal basso, senza alcuna etichetta egemone di partito, che ha risposto all’appello di Assemblea No Guerra – Stop Rearm Europe e ha visto così convergere il desiderio, l’impegno, il lavoro e la solidarietà di decine e decine di associazioni, dalle più note e diffuse a livello nazionale, CGIL Cobas Arci Acli ANPI, Legambiente MIR Libera, alle più piccole e recenti, Right2Be, Comunità La Zattera, Presidio di donne per la pace; e poi le associazioni migranti di Gambia, Congo, Nigeria, Senegal, Bangla Desh, Afghanistan, le comunità palestinesi, gli anarchici, il Laboratorio A. Ballarò, i giovani di Extinction Rebellion, Rifondazione Comunista. Impossibile citarli tutti.
Dal mattino alla sera si sono susseguiti laboratori di gioco per i bambini, circle time maieutici di autocoscienza sulla violenza che, nonostante la nostra attenzione, comunque ci abita, danze canti e musiche, interventi di riflessione antimilitarista.
Nel pomeriggio il corteo “Blocchiamo tutto” – dei centri sociali con Potere al popolo e USB – si è snodato fiancheggiando la piazza, ma senza partecipare alle attività del “villaggio”.
Questo merita forse una riflessione. Fratture, differenze, conflitti in seno ai movimenti antagonisti sono naturali e non vanno né temuti né rimossi né esecrati. Ci sono molte questioni aperte e irrisolte, prime fra tutte le scelte della nonviolenza e dell’organizzazione antiautoritaria e libertaria, scelte non sempre condivise da tutti, ma che sono quelle dei promotori del Villaggio.
Quello che auspichiamo, senza eludere le difficoltà del confronto, è la costruzione nella società civile, a partire dai gruppi spontanei come da quelli più strutturati, di una rete di relazioni e di iniziative che possano convergere in un più largo e consistente progetto comune, su cui nessuna sigla precostituita possa incollare la sua etichetta e meno che mai rivendicarne la paternità.
Crediamo che rifiutare il patriarcato capitalista, colonialista e bellicista significhi anche – e prima di tutto – questo: andare oltre le pretese proprietarie e identitarie, oltre il protagonismo e il verticismo, verso la costruzione di comunità circolari accoglienti e aperte a tutte le differenze.
Ci auguriamo di poter proseguire il dialogo insieme, insieme anche a chi ieri sera non era con noi, ma era comunque accanto a noi.










