Asia News (rivista PIME) ha pubblicato un interessante interista di Alessandra De Poli al rabbino Jeremy Milgrom, che nei giorni scorsi scorso è stato in Italia dove ha svolto incontri a Milano, nel Veneto ed anche a Bologna. Ve ne segnaliamo alcuni brani.
Il testo integrale lo trovate qui https://www.asianews.it/notizie-it/Il-rabbino-Milgrom:-‘Leggo-i-nomi-dei-palestinesi-uccisi-a-Gaza-contro-la-crisi-morale-di-Israele’-64271.html
Jeremy Milgrom, rabbino riformato e attivista per la pace, stringe fra le mani un volume di oltre mille pagine, pieno solo di nomi. “Quando l’ho visto appoggiato sul tavolo in una chiesa a Bologna, stavo per piangere”, racconta.
(Il cardinale Zuppi, vescovo di Bologna, aveva recentemente fatto leggere in quella chiesa i nomi dei palestinesi uccisi ndr).
Il volume si intitola I nomi della memoria del genocidio a Gaza. Un’ingiustificabile conta e un appello in sospeso, curato da Yassine Baradai, ed elenca uno per uno i 58.383 palestinesi uccisi tra il 7 ottobre 2023 e il 15 luglio 2025, accompagnati solo dalle date di nascita e di morte.
“Mi sono detto che non volevo tornare in Israele senza questo libro. Lo porterò con me, cercherò di leggerlo ogni giorno, e di condividerlo con la mia famiglia e i miei amici. Ogni giorno leggeremo qualche nome. E forse, se leggiamo i nomi, smetteremo di aggiungerne altri. Smetteremo il massacro, smetteremo di versare sangue. Perché quando abbiamo detto ‘mai più’, deve valere per chiunque, non solo ‘mai più per noi ebrei’”, aggiunge il rabbino.
Jeremy Milgrom è nato negli Stati Uniti, ha studiato al Jewish Theological Seminary di New York e si è trasferito a Gerusalemme nel 1968, a 15 anni. Negli anni ’70 ha prestato servizio nell’esercito israeliano, compresa la guerra dello Yom Kippur del 1973, in cui ha perso il suo migliore amico. Col tempo è diventato un pacifista dichiarato, impegnato per i diritti umani e il dialogo con i palestinesi. È stato tra i fondatori dell’organizzazione “Rabbis for Human Rights” – che oggi è in prima linea nel contrastare le violenze dei coloni in Cisgiordania – e dell’iniziativa interreligiosa “Clergy for Peace”, che riunisce leader cristiani, musulmani ed ebrei.
Gli ultimi due anni, con la guerra a Gaza e le tensioni in Cisgiordania, hanno prodotto una forma di unità che fa paura: “La guerra tiene insieme la società in un modo terribile. È quello che fanno i governi che vanno in guerra: cercano di unificare, di soffocare il dissenso. Una delle quattro tribù è stata silenziata in questi anni: i palestinesi con cittadinanza israeliana, circa il 21% della popolazione. Sono intimiditi, perseguitati, parlano pochissimo per paura”.
La frattura non è solo tra ebrei e palestinesi, ma oggi riguarda lo stesso mondo ebraico. Milgrom racconta un episodio personale che sintetizza bene questa deriva: “Il figlio della mia compagna è un soldato combattente. È cresciuto in un ambiente laico e liberale. Ma da quando è tornato a casa dal servizio militare non lo riconosco più: i suoi commilitoni di destra gli hanno fatto il lavaggio del cervello. Ed è tragico vedere come i segmenti più estremisti (non solo i coloni, ma soprattutto loro) stiano trascinando tutti verso destra”.
Per Milgrom, il problema non è la Bibbia in sé, ma la combinazione con un contesto di paura e nazionalismo: “Per 1.800 anni gli ebrei non hanno avuto eserciti né strumenti di violenza organizzata. La tradizione pratica è stata una tradizione di non-violenza. Con il nazionalismo, in un contesto di conflitto, buttiamo via la nostra storia di non-violenza e frughiamo nei testi per trovare giustificazioni teologiche alla violenza”.
Milgrom torna alla Bibbia per sostenere la non violenza. Parte dal capitolo 23 dell’Esodo in cui “ci viene comandato di non opprimere la vedova, l’orfano e lo straniero. Il testo dice che, se li opprimiamo, loro grideranno a Dio, Dio ascolterà il loro grido e farà sì che i nostri figli diventino orfani e le nostre mogli vedove. È forse il versetto più terrificante di tutta la Bibbia”.
“Io non voglio che accada. Allora dico: prima che il loro grido arrivi a Dio, deve arrivare ai politici. Dobbiamo fare in modo che non sia ‘lassù’ a intervenire, ma ‘quaggiù’, dove possiamo salvare vite e ottenere giustizia”. Il rabbino cita anche Caino e Abele: “Quando Dio chiede a Caino: ‘Dov’è tuo fratello Abele?’, lui risponde: ‘Sono forse io il custode di mio fratello?’ La Bibbia non risponde. La domanda resta aperta. Siamo noi a doverla completare: sì, siamo custodi gli uni degli altri. Se non rispondiamo così, non importa quanto belle siano le nostre chiese o le nostre sinagoghe”.
Poi torna al versetto che non lo lascia in pace: la minaccia contro chi opprime la vedova, l’orfano, lo straniero. “Io non voglio che i nostri figli diventino orfani e le nostre mogli vedove. Voglio che il loro grido arrivi a noi prima che arrivi a Dio. E che noi, finalmente, lo ascoltiamo”.










