Il 28 ottobre 2025, Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori palestinesi occupati, presenta all’ONU il suo nuovo rapporto sul genocidio a Gaza. Nella conferenza stampa a New York, Albanese denuncia la complicità internazionale e avverte: “L’Italia rischia l’accusa di complicità nei crimini di Israele”.
Qui il video su youtube doppiato da Frontezero da cui è ricavato questo testo
Francesca Albanese:
“Grazie mille. Buongiorno o buon pomeriggio a tutti coloro che si trovano a New York e buonasera a chi è a Città del Capo. Devo dire che sono felice, onorata e commossa di essere in Sudafrica, anche se mi rammarico profondamente di non poter presentare la mia relazione di persona a New York, presso la sede delle Nazioni Unite, come Relatrice Speciale delle Nazioni Unite tutelata dallo Statuto dell’ONU e dalle Convenzioni sulle Prerogative e Immunità delle Nazioni Unite, a causa delle sanzioni illegali imposte contro di me semplicemente per aver adempiuto al mio mandato.
Sono qui per discutere e presentare alla stampa il mio ultimo rapporto. Il genocidio a Gaza, un crimine collettivo. In questo rapporto sostengo che il genocidio commesso da Israele a Gaza fa parte di un sistema internazionale di complicità.
Il diritto internazionale è molto chiaro. Gli Stati non devono né assistere né contribuire agli atti illeciti internazionali di altri Stati. Al contrario, devono prevenirli, fermarli e punirli.
Questi non sono atti di carità, ma obblighi giuridici derivanti dalla violazione di norme imperative del diritto internazionale. Essi impongono la sospensione immediata dei legami militari, economici e diplomatici con Israele fino a quando i suoi crimini non cessino e la ricerca della giustizia per i sopravvissuti attraverso la punizione dei responsabili e dei loro complici. Il mio rapporto mostra invece come alcuni stati influenti, con l’acquiescenza di molti altri, abbiano fornito a Israele sostegno diplomatico, militare, economico e ideologico, rafforzando, anziché smantellare, il suo sistema coloniale di insediamento e di apartheid che negli ultimi due anni ha assunto una dimensione genocidaria.
Ritengo che nessuno Stato possa credibilmente sostenere di difendere il diritto internazionale mentre arma, sostiene e protegge un regime genocida. Gli Stati terzi, comportandosi in questo modo, violano il loro dovere di prevenire il genocidio, l’apartheid e, ancora di più, la conquista territoriale, continuando a fornire a Israele aiuti, armi e copertura politica, nonostante le crescenti prove del suo intento genocidario. La Corte Internazionale di Giustizia si è già espressa tre volte sul rischio di genocidio, a gennaio, a marzo e a maggio 2024, e ciò ha fatto scattare l’obbligo per gli Stati di prevenire, fermare e punire gli atti di genocidio e l’incitamento al genocidio.
Eppure, gli Stati continuano a oscurare, ignorare e perfino trarre profitto dalle violazioni del diritto internazionale da parte di Israele. La cooperazione militare è probabilmente la forma più significativa di complicità, perché attraverso il commercio di armi e la condivisione di intelligence, alcuni Stati, più di altri, hanno alimentato la macchina bellica israeliana. Gli Stati Uniti e la Germania da soli hanno fornito il 90% delle importazioni di armi di Israele, ma almeno 26 Stati, tra cui l’Italia, il mio Paese, figurano tra quelli che hanno fornito o facilitato il trasferimento di componenti d’arma a Israele, mentre molti altri continuano a comprare armi testate sui palestinesi.
Commercio e investimenti hanno sostenuto e tratto profitto dall’economia israeliana. Le esportazioni di elettronica, prodotti farmaceutici, energia, minerali e beni a duplice uso hanno raggiunto un totale di 474 miliardi di dollari statunitensi, aiutando Israele a finanziare le proprie operazioni militari. E mentre l’Unione Europea è stata così rapida nell’imporre sanzioni contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina, continua ancora oggi a essere il principale partner commerciale di Israele.
Nel frattempo, il Nord America e diversi Stati Arabi continuano ad approfondire i propri legami economici con Israele, e solo pochi Stati hanno ridotto marginalmente il commercio durante il genocidio, mentre i flussi commerciali indiretti persistono. Devo dire che uno degli aspetti più sadici di questo genocidio è la strumentalizzazione degli aiuti umanitari. Ciò che è iniziato con il blocco illegale e con gli attacchi contro l’UNRWA si è trasformato in una completa sottomissione degli aiuti alla volontà di Israele e degli Stati Uniti, privandoli del loro ruolo protettivo. Queste misure, sostenute o approvate dagli Stati membri, hanno ovviamente aggravato le condizioni di vita a Gaza. Il problema, purtroppo, è profondamente ideologico, poiché i leader occidentali hanno ripetuto la propaganda israeliana, riproponendo il mantra della legittima difesa e rispolverando tropi coloniali che descrivono i palestinesi come esseri inferiori, come terroristi per definizione e inquadrando la distruzione di Gaza come una battaglia della civiltà contro la barbarie, eliminando così la distinzione tra civili e combattenti.
Concludendo queste osservazioni iniziali, desidero sottolineare, parlando dalle radici della Madre Africa, quanto mi sorprenda vedere quanto poco abbiano fatto molti Stati appartenenti alla maggioranza globale o cosiddetto Sud Globale, inclusi quelli del continente africano, una volta liberatisi dell’oppressione coloniale per affrontare questo genocidio. Solo 14 Stati hanno aderito all’importante decisione del Sudafrica di avviare la storica causa per genocidio contro Israele dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia. E vedete, non si tratta solo della Palestina, si tratta della sopravvivenza stessa delle Nazioni Unite, dei loro valori e principi fondamentali.
Dalle rovine dell’oppressione dobbiamo forgiare un nuovo multilateralismo, non a servizio dei pochi, ma dei molti, fondato sulla dignità umana, l’uguaglianza dei diritti e la giustizia”.
Stefano Vaccara ITALPRESS New York:
“Durante la sua presentazione, non a noi giornalisti, ma agli Stati membri, ci sono state reazioni molto dure da parte dell’ambasciatore israeliano, ma anche da parte dell’Italia, il suo Paese. La mia domanda è: che messaggio vuole mandare al suo governo e al suo popolo riguardo a ciò che le è accaduto.
E poi un’altra domanda molto importante di cui si è discusso anche qui oggi. Ritiene che il Segretario Generale abbia fatto tutto ciò che era in suo potere per difenderla, o avrebbe dovuto fare di più”?
Francesca Albanese:
“Ho ricevuto dall’Assemblea Generale molto sostegno e apprezzamento per le mie conclusioni, anche da parte di Stati membri che sono citati nel rapporto. Tra questi vi sono Paesi arabi, ma anche Stati come il Sudafrica o la Colombia.
Ci sono anche Stati menzionati e messi in evidenza nel rapporto che non hanno preso la parola, e considero questo un segnale positivo. C’è poi stata una folla di Stati membri che normalmente non partecipano ai miei dialoghi interattivi, tra cui l’Italia, l’Ungheria e la Romania, che invece si sono presentati per sostenere le parole di Israele. E sa, io accolgo le critiche in modo costruttivo.
Come ho detto a Ungheria e Italia: va bene. Mi accusate di fare affermazioni politiche, per esempio, così potrò correggermi. Perché ciò che sto dicendo non è politico, sto rispondendo alle risultanze del mio rapporto.
Il fatto è che voi state sostenendo diplomaticamente, politicamente, militarmente ed economicamente uno Stato che oggi è davanti a due corti internazionali per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. E questo vi espone, voi e i vostri funzionari di governo, al rischio di essere considerati complici di genocidio, e saranno i tribunali nazionali e forse anche la Corte Penale internazionale, a giudicarvi. Mi sembra che tutto questo clamore serva soltanto a distogliere l’attenzione dalle conclusioni del mio rapporto.
E dopo tre anni di continue esposizioni e attacchi, devo dire che ormai non sento quasi più quelli personali. Ciò che sento più forte è il grido che arriva da Gaza, che chiede la fine della brutalità e del genocidio. Il grido che viene dalla Cisgiordania, che chiede la fine della pulizia etnica.
E il grido della gente, anche nel mio stesso paese, stanca e disgustata da questo genocidio in corso. Il governo deve rispondere alle centinaia di migliaia di persone che scendono in piazza, ai lavoratori che scioperano, alle persone e soprattutto ai giovani, per i quali questo genocidio è una memoria che si sta formando ora. Devono rispondere a loro sul perché continuano a fornire armi a Israele, non a me, a loro.
Io qui parlo come relatrice speciale delle Nazioni Unite, quindi non importa se le critiche vengono dal mio governo o da un altro, sono loro che devono rispondere alle accuse contenute nel mio rapporto. E riguardo al segretario generale: non ho alcun commento. Nessun commento”.
Evelyn Leopold:
“Che bello vederla. Pensa che il 7 ottobre sia stato un punto di svolta? Intendo dire, crede che ciò che è accaduto al 7 ottobre sia stato un punto di svolta”?
Francesca Albanese:
“Credo che ciò che è accaduto al 7 ottobre debba essere raccontato agli israeliani e al mondo per ciò che realmente è stato. Penso che nessuno di noi abbia avuto il tempo di comprendere pienamente cosa sia accaduto, perché sono state attaccate basi militari e in parte l’attacco ha colpito obiettivi militari israeliani.
Tuttavia, gli attacchi diretti contro i civili israeliani sono stati crimini, crimini commessi da gruppi armati palestinesi, ma, come dimostrano crescenti prove, anche dall’esercito israeliano stesso. C’è la commissione d’inchiesta che ha indagato su questi eventi al meglio delle sue capacità e che ha già pubblicato un rapporto un anno e mezzo fa. Ciò che invece io considero davvero un punto di svolta è stato l’intento genocidario che ha trasformato un regime coloniale di insediamento e di apartheid in un genocidio.
Questo è iniziato il 9 ottobre, quando è stato espresso chiaramente l’intento di tagliare cibo, acqua, medicine, carburante ai palestinesi, definiti animali umani, trattando un intero popolo come il nemico naturale degli israeliani. Per me, dunque, il 9 ottobre 2023 è stato il vero punto di svolta.
Giornalista:
“Vorrei farle due domande. La prima, ci può dire se ha subito restrizioni di viaggio quando ha cercato di ottenere i documenti per recarsi a New York? Credo che ci sia un po’ di confusione sul fatto se le sanzioni imposte contro di lei includano o meno il divieto di viaggio negli Stati Uniti. La seconda domanda è: questo è il suo ultimo rapporto e anche diversi altri commissari che hanno lavorato con lei stanno lasciando il loro incarico. Le chiedo, teme che quanto accaduto a lei e ai suoi colleghi, considerando gli attacchi personali e le minacce alla sua sicurezza fisica, possa scoraggiare in futuro altre persone dal volere affrontare o denunciare questioni come questa e dall’assumere ruoli di esperti ONU su temi così delicati”?
Francesca Albanese:
“Sì, giusto per chiarire perché mi sembra che oggi ci sia un po’ di confusione.
La commissione d’inchiesta presieduta da Navanethem Pillay ha presentato il suo ultimo rapporto, ma il mio mandato prosegue ancora per due anni e mezzo quindi a meno che non accada qualcosa di significativo dovrei restare in carica fino al 2028. Per rispondere alla sua domanda sono stata la prima esperta delle Nazioni Unite anzi la prima persona legata all’ONU a essere sanzionata da uno Stato e per di più da uno degli Stati più potenti della comunità internazionale. Come ho detto oggi agli stati membri ciò rappresenta un affronto alle Nazioni Unite stesse ai loro principi alla loro essenza più profonda.
Sono sorpresa che da luglio non siano stati compiuti passi concreti al di là di dichiarazioni e condanne che naturalmente apprezzo molto, ma che non risolvono il problema. Le sanzioni non sono state revocate e continuano a limitarmi in modo gravissimo sia dal punto di vista finanziario che pratico. Le difficoltà per me sono molte, ma preferisco discuterne con gli Stati membri e non con i media perché non voglio distogliere l’attenzione dal contenuto, che riguarda il genocidio in Palestina.
Per quanto riguarda le restrizioni di viaggio il divieto d’ingresso è una conseguenza diretta delle sanzioni, che sono illegali in quanto contrario allo Statuto delle Nazioni Unite e alla Convenzione ONU sui privilegi e le immunità. Come esperta ONU lavoro a titolo gratuito, con grande sacrificio e disciplina perché sono costantemente sotto osservazione. Per questo presto la massima attenzione affinché i dati e le conclusioni dei miei rapporti siano solidi, verificati e comprovati.
A tutti gli Stati membri, più di 60, il mio rapporto è stato inviato una settimana prima della presentazione per permettere di inviare osservazioni. Capisco che alcuni si siano lamentati di non aver avuto abbastanza tempo, ma vorrei invitarli a trascorrere anche solo un giorno della mia vita dovendo gestire le sanzioni, il genocidio in corso e tutto il resto. Facessero il loro lavoro mentre io continuo a fare il mio con diligenza.
Io opero in spirito di fiducia, ho fiducia nelle Nazioni Unite e mi aspetto che esse difendano la Convenzione sui privilegi e le immunità. Come dicevo, le sanzioni includono un divieto di viaggio e sanzioni economiche imposte non solo a me, ma anche a chiunque abbia rapporti economici con me, compresa la mia famiglia. Avevo fatto domanda per recarmi negli Stati Uniti, ma sinceramente il processo è stato talmente complicato e lungo che alla fine ho pensato che non valeva la pena entrare in conflitto con gli Stati Uniti solo per la mia presenza a Ney York. Sono felice di essere in Sudafrica, fra persone che meritano la mia presenza”.
Abudullah Midsayem del quotidiano arabo Al-Quds:
“Grazie Francesca. Ho due domande e forse un breve seguito. La prima riguarda la Corte Penale Internazionale. Come sappiamo la CPI persegue i crimini commessi da individui e non da Stati. La Corte ha emesso due mandati di arresto nei confronti di due persone, il primo ministro e il ministro della difesa israeliani. La prima volta se ne è parlato il 20 maggio, ma i mandati sono stati emessi il 21 novembre, se non erro. Dal 20 maggio a oggi nessun altro individuo è stato incriminato, nonostante i continui crimini di guerra, crimini contro l’umanità e atti di genocidio, come la distruzione di ospedali, cliniche, depositi di cibo e così via. Eppure la CPI non ha emesso nemmeno un nuovo mandato di arresto dopo quei due. Cosa ne pensa? Perché la Corte Penale Internazionale non sta svolgendo adeguatamente il proprio compito? La seconda domanda riguarda invece il contesto del 7 ottobre. Sembra che Israele e i suoi alleati vogliano che la storia inizi il 7 ottobre, senza nulla prima e senza nulla dopo. Vogliono che si guardi solo alle persone uccise in Israele o a ciò che accade in Cisgiordania a partire dal 7 ottobre, come se fosse un nuovo 11 settembre. Ma come lei sa il genocidio del popolo palestinese non è cominciato il 7 ottobre 2023, né il 6, ma nel 1948. Come mai allora molti funzionari delle Nazioni Unite non riescono a collegare i puntini, a mettere in relazione quanto accaduto ai palestinesi da allora quando furono sradicati dalle loro case costretti alla fuga trasformati in rifugiati attraverso guerre su guerre, 1956, 1967, 1973, 1982 e poi 5 guerre solo su Gaza! Perché secondo lei non si ricostruisce il quadro completo collegando ciò che è accaduto prima del 7 ottobre a ciò che sta accadendo oggi? Grazie”!
Francesca Albanese:
“Guardi, è vero, la Corte Penale Internazionale ha emesso soltanto due mandati di arresto e la domanda è perché ha dovuto aspettare fino all’autunno del 2024 per farlo, dal momento che il colonialismo di insediamento era già in corso da tempo e quindi anche le aggressioni contro il popolo palestinese, gli sfollamenti forzati, l’uso sistematico della tortura contro i detenuti palestinesi, la detenzione arbitraria. Ma vorrei spostare l’attenzione su un altro aspetto che non è marginale e che si è manifestato negli ultimi mesi. La Corte Penale Internazionale è stata sottoposta a pressioni senza precedenti. Ricordo che diversi Stati hanno violato il loro obbligo di cooperare con la Corte e di arrestare le persone oggetto di mandato, consentendo ad esempio al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ricercato dalla CPI, di utilizzare il proprio spazio aereo. L’Ungheria, per esempio, si è di fatto sottratta allo Statuto di Roma dichiarando che non arresterà Netanyahu e lo stesso ha fatto la Polonia. Una realtà in cui certe critiche legittime alla CPI trovano effettivamente fondamento, ma dove allo stesso tempo il diritto internazionale, compreso quello penale internazionale, può esistere solo se gli Stati lo applicano. La Corte Penale Internazionale non ha una propria polizia, ecco perché la Corte è di fatto strangolata. Mi chiedo se di questo passo, tra 5 o 10 anni, la Corte Penale Internazionale esisterà ancora. E non stiamo parlando di un futuro distopico, stiamo già vivendo in un presente distopico in cui Stati influenti non rispettano più le regole, dichiarano apertamente di non avere più bisogno di un sistema internazionale, agiscono secondo il principio “la forza fa il diritto”. E c’è una sola forza capace di fermare questa realtà aberrante e distopica: noi cittadini comuni! Negli Stati Uniti, in Europa e anche in questo continente e però di fronte ai crimini commessi contro i palestinesi restiamo sempre più in silenzio e per me la Palestina è la prova decisiva! Dunque, ripeto, il problema non riguarda singoli individui o la Corte Penale Internazionale in sé, ma è sistemico e generalizzato.
Per quanto riguarda la seconda domanda, sono d’accordo con lei, la storia non è iniziata il 7 ottobre, la violenza in Palestina o in Israele e Palestina non è certo cominciata quel giorno: non ho bisogno di esserne convinta, ho già scritto sette rapporti su questo. Mi chiede perché i funzionari delle Nazioni Unite non prendano una posizione più ferma! Lei è a New York, perché non lo chiede direttamente a loro? Io non posso rispondere al loro posto!
Giornalista:
Onestamente sì, gliel’ho chiesto molte volte anche al Segretario Generale che lo aveva menzionato una volta e non lo ha mai più ripetuto, questo perché dopo quella dichiarazione gli fu chiesto di dimettersi e venne attaccato duramente, proprio come attaccano lei ora e da allora non ha più ripetuto che il 7 ottobre non è venuto dal nulla.
Afra Kousagi di Arab News Daily:
Grazie, grazie mille, è un piacere vederla signora Albanese! Lei ha detto che tutto questo riguarda anche la sopravvivenza delle Nazioni Unite, in base ai loro principi e valori fondamentali. Può approfondire questo concetto? Quali sono le sue preoccupazioni per il futuro di questa organizzazione, considerando che molti dei Paesi citati nel suo rapporto, in particolare quelli occidentali, si vantano di difendere il diritto internazionale, i diritti umani e le convenzioni internazionali. Alla luce di tutto questo che significato ha oggi il diritto internazionale, anche dal punto di vista di una giurista come lei?
Francesca Albanese:
No, credo che gli Stati membri, come lei dice, non possano più dirsi fieri di difendere il diritto internazionale. Non lo fanno più, non ne sentono il bisogno. E l’ipocrisia di molti è ormai talmente evidente che capisco perché non fingono più di volerlo difendere. In certi contesti sì, invocano il diritto internazionale contro la Russia per porre fine alla guerra in Ucraina e penso che questo sia giusto. Ma i doppi standard sono talmente clamorosi da risultare patetici. E poi penso a tutti gli altri popoli che stanno morendo mentre gran parte della comunità internazionale distoglie lo sguardo: pensiamo al Sudan, al Congo. Ci sono oltre 50 conflitti in corso e non c’è alcuna vera attenzione, alcuna cura, solo parole sporadiche, superficiali e prive di conseguenze. Credo che questo momento storico sia, come ho spesso detto, apocalittico, nel senso che mostra l’apocalisse fisica di Gaza, ma rivela anche chi siamo come individui, come comunità, come Stati e come organizzazioni. Le Nazioni Unite sono state create per proteggere la pace e la stabilità, per prevenire i conflitti e per molto tempo ci sono riuscite, almeno evitando una guerra nucleare. Ma a Gaza hanno fallito miseramente. Hanno fallito nel far rispettare il diritto internazionale che per me, come giurista, rappresenta la responsabilità più grave. L’ho detto sin dal 10 ottobre 2023: Israele non può invocare la legittima difesa, l’articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite non si applica in un contesto di occupazione permanente, si applica solo nei conflitti tra Stati. Se Israele o i suoi alleati sono convinti che Hamas, o qualsiasi gruppo armato palestinese privo di un esercito, di carri armati o di caccia F-35, costituisca una minaccia alla sicurezza di Israele tale da giustificare l’uso della forza, allora dovrebbero rivolgersi alla Corte Internazionale di Giustizia e chiedere un nuovo parere consultivo. Perché fino ad oggi il diritto internazionale impedisce a Israele di invocare la legittima difesa, mentre occupa illegalmente un territorio che non gli appartiene. Israele deve ritirare le sue truppe, smantellare le colonie, smettere di sfruttare le risorse palestinesi e di praticare un sistema di apartheid e segregazione razziale nei confronti dei palestinesi.
Questa funzione, quella di promuovere, ospitare e favorire un dialogo volto a fermare la brutalità e le violazioni del diritto umanitario internazionale, ha fallito. Come ho detto nelle mie osservazioni iniziali, ciò che trovo più deprimente è quanto è accaduto alla funzione umanitaria delle Nazioni Unite, anche essa ha fallito. Le Nazioni Unite nel loro insieme hanno permesso lo smantellamento quasi completo della loro funzione umanitaria a Gaza, a seguito del durissimo colpo subito dall’URWA.
Il fatto è che gli Stati membri, perché in fin dei conti le Nazioni Unite sono un’organizzazione intergovernativa, una coalizione, una famiglia di Stati, non sono stati in grado di isolare e contenere i due Stati che oggi rappresentano una minaccia per la pace e la sicurezza nella regione araba e oltre, Israele e gli Stati Uniti. E tutto questo continua.
Dall’11 ottobre in poi, gli stati membri continuano a parlare di pace, di cessate il fuoco, ma la mediocrità e l’ipocrisia di questo dibattito mi lasciano senza parole. Non so più cosa dire, quasi 100 palestinesi sono stati uccisi e circa 350 feriti, eppure si continua a fingere che la situazione stia migliorando. Continuano a essere affamati, gli aiuti non entrano.
Gli ostaggi israeliani fortunatamente sono stati liberati e hanno potuto tornare sani e salvi nelle loro case, mentre i palestinesi no. I corpi dei palestinesi trattenuti sono stati restituiti profanati, con segni di tortura, e questo mostra l’arroganza di Israele, che ormai non conosce vergogna. I prigionieri palestinesi o, meglio, gli ostaggi palestinesi che sono stati rilasciati raccontano le torture subite. Ci sono ancora 10.000 palestinesi detenuti nelle carceri israeliani, e nulla cambia. Mi chiedo cosa tutto questo significhi per le nuove generazioni. Perché la mia generazione è cresciuta con un ideale, un senso di fiducia nelle Nazioni Unite, che oggi hanno miseramente fallito nel sostenere la propria carta.
E cosa dice questo del diritto internazionale? Beh, penso che il diritto internazionale abbia una storia diversa, perché è un sistema di norme che serve a distinguere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Oggi il diritto internazionale viene invocato dalle persone comuni, dalle masse, contro il genocidio, contro l’apartheid, contro i crimini di Israele. Forse gli Stati membri, i diplomatici e i funzionari non se ne rendono ancora conto, ma stiamo vivendo una fase di accelerazione. Siamo già nel futuro, un futuro in cui, mi dispiace dirlo, le Nazioni Unite stanno diventando sempre più irrilevanti. E lo dico con rammarico, perché vorrei invece vedere le Nazioni Unite rialzarsi, raddrizzare la schiena, restare salde e fedeli ai propri principi. Ma, temo, non è questa la direzione verso cui stiamo andando.
Paolo Mastrolilli, del quotidiano La Repubblica.
Grazie mille. Vorrei tornare a ciò che lei ha detto sull’Italia nel suo rapporto.
Cosa dovrebbe fare concretamente l’Italia per conformarsi alle raccomandazioni contenute nel suo rapporto? Smettere di vendere armi? Interrompere i rapporti commerciali con Israele? Quali sono, in pratica, i passi concreti che lei si aspetta dall’Italia?
Francesca Albanese:
Una cosa positiva sarebbe che il governo italiano leggesse i miei rapporti e si confrontasse seriamente con i loro contenuti e con le conclusioni, invece di diffondere accuse infondate che servono solo a distogliere l’attenzione dal cuore della questione. L’Italia sta mostrando un livello di immaturità politica che non ho riscontrato in nessun altro Paese. Ho avuto il privilegio, o forse la sfortuna, di assistere all’intervento dell’ambasciatore italiano, e devo dire che verrà ricordato come ridicolo, perché non ha toccato nemmeno uno dei punti concreti del mio rapporto. Avrebbe potuto dire, no, ciò che lei afferma sull’Italia non è vero e le spiego perché, ma non l’ha fatto, si è limitato ad accusarmi di fare dichiarazioni politiche. E questo, ancora una volta, mostra una mancanza di maturità politica che non riconosco nel Paese in cui sono cresciuta, un Paese che un tempo aveva una rispettabile tradizione diplomatica.
Per quanto riguarda ciò che l’Italia dovrebbe fare, la risposta è semplice: rispettare il diritto internazionale, smettere di difendere Israele come se fosse un proprio ufficiale in comando, interrompere i rapporti commerciali ed economici, in particolare la vendita di armi e componenti d’arma. Fare ciò che chiedono i portuali e i cittadini italiani che stanno scioperando, ovvero che i porti italiani non siano più utilizzati come punti di transito per le merci israeliane dirette al mercato europeo, né per il passaggio di armi o componenti militari provenienti da altri Paesi europei verso Israele. Così facendo, oggi l’Italia sta violando le proprie stesse leggi, perché la normativa italiana prevede controlli sui carichi diretti verso Paesi extra-UE e tali controlli non vengono effettuati. Viola anche la Costituzione, che proibisce di partecipare a guerre e viola gli obblighi internazionali, inclusi quelli di prevenire il genocidio.
Non si tratta di un’opinione personale e non solo di quanto affermo io, o la Commissione d’Inchiesta ONU, o il Comitato Speciale ONU sulle pratiche israeliane, o gli studiosi di genocidio, ma è la stessa Corte Internazionale di Giustizia ad averlo stabilito. Nel gennaio 2024 la Corte ha riconosciuto il rischio di genocidio. Questo ha attivato l’obbligo per l’Italia e per tutti gli altri Stati interessati di interrompere immediatamente il commercio con Israele, in particolare quello di armi. Finché l’Italia non lo farà, continuerà a violare il diritto internazionale e rischierà di essere considerata complice dei crimini commessi da Israele. E proprio per questo il governo italiano è stato denunciato da un’organizzazione composta da avvocati italiani che ha presentato un ricorso alla Corte Penale Internazionale. È una questione molto seria.
Mu dell’Agenzia giapponese Kyoto News.
Grazie per la conferenza stampa. Vorrei fare una domanda di approfondimento riguardo le sanzioni imposte contro di lei dagli Stati Uniti per chiarirne meglio i dettagli.
Dopo l’imposizione delle sanzioni, ha mai avuto un dialogo con il governo statunitense in merito? E inoltre, ha ricevuto qualche consiglio o commento da parte del Segretario Generale delle Nazioni Unite riguardo a queste sanzioni? Grazie.
Francesca Albanese:
“Non ho avuto alcun contatto con gli Stati Uniti. Per quanto riguarda il sostegno ricevuto finora dalle Nazioni Unite, preferisco non commentare.
Giornalista:
Ho due domande. La prima è un approfondimento su quanto ha detto riguarda l’Italia, o meglio, riguarda il ruolo dei Paesi Terzi. Lei ne ha parlato ampiamente, anche nel suo rapporto, ma vorrei capire perché, secondo lei, questi Paesi Terzi ignorano il diritto internazionale, ignorano le loro stesse leggi e accettano persino il rischio di essere ritenuti legalmente responsabili.
La seconda domanda riguarda i media e la costruzione del consenso. Lei ha accennato al ruolo dei media, ma potrebbe approfondire, inserendo la questione in un contesto più ampio? In particolare, come vede il comportamento dei grandi media occidentali di fronte a questo genocidio? E in generale il modo in cui trattano le guerre, come ad esempio l’invasione dell’Iraq?
Francesca Albanese:
Guardi, alla domanda sul perché così tanti Stati preferiscano violare il diritto internazionale piuttosto che rispettarlo, direi che da un lato non temono conseguenze, perché il diritto internazionale si fonda sul principio di reciprocità. Io rispetto la legge sapendo che anche gli altri, in buona fede, la rispetteranno. Ma naturalmente, le conseguenze delle violazioni dipendono dall’efficacia del sistema nel reagire e oggi questa efficacia è quasi nulla. In passato, come dimostra la storia del Sudafrica e dell’apartheid, molti Stati membri inizialmente proteggevano il regime sudafricano, ma poi furono spinti e costretti ad agire, grazie alla solidarietà globale e anche alla pressione di altri Stati membri all’interno dell’Assemblea Generale. All’epoca, membri chiave del Consiglio di Sicurezza, gli Stati Uniti e il Regno Unito, insieme a Israele, al di fuori del Consiglio, erano tra i principali alleati del Sudafrica.
Ma ciò che allora fece la differenza fu l’unità del movimento dei Paesi non allineati, il cosiddetto Sud globale o maggioranza globale. Oggi quell’unità si è sgretolata. Israele è riuscita a costruire un’influenza politica, economica e militare in molte aree della maggioranza globale, in Africa, in America Latina, in Asia.
Poi c’è un secondo elemento, l’ideologia. Nel Nord globale o minoranza globale, esiste una forte affinità ideologica con Israele, almeno tra coloro che detengono il potere. In parte questo deriva anche da pregiudizi antimusulmani.
I palestinesi vengono percepiti come meno degni di protezione. E questo, per quanto indicibile, è un dato di realtà. Un altro aspetto ideologico spesso ignorato è la penetrazione del sionismo cristiano, che sta rendendo molte società del Sud globale meno sensibili alla questione palestinese.
Lo vedo chiaramente attraverso il mio dialogo con stati, ONG e gruppi religiosi in Asia, Africa e America Latina. Si tratta di un problema crescente che manipola la percezione di ciò che accade in Palestina e distorce la narrazione. Poi naturalmente c’è il fattore economico, il profitto.
Molti Stati collaborano con Israele, testando armi e tecnologie di sorveglianza sulla pelle dei palestinesi. E tragicamente anche Paesi che non hanno relazioni diplomatiche dirette con Israele continuano a comprare queste tecnologie, queste armi sempre più micidiali. E viene da chiedersi contro chi pensano di usarle. Droni, sistemi ibridi, armi e tecnologie non convenzionali. È una realtà molto seria. Infine, ma non meno importante, c’è un problema di sovranità: tendiamo a pensare agli Stati come a entità autonome, ma molti non esercitano più un potere decisionale effettivo, perché il potere reale risiede nelle multinazionali che operano nei loro territori. Stiamo ancora vivendo l’eredità del colonialismo di insediamento del secolo scorso, che oggi ha assunto una forma economica e corporativa. Non ci sono più colonizzatori con gli stivali sul terreno, ma interessi economici che traggono profitto da tutto questo.
Per quanto riguarda i media, non voglio pontificare, ma posso dire che ho fatto delle indagini che non sono ancora sfociate in un rapporto e sì, confermo che i media mainstream occidentali hanno mostrato gravi carenze. Un linguaggio distorto, assenza di contesto e copertura squilibrata tra ciò che accade agli israeliani e ciò che accade ai palestinesi. La situazione è leggermente cambiata dopo la rottura del cessate il fuoco nel marzo 2025 e con l’inasprirsi della crisi umanitaria. Ma nel complesso la narrazione resta profondamente sbilanciata. Ecco perché continuo a dire che appena ne avrò il tempo, vorrei approfondire e indagare il ruolo dei media, perché merita un’attenzione e un controllo accurati. Tuttavia, sono costantemente impegnata nel monitorare le continue violazioni del diritto internazionale da parte di Israele, che proseguono su vasta scala, mentre gli Stati membri continuano a parlare di pace e di cessate il fuoco. Ma diciamolo chiaramente: a Gaza non c’è nessun cessate il fuoco. La gente continua a morire, a soffrire la fame e a essere sradicata con la forza. È semplice e terribilmente reale.
Giornalista:
Grazie, signora Albanese, per questo briefing. Ho un paio di domande per lei. La prima, poco fa, ha parlato di sionismo cristiano. Negli Stati Uniti ci sono due gruppi cristiani che l’hanno citata in giudizio per diffamazione. Vorrei sapere se ha un commento su questa causa e perché, secondo quanto si dice, si starebbe avvalendo del governo sudafricano per schermarsi da questa causa e sottrarsi al procedimento. La seconda domanda riguarda un’intervista che lei ha rilasciato a Vanity Fair all’inizio di quest’anno, di non aver sostenuto l’esame di abilitazione forense e ha detto di aver chiesto alle Nazioni Unite di fornire la prova che lei non fosse stata finanziata da organizzazioni legate ad Hamas durante alcuni viaggi di qualche anno fa, poiché, a quanto risulta, l’ONU non ha ancora prodotto tale documentazione e le chiedo: è disposta lei stessa a renderla pubblica, visto che immagino disponga di quei registri?
Francesca Albanese:
Max, ti sfido, te e chiunque altro davvero, come può l’ONU provare qualcosa che non è mai accaduto? È probabilmente la decima volta che ripeto questa cosa.
Il viaggio in Australia è stato finanziato dalle Nazioni Unite. Puoi sostenere che l’ONU non avrebbe dovuto pagarmi quel viaggio o che non dovrebbe finanziare il mio viaggio in Sudafrica e va bene. Ma ti dico chiaramente, mi piacerebbe poter usare i fondi delle Nazioni Unite per recarmi nei territori palestinesi occupati, ma Israele non me lo consente.
Quindi ti sfido, fornisci una sola prova che Hamas mi abbia pagato qualcosa, anche solo un pasto e io smetterò di essere relatrice speciale domani stesso.
Passiamo allora alla seconda domanda. Sì, so che ci sono gruppi di sionisti cristiani che, invece di smettere di finanziare e coprire i crimini di Israele, hanno deciso di fare causa a me, ma io sono tutelata dalle prerogative di immunità previste per il mio incarico a ONU e ritengo che sia esattamente questo che il governo sudafricano ha difeso. Non ho ulteriori informazioni in merito. Per qualsiasi chiarimento su questo punto, il suo governo sarà felice di risponderle.
Giornalista:
Ha parlato delle difficoltà del sistema giuridico internazionale nel rispondere adeguatamente e in effetti abbiamo viste chiaramente anche noi i limiti del diritto internazionale nell’affrontare situazioni come questa.
Le chiedo, il suo rapporto apre forse nuove possibilità per i tribunali nazionali dei Paesi terzi di intervenire su questi temi? Può approfondire questo aspetto, ossia se il suo rapporto offre maggiori strumenti o incentivi giuridici per i cittadini che vogliano chiamare in causa i propri Stati davanti ai tribunali nazionali per non aver adempiuto ai loro obblighi internazionali e, se sì, potrebbe spiegare quali forme concrete potrebbe assumere questo percorso legale? Ad esempio, associazioni o gruppi di cittadini nel Regno Unito, in Belgio o in altri Paesi, potrebbero ricorrere alla giustizia nazionale per denunciare la mancata osservanza di tali obblighi?
Francesca Albanese:
Risponderò a questa domanda. Sì, come ho già detto, gli Stati membri hanno una serie di obblighi. Devono interrompere il commercio, fermare il trasferimento di armi, ma anche indagare e perseguire chiunque possa essere responsabile di crimini o complice di crimini. Questo può riguardare anche autorità statali. In alcuni Paesi sono già stati avviati procedimenti legali contro funzionari governativi per complicità nei crimini commessi da Israele, ma gli Stati membri hanno anche l’obbligo di regolare e controllare le imprese registrate nei propri territori e su questo fronte è stato fatto pochissimo, praticamente nulla.
Ci sono tuttavia alcune cause già avviate in diversi Paesi contro ad esempio Airbnb, Booking.com e, se non sbaglio, anche contro una piattaforma di turismo online, di cui non so se la causa sia pubblica o meno, nonché contro compagnie petrolifere e produttrici di armi. E naturalmente ci sono casi molto importanti che dovrebbero partire proprio a livello nazionale, nei tribunali interni. Lo spero perché, come ho già detto, la Corte Penale Internazionale sta affrontando grandi difficoltà.
Ma esistono giurisdizioni nazionali competenti, soprattutto nei confronti dei propri cittadini che hanno combattuto nell’esercito israeliano. Quindi, ad esempio, cittadini sudafricani, britannici o italiani che hanno prestato servizio nell’esercito israeliano dovrebbero essere considerati sospetti e quindi oggetto di indagine e, se le prove raccolte lo giustificano, perseguiti penalmente per i crimini a cui potrebbero aver partecipato. C’è poi il caso di israeliani che si trovano in altri Paesi e che non hanno un legame di nazionalità con lo stato in cui si trovano.
Anche la loro semplice presenza può far scattare un’indagine, poiché si tratta di reati di diritto internazionale perseguibili in base alla giurisdizione universale. Per questo motivo, alcune organizzazioni e gruppi di avvocati stanno lavorando in questa direzione. Sarà un processo lungo, ma credo che alla fine avrà successo.
Non siamo ancora riusciti a prevenire e fermare il genocidio, ma spero che il principio di responsabilità penale cominci finalmente a colmare questo vuoto.
Marvin Charlson di News24.
“Salve, Francesca, ho due domande per lei. Da quando ha presentato il suo rapporto, che cosa è cambiato, se qualcosa è cambiato? E sul piano personale, quale sarebbe per lei la soluzione ideale per Gaza?
Francesca Albanese:
Non so ancora cosa sia cambiato, perché il mio rapporto è stato presentato solo poche settimane fa e pubblicato appena la settimana scorsa. Vorrei poter dire che ha già prodotto degli effetti, ma al momento non ne vedo di concreti. Ciò che ho visto, però, è che molti Stati membri si sono mostrati irritati e questo, devo dire, mi fa piacere, perché non sono qui per metterli a loro agio.
Naturalmente vedo anche che continuano gli attacchi personali e trovo questo vergognoso, perché io vorrei soltanto che gli Stati si confrontassero con i fatti, non con ciò che pensano della mia persona o del modo in cui esercito il mio mandato. Mi aspetto che gli Stati affrontino nel merito le accuse che rivolgo loro. Israele e tutti gli altri Stati coinvolti devono prendere sul serio le accuse, non per ciò che dico io, ma per la gravità delle questioni stesse che oggi sono oggetto di indagine davanti alla Corte Internazionale di Giustizia per genocidio e davanti alla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, ci sono già mandati di arresto emessi e molti altri casi sono stati presentati presso tribunali nazionali. Quindi questo è davvero un momento di svolta. O si sceglie la giustizia o il suo opposto. È un momento estremamente serio e temo che gli Stati membri non ne stiano cogliendo la gravità, accecati dai propri interessi politici. Cito spesso, e lo faccio anche per chi ci segue online o da New York, alcune righe manoscritte di Nelson Mandela, che mi hanno profondamente colpita. Scriveva che nel corso dei secoli uomini e donne vanno e vengono. Alcuni non lasciano traccia, altri sono ricordati per il male che hanno fatto e altri ancora per il loro tentativo di portare giustizia attraverso le proprie azioni in questa vita. Ecco, credo che anche i diplomatici e funzionari pubblici debbano chiedersi quale ruolo vogliono giocare in questa pagina triste e tragica della nostra storia, perché stiamo vivendo su un futuro preso in prestito e molti sembrano non rendersene conto.










