Ieri sera, davanti all’Ospedale San Michele di Cagliari, le luci hanno brillato per Gaza. Alla stessa ora, anche al Policlinico universitario di Monserrrato nella città metropolitana. Uno dei tanti flashmob davanti ai 21 ospedali della Sardegna.
Sono le ore 20:00 del 2 ottobre 2025 e in tanti ci siamo incontrati qua, davanti all’ingresso del più grande ospedale della Sardegna, ci apprestiamo ad una sera molto particolare. Tra pochi minuti leggeremo i nomi di 1677 operatori sanitari assassinati a Gaza, nella striscia omonima in Palestina, ci siamo organizzati seguendo la richiesta avanzata in tutta l’Italia da #digiunoGaza che fa parte della rete creata da BDS Italia che da anni informa e invita a boicottare le aziende che alimentano lo Stato d’Israele, oltre alle navi anche italiane caricano merci ed armi sempre per i porti israeliani.
C’e da aggiungere che il triste elenco degli ammazzati è stato preparato a luglio e si dovrebbero aggiungere almeno altre cinquanta persone che hanno perso la vita mentre cercavano salvare la vita di tanti palestinesi, feriti, mutilati, destinati ormai lo sappiamo troppe volte a morire assieme ai tanti normali ammalati che continuano ad essere presenti in una popolazione di quasi 7 milioni di abitanti di questa terra martoriata, a causa del blocco quasi totale di farmaci, anche salvavita ed oncologici che circonda la Striscia di Gaza.
Introduce Giancarlo Nonis, del gruppo che ha promosso questo evento: «Buonasera a tutte e tutti, e grazie di essere qui stasera. Stasera siamo di fronte a questo Ospedale, e siamo insieme a migliaia di altri colleghe e colleghi, cittadine e cittadini, in tantissimi altri Ospedali d’Italia (circa 230). Siamo dove è giusto essere in questo momento tragico della storia, uniti da un filo che attraversa il dolore e la distanza, per chiedere che si fermi il genocidio del popolo palestinese.
Siamo accanto alle donne ed agli uomini della Global Sumud Flottilla, e diciamo loro grazie, grazie per la vostra impresa coraggiosa, disarmata, umanitaria e politica, capace tra le altre cose di mettere a nudo le ipocrisie e le complicità dei governi – come il nostro Governo – che sostengono i crimini di Israele. Come sanitarie e sanitari, sappiamo che non esiste neutralità davanti alla distruzione deliberata di ospedali e vite. Difendere la salute significa difendere l’umanità. Il nostro dovere è “prendere parte”: la nostra parte è quella della cura, del diritto alla vita e della difesa dell’umanità.
Sappiamo che le palestinesi e i palestinesi sanno di noi, e nelle nostre mobilitazioni trovano forza e speranza. Siamo visibili ai loro occhi e siamo la loro voce che li libera dall’isolamento imposto da Israele. Sanno che qui, a molti chilometri di distanza, c’è chi non si arrende all’indifferenza. Conoscono tutte le nostre proteste, anche quelle che i media silenziano.
Noi non accettiamo di “normalizzare” un genocidio. Non saremo mai complici in questo. E non ci fermeremo. Siamo un movimento pacifico, intrecciato e solidale con tutte le altre mobilitazioni che dalle scuole ai porti, dalle università agli ospedali, per terra e per mare, ha un unico obiettivo: pace e giustizia per la Palestina. A Gaza se sei una operatrice od operatore del sistema sanitario sei preso di mira deliberatamente: mentre parliamo, 361 sanitarie e sanitari palestinesi sono detenute senza processo nelle carceri israeliane.
Le testimonianze raccolte parlano di torture, violenze, uccisioni. Li ricordiamo, tutte e tutti, e premiamo perché vengano liberati alpiù presto. Questa sera, con la lettura dei nomi delle nostre colleghe e dei nostri colleghi uccisi a Gaza, illumineremo questa notte e faremo luce sulla Palestina. Li porteremo con noi, come parte viva della nostra coscienza collettiva e motivo del nostro impegno per una pace giusta in Palestina.
A questo punto si chiede alle persone presenti, almeno un migliao, di accendere le luci. Si dà lettura dei nomi delle operatrici e degli operatori sanitari uccisi sulla Striscia di Gaza dal 7 ottobre 2023 fino ai nostri giorni; ogni nome è seguito dalla data di morte e dalla mansione (medico/a, infermiere/a, tecnico, ausiliario, ecc.). L’ascolto è profondo e commosso.
Segue la lettura di alcune testimonianza da Gaza:
«A Gaza non è più raro incontrare qualcuno che è l’unico sopravvissuto della propria famiglia. Intere famiglie spazzate via, lasciandosi alle spalle un madre sola senza i suoi figli o un bambino senza genitori, fratelli o casa. E cosa si può dire di quel dolore? Non si può misurare, non si può paragonare, il grido di una madre è insopportabile quanto il silenzio di un bambino. Il dolore è infinito e appartiene a tutti qui» (Dr. Victoria Rose, chirurga britannica).
«I palestinesi vivono nella condizione eterna in cui l’oggi è pericoloso e il domani non esiste. Non sanno neppure se riusciranno a passare la notte, le loro case sono tende precarie, sporcizia, caldo e freddo. Magari sono già sfollati e scappati più volte da altre città. Ci chiedono di parlare, ne hanno bisogno. Ci dicono: come posso io raccontare la mia storia a un altro palestinese che magari ha il mio stesso vissuto o anche peggio? Tutti hanno bisogno di parlare» (Davide Musardo, Medici Senza Frontiere).
«Con tutti i miei anni di esperienza, a vivere e lavorare nelle guerre di gaza non avevo mai visto nulla di simile. I pazienti muoiono in attesa, muoiono di infezioni, muoiono per complicazioni che sarebbero facilmente curabili in qualsiasi altro posto. Medici e infermieri crollano a terra durante i turni a causa della fame e della mancanza di cibo. Stiamo assistendo al fallimento della medicina non perché non possa aiutare ma perché le viene tolto il respiro». (Mohammed Abu Mughaisib, Medici senza frontiere).
«Non credo di aver mai provato una tale sensazione di disperazione, sapendo che potremmo salvare vite umane se solo avessimo abbastanza rifornimenti. L’unica cosa che ci permette di andare avanti è sapere che i nostri pazienti hanno bisogno di noi, e che se smettessimo di lavorare, morirebbero. È più sofferenza che resilienza, ma come operatori sanitari abbiamo ignorato i nostri stessi traumi. Quando la guerra finirà, dovremo tutti affrontare la realtà di ciò che abbiamo visto e perso, e di ciò che non può essere cancellato» (Sohaib Safi, vice consulente medico del progetto di MSF a Gaza).
Teresa Concu, infermiera, legge un documento dei sindacati di base in sostegno alla Flotilla per la Palestina. Ricorda che in Sardegna la fabbrica RWM – Rheinmetall produce proiettili per tante guerre nel mondo. A chi pone la questione dei posti di lavoro che andrebbero a mancare se la fabbrica chiudesse, suggerisce: «Basta con produrre la morte, abbiamo bisogno di tanti infermieri e medici per la Sardegna; questa è una alternativa valida».

Foto di Giancarlo Nonis
Infine, si sono succeduti interventi spontanei di operatrici e operatori sanitari e di altre persone che hanno accolto la chiamata a riunirsi davanti a un ospedale e far brillare delle luci per Gaza, a tenere accesa l’attenzione sul genocidio che si sta compiendo e chiedere a gran voce di porre fine allo sterminio di un intero popolo.










