La manovra economica non porta soldi al welfare, a sanità e istruzione, che diventano invece le vittime sacrificali per l’aumento delle spese militari. Eppure, ne avremmo grande bisogno visto che spendiamo meno della media europea. Milioni di cittadini e cittadine ormai rinunciano alle cure e molti altri ammettono di indebitarsi per sottoporsi a visite private in tempi accettabili vista la lunga lista di attesa nel pubblico.

Da una prima e rapida lettura del Documento programmatico di Finanza pubblica si evince che il solo capitolo di spesa ad essere incrementato (e in maniera sensibile) è proprio quello militare. Al contempo scorrendo la stringata nota tecnica dell’Ufficio parlamentare di Bilancio gli elementi di criticità evidenziati vanno dalle prossime scadenze del PNRR ad autentiche minacce incombenti sulla UE (il protezionismo, le guerre e i piani di riarmo, fonti primarie di incertezza con effetti sull’economia di difficile quantificazione).

Andiamo alle spese militari, sapendo che molti capitoli di bilancio afferenti ad altri ministeri non permettono la quantificazione veritiera della spesa complessivamente effettuata. In questo modo, e non certo da ora, diventa arduo non solo quantificare la spesa militare complessiva che risulterà invece inferiore alla media europea. E sarà agevolato il compito della propaganda governativa per presentare la Premier come una guida oculata e indipendente, attenta in prima istanza agli interessi nazionali.

Primi dati programmatici del MEF: in tre anni 23 miliardi in più per le spese militari – MIL€X Osservatorio sulle spese militari italiane.

Le spese per la difesa aumenteranno nei prossimi anni, magari meno di quanto previsto dagli accordi NATO e UE che vogliono i loro muri di droni e di missili, le armi all’ucraina, sia sufficiente guardare gli articoli sulla stampa e, meglio ancora, il Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp).

La spesa militare crescerà di circa 3,3 miliardi in più l’anno prossimo, quasi 7 quello dopo e 12 miliardi dal 2028 in poi, fatti due conti sono oltre 22 miliardi più di quanto speso fino ad oggi, si passa al 2,5% del PIL per spesa militare arrivando in 8\9 anni al 3,5% alle quali aggiungere oltre l’1,5% di spese non specificate in sicurezza, le missioni militari all’estero e altri “investimenti” afferenti a vari capitoli e differenti Ministeri.

Una economia di guerra che si rispetti ha bisogno di accrescere le spese militari, di prestiti dalla UE, della clausola di salvaguardia comunitaria che esclude le nuove spese per la difesa dai tradizionali vincoli fiscali europei, nella speranza di uscire presto dalla procedura di infrazione (per avere superato la soglia del debito pubblico ammesso da Bruxelles) e accrescere ulteriormente le spese.

I miliardi spesi per la difesa potrebbero presto aumentare perché esclusi dai parametri Ue,  spesa militare in deroga ai tetti di spesa per intenderci, la ipotesi di emissione del debito, pagandone gli interessi, è una condizione essenziale per la tenuta del sistema che punta sulle imprese di armi per superare la crisi in cui si dibatte l’economia e a tale scopo stanno lavorando per riconvertire  ad uso militare le imprese civili di settori in forte depressione.

Citiamo a tal riguardo una nota della scheda di MIlex appena pubblicata: “Da notare come il nostro calcolo “complessivo” non sia in contraddizione con la cifra di 12 miliardi indicata da altre fonti, perché in tal caso ci si riferisce esclusivamente alla somma degli aumenti tra un anno e l’altro (3,5 mld nel 2026 + 3,6 mld nel 2027 + 4,9 mld nel 2028), senza però tenere conto del cumulo degli aumenti e quindi della spesa aggiuntiva totale sul triennio riferita alla differenza tra lo scenario “in aumento” deciso dal Governo come avvicinamento al nuovo standard NATO e lo scenario in cui si fosse mantenuto il precedente standard (senza quindi aumenti). Come già detto in sede di precedenti analisi previsionali, immediatamente successive agli annunci NATO, tale impatto dipende dal profilo di aumento scelto dal Governo (perché paradossalmente essendo la richiesta NATO solo quella di arrivare al 3,5% + 1,5% nel 2035 un Governo potrebbe anche alzare la spesa anche solo in quell’ultimo anno del periodo). Inizialmente avevamo assunto una crescita a gradini “equivalenti” pari a +0,3% annuo mentre ora con il DPFP da pocoapprovato abbiamo una scelta definita e “reale”, almeno per i prossimi tre anni. Dunque, è possibile concretizzare ciò che interessa a noi fin dal principio: stimare l’effetto in aumento “complessivo” rispetto al precedente scenario di richieste NATO, proprio per valutare quale impatto abbia sulla spesa pubblica l’allineamento anche del Governo italiano a tale nuovo standard. E’ ovvio, dunque, che per l’analisi qui proposta non contino solo gli aumenti “tra un anno e l’altro” ma le differenze complessive rispetto allo scenario base (precedente) di standard al 2% del PIL”.

Federico Giusti, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università

L’articolo originale può essere letto qui