Gaza
Oltre mezzo milione di palestinesi sono tornati al nord della Striscia. “Le nostre case sono distrutte, ma è la nostra terra. Non ci deporteranno mai, perché noi siamo i nativi e loro gli occupanti”, ci ha detto una donna che stava camminando a piedi con i suoi tre figli sulla strada Salahuddine, “è tutto raso al suolo, ma la costruiremo ancora più bella”.
La tregua regge. Non ci sono stati raids aerei o colpi di artiglieria. I cecchini invece hanno ucciso 13 civili. Un camion imbottito di tritolo e comandato a distanza è stato fatto esplodere dai soldati israeliani in mezzo alla folla, per causare vittime innocenti. Prima del loro ritiro, i soldati israeliani hanno distrutto con la dinamite l’ospedale Rantissi di Gaza città. Il genocidio continua.
Il rapporto del ministero della sanità informa di 151 corpi arrivati negli ospedali, tra di loro 116 estratti da sotto le macerie, 13 uccisi dai cecchini e 22 a causa delle esplosioni di residuati bellici e trappole esplosive fatte deflagrare a distanza dall’esercito israeliano.
Sharm el-Sheikh
Si tiene domani, lunedì 13, a Sharm el-Sheikh la conferenza internazionale su Gaza, presieduta da Trump ed Al-Sisi. Sono invitati molti capi di Stato, tra cui Macron. Non saranno presenti né il governo israeliano, né l’ANP.
La campagna mediatica autopromozionale di Trump parla di “Pace”, ma non è così: non c’è traccia di un futuro di convivenza nella regione, ma soltanto di dominio arrogante del più forte e di un assoggettamento neocoloniale della popolazione palestinese. Trump, prima di recarsi a Sharm el-Sheikh, interverrà al parlamento israeliano, per elogiare se stesso e Netanyahu.
Il presidente egiziano, Al-Sisi, chiede un voto del consiglio di sicurezza per suggellare l’accordo e renderlo un impegno diplomatico internazionale e non una vicenda gestita interamente dal duo Trump-Netanyahu.
L’affarista petrol-diplomatico Blair è andato in Giordania per incontrare Sheikh, il vice di Abbas e uomo forte dell’ANP. L’intento è di chiedere all’autorità di mantenere un profilo basso, per non far saltare l’accordo. Le pressioni non si fanno sugli aggressori per chiedere il loro ritiro militare dai territori occupati e per dare spazio e fattibilità ai piani Onu di “due popoli due stati”, ma vengono indirizzate contro i diritti legittimi dei popoli.
Come funziona la tregua
Sul terreno militare, sono arrivati in Israele i 200 osservatori civili e militari statunitensi per monitorare la tregua. A Gaza operano già agenti della polizia egiziana “per facilitare la distribuzione degli aiuti”, scrive la stampa del Cairo. Il piano prevede la presenza di forze di polizia di Qatar, Egitto e Turchia per garantire la presa di possesso della sicurezza a Gaza da parte della forza di 10 mila agenti palestinesi che si stanno addestrando in Egitto e Giordania, con il compito di sostituire la polizia del governo attuale diretto da Hamas.
Il movimento per bocca di uno dei suoi dirigenti, Badran, ha spiegato che è disposto a lasciare l’amministrazione della Striscia, ma non alla deportazione dei suoi dirigenti o al disarmo dei suoi combattenti. “Faranno parte della polizia palestinese che manterrà la sicurezza nella Striscia, sotto la direzione di un’amministrazione civile di tecnocrati palestinesi, come è previsto dalla proposta araba”.
Scambio di prigionieri
Secondo le dichiarazioni delle parti, lunedì inizierà lo scambio di prigionieri. Tutti gli ostaggi israeliani in cambio di 250 detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, ma esclusi i dirigenti politici più in vista come Barghouti e Sa’edat. Saranno liberati anche 1950 ostaggi di Gaza rapiti dall’esercito israeliano durante i due anni di aggressione. Non saranno rilasciati i medici Abu Safiya e el-Homs.
La stampa del Cairo spiega che alla delegazione di Hamas è stato consigliato di non insistere su tali nomi, per non far saltare il tavolo del negoziato. Lo scambio avverrà con l’assistenza della Croce rossa internazionale. Tutti i prigionieri palestinesi saranno diretti a Gaza e alcuni di loro saranno ospitati in diversi paesi arabi. Gli ospedali di Gaza si stanno preparando ad accogliere i palestinesi liberati, per dare un quadro documentato alle condizioni di torture e maltrattamenti subiti nei campi di concentramento israeliani.
Media e transumanza
Il razzismo trasuda dalle bocche dei giornalisti, scorta mediatica del genocidio dei palestinesi. Usare il termine transumanza, riferito al ritorno degli sfollati palestinesi, come è stato fatto, è razzismo. Il significato della parola è: “Complesso delle migrazioni stagionali del bestiame dai pascoli di pianura a quelli delle regioni montuose e viceversa”. Definire i palestinesi come pecore è riecheggiare le frasi dell’ex ministro della guerra israeliano, Gallant: “animali umani”.
Un somaro di giornalista di una nota agenzia stampa ha scritto stanotte: “Hamas diserta la conferenza internazionale”. Ma se non è invitato nessun palestinese! Un caporedattore se n’è forse accorto ed ha cancellato il titolo.
Intanto
In Cisgiordania, un altro palestinese è stato colpito gravemente dalle pallottole dell’esercito israeliano, durante una delle sue azioni in difesa delle aggressioni dei coloni. È avvenuto a Yatta, sud di Al-Khalil.
E nel sud del Libano, altri attacchi israeliani con caccia e droni si sono succeduti. Sono stati uccisi due civili e feriti altri 11. È una guerra quotidiana non dichiarata. Tel Aviv parla di capi di Hezbollah uccisi, ma secondo il ministero della sanità di Beirut, le vittima sono tutte civili e non armate.










