Pubblichiamo qui solo uno stralcio di un lungo articolo di Bruna Bianchi uscito su Comune.info che si configura come un vero e proprio saggio di ecologia, antispecismo e nonviolenza. Per la lettura integrale, che raccomandiamo, rinviamo al sito
Mentre la perdita di habitat, il cambiamento climatico, l’inquinamento, e non da ultimo le guerre decimano la fauna selvatica, si moltiplicano in molte parti del mondo le pressioni per la liberalizzazione pressoché completa della caccia infrangendo le barriere erette grazie all’impegno di tanti attivisti e attiviste e al sostegno di gran parte dell’opinione pubblica. Ciò sta avvenendo in Europa, in Svezia, negli Stati Uniti, in Australia.
In alcuni stati africani sono stati eliminati i divieti alla caccia all’elefante per il commercio dell’avorio e dei trofei e in Tanzania la popolazione Masai viene espulsa dalle sue terre con lo scopo di trasformarle in riserve di caccia. Contemporaneamente in molti paesi i progetti di reinserimento di lupi e orsi, che a partire dagli anni Novanta avevano favorito il ripristino del naturale equilibrio tra prede e predatori, sono stati interrotti, i loro scopi ripudiati, i loro risultati compromessi o annientati.
In Italia il Ddl ora in discussione al Senato, contro il quale si sono schierate 55 associazioni, mai ascoltate nelle fasi di elaborazione del provvedimento, si inserisce in questo contesto generale di aggressione alla natura. Esso prevede la possibilità di cacciare ai valichi montani per abbattere gli uccelli migratori diretti verso i luoghi di nidificazione, nelle zone protette, in aree demaniali e lungo i fiumi; si potranno prendere di mira uccellini di pochi grammi, utilizzare richiami vivi e della loro cattura fare commercio.
Se approvata, una tale liberalizzazione avrà gravissime ripercussioni sulla biodiversità, accelererà processi di estinzione, aumenterà l’inquinamento da piombo, richiamerà sul territorio italiano i cacciatori di altri paesi, rafforzerà il potere dei produttori di armi e la loro influenza politica2e le conseguenze più gravi saranno quelle sul piano morale poiché il Ddl favorisce un modo di intendere il posto dell’umanità nel mondo improntato alla violenza, alla sopraffazione, all’avidità; induce a sopprimere sentimenti di empatia e legittima la crudeltà come fonte di piacere.
Per quanto riguarda i grandi predatori, anche in Italia i progetti di reinserimento, che negli ultimi decenni avevano consentito loro di riabitare una piccola parte delle terre che avevano percorso per secoli, sono sotto attacco. Il numero attuale dei lupi, valutato in 20.000 in tutta Europa, è stato considerato insostenibile. La recente direttiva approvata dal Parlamento europeo, e riconosciuta dal governo italiano come conforme all’interesse nazionale, ha già declassato il lupo da specie “strettamente protetta” a specie protetta, primo passo verso la caccia indiscriminata.
Viziata da una visione antropocentrica e dalla logica del dominio, la direttiva lamenta l’aumento delle aggressioni a greggi e armenti e ignora alcune delle sue cause più rilevanti, ovvero la riduzione delle prede naturali dei lupi in conseguenza di caccia indiscriminata e bracconaggio.
Nel “nostro” mondo non c’è posto per il lupo né per gli orsi che, reintrodotti nel Trentino, ora si vorrebbero ancora una volta sradicare.
Se i grandi predatori minacciano gli allevamenti, ostacolano l’agricoltura, l’espansione edilizia e della viabilità, se si avvicinano alle abitazioni, sottraggono le prede ai cacciatori, occupano spazi destinati al turismo, la guerra aperta è dichiarata, una guerra che in un contesto di gravissima crisi ecologica non può che tendere all’estinzione. […]
La caccia – per divertimento o commercio – spinge sull’orlo del collasso interi ecosistemi e aggrava costantemente processi di estinzione. L’estinzione di una specie animale, risultato di millenni di evoluzione, è al contempo estinzione dell’esperienza umana nella natura, una alienazione che affligge in particolare i bambini e i ragazzi3. Con l’estinzione di una delle creature che abitano la Terra, il suo modo di vivere e sentire, la sua presenza, la sua voce, una parte del mondo scompare.
“Ogni sensazione di ogni essere vivente, ha scritto Vinciane Despret, è un modo attraverso il quale il mondo vive e percepisce sé stesso e attraverso il quale esiste”. Questo senso di dolorosa perdita è stato così espresso dall’ornitologo statunitense William Beebe in un passo posto ad esergo a L’ultimo dei chiurli, un’opera dedicata all’uccellino europeo migratore:
La bellezza e il genio di un’opera d’arte possono essere ricreati, anche se la sua prima espressione materiale è andata distrutta; un’armonia svanita può ancora ispirare il compositore, ma quando l’ultimo esemplare di una specie di esseri viventi cessa di respirare, un altro cielo e un’altra terra devono passare prima che uno così possa esistere di nuovo4.
Dal chiurlo dal becco sottile, al piccione migratore, dal giaguaro alla tigre della Tasmania, dalla foca dei Caraibi, al lupo delle Falkland, al canguro notturno, all’aquila di mare, l’elenco degli esseri che non rivedremo mai più si allunga di giorno in giorno e la caccia ne è in molti casi la principale responsabile.
La guerra al “nemico animale” e il suo sterminio – insetti, lupi, bisonti, volpi volanti, orsi, linci, e molte altre specie – condotta come ogni guerra in nome del diritto all’“autodifesa”, ha trascinato sull’orlo del collasso interi ecosistemi che sostengono la vita umana e non umana. Già Rachel Carson nel 1962 in Primavera silenziosa aveva ammonito sulle “disastrose conseguenze cui si va incontro quando si tenta di sconvolgere gli ordinamenti della natura”. La biologa statunitense non si riferiva solo agli insetti insensatamente sterminati con i pesticidi, un “elisir di morte” che stava compromettendo la rete della vita, ma anche ai cervi kaibab dell’Arizona che in seguito alla eliminazione di lupi, coyote e puma, si erano moltiplicati a tal punto da non trovare più vegetazione con cui sostentarsi; e mentre i suoli si andavano degradando, i cervi “cominciarono a morire in numero maggiore di quello che nel passato finiva nelle fauci dei predatori”5.
A causa dell’incapacità di comprendere la complessità delle interrelazioni tra i viventi, dei processi ecologici ed evolutivi, di sentirsi parte della comunità planetaria, la forza generativa del pianeta si sta esaurendo. L’accelerazione di questi processi non a caso ha coinciso con l’aumento della conflittualità a livello internazionale e con la corsa al riarmo. […]










