Con la imposizione del blocco navale della Striscia di Gaza a partire dal 2007, con la complicità della comunità internazionale, Israele ha strappato i principi basilari di diritto del mare, che garantiscono il passaggio inoffensivo attraverso le acque territoriali delle imbarcazioni che trasportano aiuti umanitari (art.18-19 Conv. Unclos), ed affermano la giurisdizione esclusiva dello Stato di bandiera quando la nave si trova in acque internazionali, vietando qualsiasi intervento armato a bordo da parte di altri Stati. Il diritto internazionale dimostra, giorno dopo giorno, tutti i suoi limiti.

Una progressiva erosione della effettività degli strumenti di tutela, che oggi arriva al culmine con gli accordi tra Netanyahu e Trump contro le Corti internazionali, garantisce impunità, rafforzata dailo stallo del Consiglio di sicurezza dell’ONU, dove pochi Stati possono bloccare qualunque decisione, esercitando il diritto di veto. Sarebbe dunque inutile attendersi il rispetto di una qualsiasi normativa internazionale che da anni viene violata nella totale impunità dai governi israeliani.

Il San Remo Manual on International Law Applicable to Armed Conflicts at Sea del 1994, che pure in molte parti appare superato dai più recenti sviluppi della tecnologia della sorveglianza militare, riassume le regole di diritto internazionale applicabili ai blocchi navali, ed identifica due tipi di blocco proibito.

Malgrado la portata riduttiva attribuita a questo documento, rimane illegale dichiarare o stabilire un blocco che “abbia il solo scopo di affamare la popolazione civile o di negarle altri obiettivi essenziali per la sua sopravvivenza”. Indipendentemente dallo scopo dell’operazione, si può ritenere vietato stabilire o dichiarare un blocco in un contesto in cui “il danno alla popolazione civile è, o ci si può aspettare che sia, eccessivo in relazione al concreto e diretto vantaggio militare previsto dal blocco”.

La limitata previsione dei casi di blocco navale vietato, “che abbia il solo scopo di affamare la popolazione civile”, non esclude di ritenere comunque illegale un blocco navale che sia finalizzato al crimine internazionale di genocidio, che ormai viene ritenuto in atto nell’intera striscia di Gaza, da parte delle autorità israeliane, secondo le associazioni degli studiosi di diritto internazionale.

Non si può configurare inoltre alcun blocco navale lecito se si considera che non ricorre alcun conflitto armato marittimo tra Israele e altri Stati, a fronte del mancato, anche da parte dell’Italia, riconoscimento internazionale della Palestina. Mentre sembra che ormai l’occupazione della Striscia di Gaza tenda alla eliminazione fisica, anche per fame, dei suoi abitanti, ed alla deportazione di massa della popolazione verso immensi campi di concentramento, che non possono essere scambiate come fasi di un conflitto armato.

Al di là di qualunque ipotesi di blocco navale della Striscia di Gaza per ragioni difensive e di sicurezza, che si potrebbe imporre soltanto nei limiti della proporzionalità e della ragionevolezza, nessuna norma di diritto internazionale autorizza attacchi a navi in libera navigazione in acque internazionali, cariche di aiuti umanitari per la popolazione civile.

Le norme di diritto internazionale vanno rispettate anche in tempo di guerra, in base a quanto previsto dal diritto umanitario. Il secondo Protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Ginevra del 1949, che Israele non ha mai firmato, all’art. 3, in merito alla protezione delle vittime dei conflitti armati prevede il libero passaggio per qualsiasi invio di medicamenti e di materiale sanitario, nonche’ il passaggio di qualunque invio di viveri indispensabili, di capi di vestiario e di ricostituenti riservati ai fanciulli d’età inferiore ai quindici anni, alle donne incinte o alle puerpere.

Quando il blocco navale comporta violazioni di queste norme, lo Stato che lo impone, e le autorità che lo rappresentano, vanno considerati come responsabili di crimini di guerra che non possono essere giustificati da ragioni di carattere militare. Di fronte a questi crimini non si può restare indifferenti, e se non saranno gli Stati a reagire, sarà comunque possibile una diffusa azione di resistenza dal basso, come il blocco delle attività di imbarco merci annunciato dai lavoratori portuali di Genova qualora le autorità israeliane dovessero impedire i contatti con le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla partita in questi giorni da diversi porti europei per consegnare aiuti alla popolazione di Gaza.

Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un attacco sfrenato contro gli organi della giustizia internazionale che adottavano decisioni non gradite ai governi. Questi attacchi hanno rallentato in particolare l’azione della Corte penale internazionale, soprattutto dopo il bando intimidatorio emesso dall’amministrazione USA nei confronti di quattro giudici. Occorre rafforzare al contrario tutte le iniziative di inchiesta della Corte dell’Aja con denunce depositate da cittadini ed associazioni, per dare voce alle vittime e per difendere operatori umanitari e giornalisti sotto attacco.

La violenta campagna politica contro la Corte Penale Internazionale, che vede l’Italia in prima linea, è un atto eversivo pari ad un colpo di stato internazionale contro la giustizia, la legalità democratica e il diritto internazionale.

Il governo italiano non può sottrarsi alle sue responsabilità e deve garantire con uno status diplomatico, come ha fatto il governo spagnolo, tutti gli operatori umanitari che con la Global Sumud Flotilla stanno tentando di portare aiuti alla popolazione di Gaza. Inoltre lo stesso governo dovrà convocare l’ambasciatore israeliano in Italia, e comunicare la sospensione dei rapporti diplomatici, qualora le imbarcazioni fossero oggetto di incursioni armate, probabilmente con l’uso di droni, da parte delle forze navali dell’IDF, oltre a presentare immediatamente un ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia per violazione da parte di Israele della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio.

Dovrà essere sospesa la collaborazione sempre più intensa a livello di intelligence, che potrebbe produrre pesanti interferenze all’interno del nostro territorio nazionale, anche alla luce dei più recenti voli di aerei israeliani verso la base Nato di Sigonella. Non si può dimenticare che tutti gli attacchi alle navi della Freedom Flotilla, come alla Madleen, a giugno, ed anche ai limiti dei confini esterni europei, come a Malta, nella zona internazionale di ormeggio, alla Conscience a maggio, sono stati preceduti da una intensa attività di droni e di agenzie di spionaggio.

In un quadro più ampio di risposta ai crimini commessi da Israele nei confronti della popolazione civile di Gaza, ed a fronte della sistematica violazione del diritto internazionale umanitario, occorre comunque rescindere tutti i rapporti di scambio economico con Israele, riconoscere lo Stato di Palestina e chiedere la sospensione dell’Accordo di associazione tra Unione Europea e Israele. Giorgia Meloni dovrebbe sapere che “i canali umanitari già esistenti” non sono riusciti ad evitare il genocidio per fame del popolo di Gaza. E’ tempo di dire basta all’ ipocrisia di Stato che nasconde precise complicità con i politici criminali al governo in Israele.

Se il governo italiano non adotterà queste decisioni, potrà ritenersi, anche in persona dei suoi singoli componenti, direttamente corresponsabile non soltanto degli attacchi agli operari umanitari della Global Sumud Flotilla, ma anche dei crimini di guerra e contro l’Umanità che si continuano a perpetrare nella più totale impunità, non solo a Gaza, ma nell’intera Palestina.

I crimini commessi da agenti israeliani a bordo di navi civili italiane, e di cittadini italiani, ovunque si trovino, saranno comunque perseguibili in sede penale davanti ai tribunali italiani. Il blocco navale, ovunque avvenga, può comportare infatti gravi reati da sanzionare nell’ordinamento interno degli Stati di bandiera delle navi civili che portano aiuti alla popolazione di Gaza. Su questo, e sulla sanzione di una vasta gamma di reati, che vanno dal sequestro di persona alle ipotesi più gravi di tentato omicidio, e non si può escludere omicidio, come nel caso della Mavi Marmara nel 2010, si può garantire già oggi una vasta e capillare mobilitazione nelle attività di denuncia e controinformazione.