In piena facoltà Egregio presidente, Le scrivo la presente che spero leggerà

perché subire un ricatto da chi commette un genocidio significa diventare complici di un crimine contro l’umanità, perché non intendo subire la violenza di chi controlla dal cielo il Mediterraneo e minaccia morte in acque internazionali, perché l’Italia riconosce nella sua Costituzione le norme cogenti di diritto internazionale e l’autorità dei Tribunali internazionali che Israele, con il supporto di Trump, vuole cancellare.

Certo, la protezione della vita umana è una priorità, vale sulle imbarcazioni delle flottiglie che si dirigono verso Gaza, come per la popolazione civile della Striscia, e della Cisgiordania, abusata, deportata, ferita ed uccisa. Il valore della vita è uguale per tutte le persone in qualunque paese e in qualunque tempo. Nessuno dimentica la violenza omicida rivolta da Israele contro chi solidarizzava con il popolo palestinese nella missione della Mavi Marmara nel 2010, finita con l’uccisione di dieci persone e decine di feriti e arrestati.

Dopo le dichiarazioni di Netanyahu all’Assemblea generale delle Nazioni Unite ci si può attendere di tutto, a terra nella Striscia ed in mare, contro le imbarcazioni civili che si avvicinano a Gaza, ma si pensa davvero che due fregate italiane possano garantire protezione dagli attacchi israeliani?

Oggi la Farnesina non può affermare soltanto di non essere nelle condizioni di garantire la vita di civili disarmati a bordo delle imbarcazioni delle flottiglie in navigazione verso Gaza. Sì, perché esistono diverse flottiglie, variamente collegate alla Global Sumud Flotilla, alcune sono già partite raggiungendo Creta, ed altre si stanno formando. Il ritiro della Sumud Flotilla Italia, se confermato, dopo l’appello del presidente della Repubblica, non può ritenersi una scelta vincolante. Mentre alcuni ritornano indietro altri stanno partendo, consapevoli dei rischi verso i quali stanno andando incontro. La navigazione al di fuori delle acque territoriali non può essere interdetta da nessuno Stato, se questa si svolge nel rispetto del diritto internazionale.

Non esistono “zone di guerra”, ma zone di mare antistanti un territorio nel quale si stanno commettendo crimini contro l’umanità, ed anche crimini di guerra, anche se una guerra non è mai stata dichiarata. Israele infatti non applica ai Gazawi il diritto internazionale umanitario che impedirebbe la deportazione forzata della popolazione civile ed il blocco degli aiuti.

La proposta di bloccare prima di Cipro le imbarcazioni delle Flottiglie che si sono formate in queste ultime settimane, con nuove imbarcazioni che sono in partenza, divide componenti di provenienza diversa, da oltre 40 paesi del mondo, persone già messe a dura prova da una serie di attacchi incendiari della cui provenienza non si può dubitare, separa i rappresentanti della politica istituzionale dal popolo che ha riempito le piazze chiedendo, con la protezione di chi stava navigando verso Gaza, la pace, il riconoscimento di uno Stato palestinese, ma soprattutto una tregua immediata per la salvezza della popolazione civile e sanzioni effettive contro i colpevoli di crimini contro l’umanità. Se una parte degli equipaggi italiani dovesse rientrare, dopo l’appello del presidente della Repubblica, non è affatto scontato che le altre flottiglie non proseguano verso Gaza.

La trattativa sulla Global Sumud Flotilla gestita direttamente dal governo italiano con il governo israeliano, assunta adesso nella lettera inviata alle famiglie degli equipaggi in rotta per Gaza, che pur riconosce, a differenza di Giorgia Meloni e dei suoi ministri, il valore della solidarietà che muove la missione, lascia campo libero all’attacco mediatico delle autorità israeliane, che tendono a qualificare come “terroristi” tutti coloro che stanno cercando di rompere un blocco navale illegittimo che dura da troppo tempo. Operazione che risulterà più facile se solo una parte della flottiglia proseguirà la sua missione umanitaria.

Stiamo subendo un colossale rovesciamento di senso: chi predica pace e tolleranza, pratica guerra ed odio contro chi rifiuta il ricorso alla forza ed all’esclusione per risolvere i conflitti. Si affida il “lavoro sporco” a personaggi come Netanyahu, dietro i quali si nasconde però una fitta rete di interessi che operano su scala globale, contando su complicità e indifferenza, se non ignoranza, sempre più radicate nel ceto politico e nel corpo sociale.

Siamo, purtroppo, alla vigilia di una stagione nella quale circoleranno informazioni false per nascondere responsabilità sempre più evidenti, e non si può neppure escludere il rischio di attentati che potrebbero essere utilizzati come diversivo da governi in evidente difficoltà politica. La Storia recente del nostro paese e i tanti processi che non hanno fatto giustizia sui mandanti delle stragi non si possono dimenticare. Contro la violenza, da qualunque parte provenga, si devono riaffermare il diritto universale dei popoli e la effettività delle garanzie stabilite dai principi costituzionali e dalle Convenzioni internazionali. Al di fuori di questa prospettiva, violenza produrrà soltanto altra violenza.

Un blocco navale, addirittura in acque internazionali, non si può ritenere legittimo perché funzionale alla commissione di quello che per le Nazioni Unite e per la maggior parte degli Stati del mondo si può definire ormai come genocidio. Non esistono acque territoriali israeliane davanti la Striscia di Gaza, a meno di non riconoscere come un fatto compiuto, e legittimo, l’occupazione militare praticata dall’esercito israeliano. Se oggi l’Italia, che non ha ancora riconosciuto lo Stato di Palestina, ammette, nelle attuali condizioni di occupazione militare di Gaza, la legittimità del blocco navale proclamato nel 2009, avrà riconosciuto per intero la sovranità di Israele su un territorio densamente popolato conquistato con i bombardamenti e con la distruzione sistematica di tutte le infrastrutture, scuole ed ospedali compresi. Un cedimento che renderebbe del tutto inutile continuare a parlare di un riconoscimento dello Stato palestinese.

Oggi anche MSF ha dovuto abbandonare il suo ospedale a Gaza City in conseguenza dei bombardamenti sempre più violenti. Il numero dei morti e dei feriti continua a crescere, ben oltre le cifre ufficiali. Si tratta di attacchi alla popolazione civile che non possono rientrare nei termini di legittima difesa o di garanzia della sicurezza nazionale. Anche su questo aspettiamo una parola della presidenza della Repubblica in favore di Francesca Albanese, cittadina italiana e relatrice dell’ONU, sotto sanzione da parte degli Stati Uniti per avere denunciato questi crimini.

La decisione di proseguire verso le coste della Palestina, o di fermarsi, può essere presa soltanto da chi ha messo in gioco la propria vita in mare per interrompere l’isolamento della popolazione di Gaza. Chi rimane a terra può contribuire mantenendo coesa la mobilitazione e richiamando le autorità nazionali al rispetto del principio di realtà e del diritto internazionale. Comunque decidano i diversi partecipanti delle flottiglie, di fronte ai limiti sempre più evidenti dei principali partiti di opposizione“folgorati” dalla proposta della presidenza della Repubblica, i cittadini continueranno a manifestare compatti il loro sostegno al popolo palestinese con iniziative diverse che salderanno la lotta contro l’ordine di stampo israeliano che si vorrebbe imporre nel Mediterraneo, con la difesa dei diritti fondamentali e del diritto alla pace che spettano a tutti i popoli. In questa direzione dovrà andare anche l’impegno di tutte le organizzazioni sindacali.

Egregio presidente, per restare il Presidente di tutti, come ha condannato l’attacco del 7 ottobre 2023, dica parole chiare sulle violazioni dei diritti umani commesse da Israele prima e dopo quel giorno, richiami il governo alle sue responsabilità, anche nei confronti del Parlamento, di fatto esautorato, e negozi non con i rappresentanti delle flottiglie, ma con i rappresentanti di uno Stato che, secondo le Nazioni Unite e l‘Unione europea, si sta rendendo responsabile di genocidio.

Disertare la guerra significa rispettare gli articoli 10 e 11 della Costituzione, ed anche denunciare chi la pratica, magari senza dichiararla, cancellando il diritto internazionale e delegittimando la giurisdizione universale. Se vi saranno attacchi in alto mare in violazione del diritto internazionale, ma anche se il genocidio non cesserà, e se non vi sarà tregua, dovranno essere adottate immediate sanzioni nei confronti di Israele, e questo va comunicato al più presto, senza margini di trattativa sulle flottiglie e sulla pelle dei Gazawi.

Conosciamo solo in superfice l’invasività dei sistemi di controllo informatico e dei gruppi di potere e di opinione di matrice israeliana attivi nel nostro paese. Le proteste dei portuali stanno smascherando una rete di relazioni commerciali basate sull’economia della guerra e della sopraffazione, che va spezzata. Cedere ai ricatti di Netanyahu e dei suoi ministri, che vietano a imbarcazioni civili di portare aiuti a Gaza, significa mettere la parola fine al sistema di valori su cui si basa la nostra Costituzione.

La Spagna ha inviato una nave da guerra in copertura alle imbarcazioni della GSF. La Grecia ha garantito la navigazione sicura della flottiglia al largo delle sue coste. Chi non saprà garantire la sicurezza delle imbarcazioni civili che portano aiuti a Gaza, non garantirà neppure la tenuta delle istituzioni democratiche nel nostro paese. No, non si può ordinare a nessuno di tornare indietro, questo lo hanno capito gli equipaggi delle Flottiglie, che proseguiranno verso Gaza, come lo hanno capito altrettanto bene i milioni di cittadini che in Italia si stanno battendo per i diritti del popolo palestinese, ma anche per la pace e la difesa della democrazia.

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