Palermo, lunedì 22 ore 10,30 circa piazza Massimo: parte il corteo in solidarietà con la Palestina, no, sembra sia già partito da un po’ perché la testa è già davanti alla prefettura 300 metri più avanti.

Urla, slogan, canti, giovani si muovono quasi a passo di danza, dal megafono “…questo è un corteo lento, oggi blocchiamo la città”. Anziani sorridono, sorridiamo, un corteo così non si vedeva da decenni. Palestina unisce! 

Oltre 20.000 persone reali, tutti i sindacati di base, USB che ha indetto lo sciopero generale, COBAS, CUB, SLAI COBAS che hanno aderito dando la possibilità a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori di scioperare e iniziare cosi a mettere qualche sassolino nel perverso meccanismo della complicità del governo italiano nel genocidio perpetrato da Israele. 

Perché oltre alla straripante manifestazione lo sciopero è riuscito a Palermo come in tutta Italia. Si sono fermati i trasporti, non si vedeva un bus, le scuole hanno chiuso i battenti, le università non hanno funzionato così come la sanità e anche molte grandi imprese del privato.

Ma non è stato solo il mondo del lavoro a farsi carico di questa entusiasmante giornata di lotta, ovviamente le associazioni palermitane dei Palestinesi, migliaia di studenti medi e universitari, precari di tutti i tipi, associazionismo laico e cattolico, medici senza frontiere, preti contro il genocidio, artisti di strada ma non solo, e poi genitori con bambini, diversabili con carrozzine e tanti e tante altre che non cito per questioni di spazio. 

Insomma una ricchezza e una diversità di linguaggi e identità attraversate da un’unica necessità, quella di esserci, con la Palestina, con la Sumud flottiglia, quella di fermare Israele e il genocidio. Il corteo, lunghissimo e compatto, si è svolto senza alcun incidente ma ha comunque bloccato, oltre al traffico, gli ingressi del porto per almeno un paio d’ore mostrando, oltre ad una partecipazione gioiosa, una determinazione forte.

Siamo ormai tutti coscienti che non sarà dai governi o peggio dall’UE che si muoverà qualcosa per fermare il massacro, quindi l’unica strada che resta è quella dell’iniziativa dal basso, pacifica, orizzontale, ma determinata, continua ed efficace. 

E la nostra efficacia può misurarsi soltanto nella capacità di mobilitare i lavoratori e non solo per inceppare, come abbiamo fatto oggi, la produzione di beni e servizi, per costringere governi e padronato a rivedere gli accordi commerciali con Israele, a bloccare il traffico di armi, a stabilire sanzioni. 

Tutto questo non sarà né facile né breve e non basterà l’afflato etico e morale che comunque ha spinto fino ad oggi migliaia di persone in piazza, ma sarà necessario ricominciare a spiegare come l’incredibile aumento delle spese militari andrà a penalizzare pesantemente il welfare e gli stipendi, bisognerà parlare nei territori e nei luoghi di lavoro e di studio di come questa folle corsa agli armamenti, e l’appoggio incondizionato alle politiche USA, danneggi pesantemente la qualità della nostra vita quotidiana, oltre a spingerci, passo dopo passo, verso la terza guerra mondiale. 

Insomma parlare di soldi e sanità mentre i bambini palestinesi muoiono sotto i bombardamenti non è immorale, bensì è l’unico modo che abbiamo per tentare di salvarli e di salvarci.