Ieri, venerdì, le famiglie musulmane Joudeh e Nassiba, in linea con la loro storica consuetudine, hanno consegnato le chiavi della Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme alle tre chiese: il Patriarcato greco-ortodosso, il Patriarcato armeno e la Custodia di Terra Santa. Ciò segna l’apertura delle porte della chiesa ai fedeli e ai visitatori in uno dei giorni più sacri dell’anno, una tradizione annuale che affonda le sue radici – secondo alcuni racconti del passato – fin dai tempi del califfo Omar, in celebrazione della Pasqua.

L’agenzia stampa Wafa di Ramallah ha commentato: “Questa tradizione unica, tramandata di generazione in generazione da due famiglie per oltre 850 anni, incarna un simbolo duraturo della fiducia e del rispetto reciproco tra musulmani e cristiani a Gerusalemme. Afferma che la Città Santa non è solo la culla delle religioni, ma anche un modello globale per la conservazione dei valori religiosi e umani condivisi e per la salvaguardia del patrimonio sacro attraverso i secoli”.

La Comunità ebraica nel Regno Unito: “L’anima di Israele è in pezzi”

Da Londra arriva una condanna di Netanyahu firmata dalla comunità ebraica britannica: più di trenta suoi rappresentanti, infatti, hanno duramente criticato il governo israeliano di Benjamin Netanyahu, accusandolo di agire in contrasto con i “valori ebraici” nella guerra a Gaza.

Così si legge in una lettera aperta pubblicata sul Financial Times e sottoscritta da 36 membri del Board of Deputies of British Jews, secondo cui non è più possibile “restare in silenzio”. “La tentazione di distogliere lo sguardo è forte perché ciò che sta accadendo è insopportabile, ma i nostri valori ebraici ci spingono a prendere posizione e a parlare”, si legge ancora nella lettera che rappresenta la prima presa di posizione critica nei confronti di Israele da parte di alcuni esponenti dell’organizzazione dall’inizio della guerra tra lo Stato ebraico e Hamas.

Si arriva a dire che “l’anima di Israele è in pezzi” per quanto sta accadendo nel sanguinoso conflitto. E ancora, “siamo contrari alla guerra e piangiamo la perdita di vite palestinesi”. Viene inoltre condannata la ripresa dell’offensiva israeliana a Gaza il 18 marzo, dopo una tregua di due mesi, e si sottolinea con preoccupazione che da allora “nessun ostaggio israeliano” è stato rilasciato.