“Le donne non si toccano nemmeno con un fiore”.
È con questo slogan quasi d’altri tempi che le donne dello Zen sono partite in corteo da Via Fausto Coppi per dare vita alla fiaccolata in nome di Ilaria, Sara e di tutte le altre vittime di femminicidio.

Giovedì sera hanno attraversato le vie del loro quartiere, in quella stessa città di Palermo abituata ad analoghe manifestazioni nel suo centro storico. La loro voce è sicura, determinata come i passi e l’entusiasmo che le portano ad andare veloci, troppo veloci, a testimoniare l’urgenza della loro voglia di esserci, da protagoniste.

L’idea è nata durante un incontro allo Spazio Mamme, nei locali del Laboratorio Zen Insieme, condiviso con Save the Children che lo ospita. Si sono organizzate, hanno scelto le parole d’ordine e le hanno rese chiare e visibili negli striscioni e nei cartelloni che hanno realizzato tutte insieme, coinvolgendo le altre realtà sociali del quartiere.

Ora sono davvero unite, alzano a turno la voce per avviare il coro degli altri slogan che rivendicano diritti e denunciano la violenza maschile sulle donne. Sono mamme e giovani donne, ragazzine e bambine e con loro tanti giovani uomini, molti adolescenti. Insieme sostengono la voce, gli striscioni, il passo.

In coda al corteo alcune suore impegnate nella promozione sociale del quartiere insieme ad educatori ed educatrici, volontari e volontarie, uomini e donne in un unico abbraccio di condivisione e amicizia visibili nei volti sorridenti e nella cura del percorso che ci fa ritornare vicino al punto di partenza, al campetto sportivo dove hanno voluto cassa e microfono.

Così prendono parola per raccontarsi, raccontare come sono arrivate fin qui e come da qui vogliono ripartire nella consapevolezza di come i femminicidi siano solo la punta dell’iceberg della violenza maschile sulle donne.
Una mamma ricorda a tutte che è ai loro figli che devono insegnare a non usare la violenza, se vogliono difendere le loro figlie, e invita le figlie a non avere paura di parlare con loro e a denunciare.

Una figlia legge una lettera in cui dichiara che, benché lei sia timida, di fronte a tanta reiterata violenza – è di stamattina l’ultimo femminicidio – la rabbia le esce dalle viscere. E con questa rabbia si unisce al coro che prima, in corteo, chiedeva giustizia, pene sicure e severe fino all’ergastolo ostativo, con tutta la sua problematicità non certamente risolutiva.

Così c’è pure chi ha voce per chiedere che finalmente siano attivati percorsi obbligatori di educazione all’affettività e alla sessualità nelle scuole.

C’è chi ha il coraggio di testimoniare la propria esperienza di violenza subita e la capacità di riscatto che oggi la fa essere qui, insieme alle altre.
C’è chi fa i nomi di alcune delle ultime vittime, e troppo lungo sarebbe l’elenco completo, per concludere con “potrei esserci anch’io”. Agli uomini presenti, mariti, padri, fratelli, amici, si chiede di prendere posizione: che cosa fareste?

Che cosa facciamo? Che cosa dobbiamo e possiamo fare tutti e tutte insieme, qui e in ogni quartiere della nostra città, in ogni scuola e in ogni relazione in cui ci troviamo a confrontarci con la scelta tra violenza e nonviolenza?

Con questi interrogativi, che esigono risposte collettive ed istituzionali, ci salutiamo perché si è fatto tardi e il tempo a disposizione della piazza è finito. Continua quello della denuncia, dell’impegno, della lotta ovunque ci saranno donne, come queste dello Zen, pronte a fare sentire la propria voce e a fare rumore. Ed è a loro, per avere contribuito con la loro pratica a suscitare spazi di riflessione, che va oggi il nostro grazie.