Dopo l’approvazione del disegno di legge “sicurezza” alla Camera (Atto Camera n.1660) il 18 settembre 2024, prosegue al Senato l’esame del provvedimento su “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario” (Atto Senato n.1236) in un clima in cui è sempre più accentuata l’impronta repressiva con la quale il governo affronta le più rilevanti questioni che deve affrontare, tanto da trasmettere all’opinione pubblica una falsa percezione di sicurezza. Un metodo che si è ampiamente sperimentato in materia di immigrazione ed asilo, a partire dalla legge Bossi Fini n.189 del 2002, che si è poi inasprito con la guerra dichiarata ai soccorsi umanitari dal Codice di condotta Minniti del 2017 e poi dai decreti sicurezza del governo Conte-Salvini del 2018 fino ai più recenti provvedimenti del governo in carica, a partire dal Decreto Piantedosi (legge n.15) del 2023.
I numerosi provvedimenti in materia di sicurezza che si sono succeduti nel tempo hanno segnato l’abbandono sostanziale delle regole dello Stato di diritto, con una espansione senza precedenti dei poteri dell’esecutivo, esercitati anche dalle autorità di polizia. Con un progressivo svuotamento della funzione di controllo di legalità affidato alla giurisdizione, dietro la surrettizia qualificazione di atti politici, che si sarebbero sottratti a qualsiasi intervento di controllo dei magistrati, anche con riferimento a provvedimenti come decreti e direttive ministeriali che risultavano in contrasto, oltre che con i principi costituzionali, con le Convenzioni internazionali in materia di salvaguardia dei diritti umani e di garanzia del diritto di asilo e del diritto al soccorso.
L’erosione degli obblighi di soccorso stabiliti da queste Convenzioni, richiamati peraltro dal Regolamento europeo Frontex n.656/2014, a carico degli Stati, frutto anche degli accordi bilaterali stipulati con Paesi che non potevano garantire soccorsi efficaci e garanzie minime per i naufraghi ricondotti a terra, ha anticipato quella sovversione del diritto internazionale, se non una sua completa emarginazione, che si presenta oggi come un grave pericolo per la pace, oltre che una minaccia costante per le vite delle persone costrette all’emigrazione.
Il nuovo ordine mondiale che si profila dopo gli accordi dei capi delle grandi potenze sulla pelle delle popolazioni civili, con il ridimensionamento del ruolo dei partiti e dei parlamenti, trova oggi un residuo ostacolo nei corpi intermedi, come le formazioni sociali che ancora si richiamano alla solidarietà umana ed alla dignità della persona, dunque nelle associazioni, e in particolare nelle Organizzazioni non governative impegnate nel soccorso e nell’assistenza delle persone migranti.
I governi in carica, soprattutto quelli di destra, spesso imitati da governi di segno opposto, ma fortemente condizionati dalla pressione populista, alimentata con tecnologie sempre più invasive, non perdono occasioni per attaccare chi si ostina a svolgere attività di ricerca e salvataggio in mare, anche all’evidente scopo di nascondere i risultati spesso mortali della collaborazione con i paesi di transito, come la Tunisia e la Libia, nel Mediterraneo centrale, in quella che viene comunemente definita come “lotta all’immigrazione illegale”. Una attività di contrasto delle traversate del Mediterraneo che si basa sulla collaborazione con sedicenti “guardie costiere” che, anche quando non sono direttamente collegate con le organizzazioni criminali, intervengono con modalità tali da mettere a rischio i diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita, delle persone intercettate in mare.
Si è arrivati al punto di sanzionare gli interventi di ricerca e salvataggio operati dalle ONG con fermi amministrativi che si motivano esclusivamente sulla mancata obbedienza delle navi umanitarie ai comandi, spesso ordini di desistenza dai soccorsi, impartiti da autorità marittime, che non rispettano gli obblighi di soccorso ed i diritti umani che vanno riconosciuti a qualsiasi persona, a prescindere dallo stato giuridico e dalla nazionalità.
Una recente decisione del Consiglio di Stato, sulla assegnazione di un porto di sbarco “vessatorio” (lontano dall’area dei soccorsi) ad una nave umanitaria, contrasta con quanto affermato da numerosi tribunali civili, da Genova a Reggio Calabria, e con diversi provvedimenti dei giudici penali che hanno stabilito la liceità delle attività di ricerca e salvataggio operati dalle ONG come adempimento di un dovere di soccorso, anche in assenza di una preventiva attività autorizzatoria da parte degli Stati, affermando la necessità di uno sbarco sollecito dei naufraghi nel porto più vicino. Perchè la vita umana vale più della difesa dei confini, comunque la pensino alcuni giudici che si stanno allineando alle posizioni repressive dei governi, che continuano a speculare sui “successi” conseguiti con la riduzione degli arrivi via mare, anche se le vittime, che sembrano diminuire in assoluto, sono sempre più numerose in termini percentuali.
L’articolo 29 del disegno di legge (nella numerazione del Dl. 1660) in materia di sicurezza pubblica propone di estendere l’applicazione di misure detentive nei confronti dei comandanti delle navi qualora non obbediscano agli ordini della Guardia di finanza impegnata in attività di prevenzione e contrasto al traffico di migranti via mare e all’’immigrazione illegale. Come ha osservato l’OSCE, “Le nuove sanzioni detentive proposte, applicabili al capitano di navi nazionali in caso di disobbedienza agli ordini di fermo della Guardia di Finanza o in caso di atti di resistenza, ed estensione delle sanzioni penali ai capitani di navi straniere per disobbedienza agli ordini di navi da guerra nazionali, rischiano anche di impattare ulteriormente e indebitamente sul lavoro delle organizzazioni umanitarie che conducono operazioni di ricerca e soccorso di migranti in mare.”
Si tratta evidentemente dell’ultimo atto della guerra contro i soccorsi in acque internazionali operati in questi anni dalle ONG, dopo una raffica di procedimenti penali che si sono conclusi, a partire dal caso Rackete nel 2019, con provvedimenti di archiviazione delle accuse formulate nella maggior parte dei casi proprio dalla Guardia di finanza. La stessa Guardia di finanza che nel 2009 riconsegnava ai libici decine di naufraghi soccorsi in acque internazionali, con un respingimento collettivo illegale che ha comportato nel 2012 la condanna dell’Italia da parte della Corte di Strasburgo, sul caso Hirsi.
Oggi si vuole aggirare quella condanna con i nuovi respingimenti collettivi delegati alle sedicenti guardie costiere “libiche” e tunisine, sotto la sorveglianza ed il tracciamento di Frontex che opera a sua volta in diretto collegamento con la Guardia di finanza italiana. Invece di accertare le responsabilità di chi ha oggettivamente rallentato con accuse calunniose i soccorsi civili in alto mare, si accrescono i poteri discrezionali affidati alle autorità di polizia marittima per sanzionare i comandanti delle navi che svolgono attività di ricerca e salvataggio. […]
Le nuove norme introdotte dal disegno di legge “sicurezza” attualmente all’esame del Senato mirano evidentemente ad aumentare i poteri della Guardia di finanza e le responsabilità dei comandanti di navi straniere che subiscono visite ispettive a bordo al fine di acquisire documentazione, utile non solo per giustificare successivi provvedimenti di fermo amministrativo, ma anche per avviare procedimenti penali nei confronti dei comandanti delle navi che hanno operato interventi di ricerca e salvataggio nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale.
Sembra quasi un segnale di ritorno alla stagione dell’attacco mediatico-giudiziario alle ONG con le denunce dei comandanti e dei capi-missione per il reato di agevolazione dell’immigrazione clandestina. Una fase, aperta nel 2017 con il sequestro della nave umanitaria Iuventa, che si poteva ritenere definitivamente chiusa con la sentenza di non luogo a procedere emessa dal Tribunale di Trapani nel 2024, dopo che nel corso delle indagini di polizia giudiziaria erano state utilizzate intercettazioni illegali e rapporti farlocchi di ex agenti in contatto con Salvini e con i vertici del Servizio centrale operativo (SCO) del ministero dell’interno. Una vicenda che nel corso degli anni aveva avuto un rilevante effetto sul discorso pubblico e quindi sui consensi elettorali, malgrado successivi procedimenti penali intentati contro i soccorritori delle ONG fossero stati archiviati.
Il rafforzamento dei poteri di polizia, e il corrispondente aumento delle responsabilità dei comandanti delle navi del soccorso civile confermano la linea repressiva, anche in violazione del diritto internazionale, adottata dal governo Meloni, che comincia a trovare appoggi da parte della magistratura amministrativa e da alcuni giudici civili, mentre si tace sulla attuale portata operativa degli accordi con i libici e sui gravissimi abusi denunciati alla Corte penale internazionale sul caso Almasri, e non solo. Perchè anche altri uomini delle milizie libiche che collaborano con il governo Dbeibah e con il ministro dell’interno Trabelsi, recentemente in Italia, sono nel mirino della Corte dell’Aja, in un momento in cui l’intero sistema Libia, considerato pure nella sua frammentazione territoriale, come attività militare di intercettazione in alto mare e come detenzione arbitraria nei centri di trattenimento governativi, è sotto l’attenzione della Procura di quella Corte.
Si corre però il rischio che, a fronte della generalizzata violazione del diritto internazionale su scala globale, come è emerso da anni ormai, ma in modo particolarmente crudele in Ucraina ed in Palestina, alla quale corrisponde la perdita di autorevolezza delle Nazioni Unite, delle sue agenzie, e dei Tribunali internazionali, i governi, con interventi di unità militari equiparate a “navi da guerra”, possano procedere con violenza ancora maggiore a disapplicare le Convenzioni internazionali e gli obblighi di soccorso e di salvaguardia delle persone in fuga da paesi terzi o di transito, che in assenza di aggiornati parametri oggettivi non si possono definire sicuri se non per convenienza politica.
Del resto proprio in materia di contrasto dell’immigrazione cd. “illegale” si sono sperimentati da anni accordi bilaterali o multilaterali che hanno svuotato tanto il diritto di asilo che gli obblighi di soccorso imposti agli Stati dalle Convenzioni internazionali. La difesa dei confini, evocata ancora di recente dalle autorità italiane, è diventata più importante della salvaguardia della vita. Perchè sotto questo profilo non esiste più il principio di uguaglianza tra gli esseri umani. Non ci sono più persone, ma numeri da conteggiare per dimostrare la (presunta) efficacia delle politiche contro l’immigrazione illegale, spesso l’unica via di fuga che rimane per chi cerca protezione.
In questa prospettiva, le nuove ipotesi di reato che si profilano con il disegno di legge sicurezza per i comandanti delle navi umanitarie impegnati in attività di ricerca e soccorso in acque internazionali, seppure possano risultare in violazione con i principi di garanzia delle persone affermati nelle Convenzioni internazionali, a partire dal diritto di chiedere asilo in un paese sicuro e dagli obblighi di soccorso in mare, potrebbero costituire un ulteriore freno alle attività di salvataggio delle ONG, produrre altre vittime, da nascondere come “effetti collaterali”, ed alimentare altre campagne di disinformazione per la conquista di consenso elettorale attraverso la criminalizzazione dei soccorritori, oltre che delle persone soccorse.
Il 16 dicembre 2024 Michael O’Flaherty, il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, ha inviato una lettera al presidente del Senato Ignazio La Russa in cui chiede di non approvare il “ddl Sicurezza”. Non è stato rilevato come anche le norme previste per inasprire la sanzione dei reati di resistenza e violenza a navi da guerra contribuisca a rilanciare la criminalizzazione dei soccorsi umanitari con l’obiettivo di rendere sempre più discrezionali, da parte delle autorità militari italiane, le attività di controllo sulle navi del soccorso civile che continuano ad operare attività di ricerca e salvataggio nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale. La finalità ultima che si persegue consiste nell’allontanamento delle navi umanitarie per lasciare campo libero all’intervento delle motovedette libiche o tunisine, anche a costo di ritardare i soccorsi, causare altre vittime in mare, e favorire deportazioni verso i campi di detenzione controllati dalle milizie libiche colluse con i trafficanti.
La prossima attuazione dei Regolamenti e delle Direttive introdotti lo scorso anno dall’Unione europea con il Patto sulla migrazione e l’asilo, che si vorrebbe anticipare ai prossimi mesi, sarà un banco di prova per il mantenimento di una tutela effettiva dei diritti umani delle persone in movimento di fronte alla esternalizzazione dei controlli di frontiera. L’aumento della discrezionalità rimessa alle forze di polizia nei controlli delle frontiere marittime tende anche a sottrarre a qualsiasi verifica le modalità di intervento nel contrasto della cd. immigrazione illegale via mare.
Rimane per questo fondamentale la tenuta degli organi giurisdizionali sul richiamo alle Convenzioni internazionali, in base al sistema gerarchico delle fonti normative tracciato dagli articoli 10 e 117 della Costituzione, e la loro indipendenza rispetto alle pressioni sempre più violente che arrivano dal governo, ed anche da potenti alleati esteri. Al punto che si profila addirittura una riforma della magistratura in chiave punitiva, per sterilizzare le attività di controllo sui provvedimenti in materia di trattenimento amministrativo, di espulsioni e di respingimenti.
Come dimostra tutto il pacchetto di misure repressive contenute nel Disegno di legge sicurezza, non si tratta più di fronteggiare provvedimenti isolati, che possono essere anche stoppati dall’intervento dei tribunali, ma di un attacco organico a tutti i principi cardine dello Stato di diritto. Non si risolvono i problemi sociali, ma si aumentano reati e pene, anche per contrastare con maggiore energia qualsiasi manifestazione di dissenso. Con il rischio, se non ci sarà una resistenza civile su vasta scala, a partire da una fuoriuscita dall’astensionismo, che prevalga anche in Italia una sorta di dittatura della maggioranza, con la definitiva trasformazione, di fatto, del nostro residuo assetto costituzionale in una democrazia illiberale.










