La proposta di un nuovo Regolamento europeo sui rimpatri, illustrata davanti al Parlamento europeo dal Commissario alle migrazioni Brunner, stravolge il difficile equilibrio tra le garanzie dei diritti fondamentali della persona, nucleo dello Stato di diritto, e l’esigenza degli Stati di dare maggiore efficacia alle espulsioni con accompagnamento coattivo, che nella media europea rimangono ineseguite per quattro casi su cinque. Al centro della proposta, che abbatte i diritti di difesa delle persone respinte alla frontiera e destinatarie di provvedimenti di espulsione, con una estensione senza precedenti della detenzione amministrativa, a scapito del rimpatrio volontario, un richiamo alla possibilità per i paesi membri di espellere immigrati irregolari presenti nel loro territorio e destinatari di un provvedimento di espulsione già esecutivo, verso Stati extra-UE, definibili come “paesi terzi sicuri”.

Si tratta di una mera possibilità che i singoli paesi membri potranno sfruttare se riusciranno a concludere accordi bilaterali con questi paesi, ammesso che se ne trovino, disposti ad accettare dietro pagamento di una ingente somma di denaro, persone che ben difficilmente potranno essere ricondotte nei loro paesi di origine, a meno che non accettino in una situazione di evidente costrizione e di totale limitazione della libertà personale, di raccogliere l’opportunità di un rimpatrio volontario assistito, direzione nella quale l’Unione europea sta aumentando il supporto finanziario all’OIM (Organizzazione internazionale delle migrazioni).

La proposta di Regolamento rimpatri presentata dal Commissario Brunnner non prevede esplicitamente centri di detenzione extra-UE definibili come Hub europei, ma si limita a definire “Hub di rimpatrio” quei paesi terzi che concluderanno accordi con gli Stati membri per ricevere sul loro territorio, e sotto la loro giurisdizione, immigrati irregolari destinatari di un ordine di allontanamento esecutivo dal territorio europeo.

Nulla di comparabile, dunque, con i centri di accoglienza/detenzione in Rwanda che la Gran Bretagna aveva cercato di istituire al fine di trasferirvi richiedenti asilo, comunque soggetti alla giurisdizione ruandese, con una legge che è stata demolita dalla Corte suprema inglese, e nessuna copertura per i centri di accoglienza/detenzione sotto giurisdizione italiana (e albanese) di Schengjin e di Gjader previsti dal Protocollo Italia-Albania, ed ancora inutilizzati dopo la loro fallimentare apertura.

Una tipologia mista di centri di accoglienza/detenzione, individuata negli accordi intercorsi tra Giorgia Meloni ed Edi Rama, che resterebbe comunque sotto giurisdizione italiana, seppure non si possa escludere una parziale giurisdizione albanese nella fase, che rimane ancora da sperimentare per intero, dell’eventuale rimpatrio del richiedente asilo “denegato” verso il paese di origine “sicuro”. Beninteso, solo dopo l’esaurimento di tutte le vie di ricorso previste dall’ordinamento italiano. […]

L’Agenzia europea per i diritti fondamentali ha ribadito come il fatto che i campi di detenzione, intesi come Hub per i rimpatri o centri Hotspot, eventualmente attivati in futuro in paesi terzi, vengano costruiti al di fuori dell’Unione non esonera dall’osservanza del vigente diritto euro-unionale, poiché gli Stati membri e Frontex rimarrebbero “responsabili delle violazioni dei diritti nei centri e durante qualsiasi trasferimento”.

La Proposta di Regolamento sui rimpatri, nelle premesse, richiama i diritti fondamentali della persona e i principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché gli obblighi derivanti dal diritto internazionale, in particolare dalla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dal Patto internazionale sui diritti civili e politici, dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo.

L’art.26 della Proposta di Regolamento stabilisce poi il diritto al ricorso effettivo contro le decisioni di rimpatrio, i termini dell’appello, mentre l’effetto sospensivo dei ricorsi, è garantito dal successivo articolo 28 secondo cui ai cittadini di paesi terzi è concesso il diritto di presentare una domanda di sospensione dell’esecuzione di una decisione di rimpatrio prima che sia scaduto il termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un’autorità giudiziaria di primo grado. L’autorità giudiziaria ha il potere di decidere, in seguito a un esame sia dei fatti che degli elementi di diritto, se l’esecuzione della decisione di rimpatrio debba essere sospesa in attesa dell’esito del ricorso. L’esecuzione della decisione di rimpatrio è sospesa quando vi è il rischio di violazione del principio di non respingimento.

Gli ordini di allontanamento forzato, anche se temporaneamente sospesi, dunque, potranno essere eseguiti anche dopo la decisione di una “autorità giudiziaria di primo grado”. Basti pensare alle convalide “in automatico” del trattenimento nei centri di permanenza per i rimpatri (CPR) affidate in Italia ai giudici di pace, come si è verificato a Catania, dove un giudice di pace ha ignorato una richiesta di asilo in sede di giudizio di convalida, malgrado una giurisprudenza della Cassazione preveda questa possibilità . Se questo avviene già in territorio italiano dove ricorre una diffusa violazione del diritto ad un ricorso effettivo per coloro che si trovano ristretti in strutture di trattenimento amministrativo, come i CPR e centri assimilati, al di là delle solenni affermazioni di principio, nel caso di trasferimenti (espulsioni) di persone straniere irregolari verso paesi terzi, individuati come “Hub di rimpatrio”, sarà ben difficile un effettivo esercizio dei diritti di difesa.

La tutela delle persone che, in quanto irregolari e destinatari di un provvedimento di espulsione, potrebbero essere” vendute” dal nostro governo a “paesi terzi sicuri” che accettino di concludere accordi per diventare hub di rimpatrio, non si può collocare soltanto sul piano individuale della singola procedura di espulsione o di trattenimento amministrativo, ma deve rivolgersi alla nullità degli accordi bilaterali che si potranno concludere per effetto della limitata previsione contenuta nell’art.17 della proposta di Regolamento europeo sui rimpatri. Proposta sulla quale il Parlamento non si è ancora espresso con una votazione, ma che potrebbe ancora peggiorare nel corso della sua approvazione definitiva, almeno se si considera la portata apertamente xenofoba di molti degli interventi dei gruppi di destra che hanno caratterizzato, con lugubri messaggi di odio, quest’ultima deprimente assemblea plenaria del Parlamento europeo. […]

Gli accordi bilaterali che saranno stipulati dai paesi membri dell’Unione europea, o da Frontex, con Stati terzi individuati come Hub di rimpatrio non potranno garantire che gravi violazioni dei diritti umani non si verifichino nei confronti delle persone straniere allontanate dal territorio europeo ed italiano. Per la Corte di Strasburgo  l’esistenza di testi interni e la ratifica di trattati internazionali che sanciscono il rispetto dei diritti fondamentali non sono sufficienti, da soli, a garantire un’adeguata tutela dal rischio di maltrattamenti quando fonti affidabili rappresentino prassi delle autorità – o da queste tollerate – manifestamente contrarie ai principi della Convenzione EDU.

In base all’art. 13 della Convenzione EDU, “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.” Nel caso dell’espulsione verso un paese terzo designato come hub di rimpatrio, non è garantito lo stesso diritto ad un ricorso effettivo, o ad una seconda domanda di protezione internazionale (reiterata), come invece previsto per le persone trattenute nei centri di detenzione variamente denominati ubicati in territorio italiano. Oltre alla lesione dei diritti ad un ricorso effettivo si configura in questi casi una lesione del principio di parità di trattamento anche perché non si specificano con un atto avente forza di legge, che non può essere certo un accordo internazionale, i criteri di selezione nella vasta pletora di stranieri irregolari destinatari di provvedimenti di espulsione: chi sarà trasferito verso un paese terzo come hub di rimpatrio, e non piuttosto accompagnato nel paese di origine con scorta di polizia, o trattenuto in un centro di detenzione in Italia, in vista di una effettiva esecuzione dell’ordine di rimpatrio.

Gli stessi principi di garanzia previsti in territorio italiano dalle Convenzioni internazionali valgono anche per i paesi terzi designati come Hub di rimpatrio, che dovrebbero fare in modo che la propria legislazione, e le conseguenti prassi di polizia, in materia di detenzione amministrativa e rimpatrio forzato, rispettino anche il diritto dell’Unione europea. Verrebbe meno altrimenti la legittimazione degli accordi bilaterali che dovrebbero essere conclusi in futuro per individuare i paesi terzi sicuri come Hub di rimpatrio. Sulla invalidità di questi accordi dovrebbe essere chiamata a pronunciarsi la Corte di Giustizia dell’Unione europea, oltre a tutti i ricorsi individuali che sarà possibile azionare contro i trasferimenti forzati nei paesi “Hub di rimpatrio”, davanti ai giudici nazionali ed alla Corte europea dei diritti dell’Uomo.

Utilizzare la possibilità di liberarsi dagli obblighi di rispetto delle garanzie dei diritti fondamentali sanciti dalle Convenzioni internazionali, dalla Carta dei diritti fondamentali UE, e dalla Costituzione italiana, con il trasferimento forzato degli immigrati irregolari soggetti a procedure di allontanamento forzato verso paesi al di fuori dell’Unione europea corrisponde ad una sospensione dello Stato di diritto. Si rimette ancora una volta alle autorità amministrative, che decidono sui provvedimenti di espulsione, ed agli organi dell’esecutivo, che concludono e gestiscono gli accordi bilaterali con i paesi extra-UE designati come hub di rimpatrio, la gestione delle prassi di rimpatrio, e dunque la libertà personale e tutti gli altri diritti fondamentali che vanno riconosciuti anche agli immigrati in uno stato di irregolarità.(Corte costituzionale – sentenza n.105 del 2001)

L’articolo originale può essere letto qui