Tutte le organizzazioni palestinesi hanno respinto e condannato le dichiarazioni di Trump. “Questa è la nostra terra. Non ce ne andremo!”, dice la gente di Gaza intervistata dai media e sui social. “No passaran!”.

La deportazione forzata dalla Striscia di Gaza rischia di trasformarsi in un nuovo capitolo della diaspora del popolo palestinese, che già si trova costretto a vivere disperso, spesso in campi profughi, non solo in paesi arabi limitrofi ma in diverse aree del mondo. Si stima che nei territori palestinesi occupati vivano circa 6 milioni di persone, di cui circa due milioni mezzo nella Striscia di Gaza e tre milioni e mezzo in Cisgiordania e Gerusalemme est. Lo Stato che ospita il maggior numero di cittadini palestinesi (circa 3,5 milioni) è la Giordania, mentre un altro milione e mezzo è rimasto a vivere nella sua terra d’origine trasformata nel 1948 in Israele. La condizione dei palestinesi in Israele è di  aperta discriminazione, denunciato dalle organizzazioni non governative come  un Apartheid alla luce del sole. Gli altri Paesi che ospitano più cittadini palestinesi sono: Siria (675mila), Cile (500mila), Libano (455mila) e Arabia Saudita (374mila).

La risoluzione dell’Onu che riconosce ai profughi palestinesi il diritto al ritorno risale all’11 dicembre 1948 (il giorno dopo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani) e porta il numero 194, che prevedeva il ritorno ed il risarcimento (non il ritorno o il risarcimento, come hanno tentato alcuni negazionisti di affermare). È stata ribadita per 135 volte, con la sola opposizione di Israele (dopo gli accordi di Oslo, anche gli Usa lo hanno avversato). Una risoluzione che da allora non è stata mai applicata.