Il tribunale penale di Nouakchout ha condannato alti ufficiali della polizia per le loro responsabilità nella morte dell’attivista sufi, Ould Cheine.

Quattro ergastoli ad altrettanti poliziotti tra i quali un colonnello, capo del commissariato, i due suoi vice e un maresciallo. Le accuse sono pesanti: maltrattamento e uccisione sotto tortura. Un poliziotto è stato condannato a due anni di reclusione, per aver tentato di deviare le indagini con un falso verbale.

L’uomo, difensore dei diritti umani, era stato arrestato nel febbraio di un anno fa ed è morto in commissariato l’8 febbraio, qualche giorno dopo il suo arresto. La polizia ha informato i familiari che Cheine era morto per una complicazione cardiaca. Nessuno  ha creduto alla motivazione di comodo ufficiale e i parenti hanno rifiutato di ricevere il feretro e chiesto con forza l’autopsia. Ci sono volute forti manifestazioni di piazza per ottenere l’impegno della magistratura ad ordinare l’autopsia.

Il referto è stato chiaro: morte causata da soffocamento, con segni di pressioni sul collo, e rotture delle vertebre per colpi sulla nuca. Tutti gli ufficiali e i poliziotti presenti nel commissariato in quella notte sono stati indagati e citati in giudizio. Il 13 febbraio 2023 ci sono stati i funerali dell’attivista assassinato. Sono stati – secondo la stampa mauri – i più grandi funerali della storia recente del paese.

Ould Cheine era un attivista sufi, pacifista e nonviolento, aveva sempre lottato per i diritti umani delle minoranze in Mauritania e per la convivenza civile tra le diverse etnie, che caratterizzano la società mauri.
Aveva fondato il “Movimento per la pace sociale”, per contrapporsi alle tendenze violente e estremiste e per l’affermazione dell’eguaglianza e del rispetto reciproco. Contro la segregazione da parte della maggioranza di
etnia araba e nello stesso tempo contro il separatismo delle minoranze di altre etnie africane. Lavorava per una società multiculturale, ma la sua vita è stata stroncata dalla violenza di Stato all’età di 39 anni.