>  MERIDIOGLOCALNEWS  – RASSEGNA SETTIMANALE  SULLE SOGGETTIV₳ZIONI METICCE  <

 

Con l’astensione USA approvata la risoluzione ONU per il cessate il fuoco a Gaza. Netanyahu dichiara di voler ignorare la norma emanata rifiutando i vincoli imposti della comunità internazionale

Per la prima volta dall’inizio dell’aggressione israeliana a Gaza lo scorso lunedì 25 il Consiglio di Sicurezza ONU ha approvato (gli USA si sono astenuti rinunciando al diritto di veto) una risoluzione in cui si chiede il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza: “una tregua quantomeno provvisoria, a quasi sei mesi dall’inizio dell’aggressione e dopo più di 32 mila vittime civili tra i palestinesi”

Nel testo, i 15 membri del Consiglio si limitano a chiedere un cessate il fuoco fino alla fine del Ramadan, la festività sacra per l’Islam che terminerà il 9 aprile, e un più ampio accesso agli aiuti umanitari, oltre al rilascio di tutti gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ora più isolato politicamente che mai, ha reagito con immediato sdegno al fatto che gli Stati Uniti non abbiano posto nuovamente il veto sulla risoluzione, mentre Washington dal canto suo ha commentato che il provvedimento non è vincolante e ha cercato di minimizzarne la portata. In realtà. il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha potere pressoché illimitato in caso di violazione della pace. Al contrario di quanto affermato da Washington, le sue risoluzioni sono vincolanti non solo per tutti gli Stati membri del Consiglio, ma anche per tutti i Paesi che aderiscono alle Nazioni Unite. Se il Consiglio di Sicurezza decide qualcosa (dall’imposizione di sanzioni a quella di una tregua), l’ordine deve essere portato a termine. Tuttavia, le difficoltà nel mettere in pratica quanto stabilito emergono per via dello scontro con il principio di sovranità nazionale, considerato pressoché inviolabile. Nel corso degli anni, d’altronde, Israele si è dimostrato sistematicamente sordo a ogni richiesta dell’ONU che chiedeva di interrompere le proprie politiche espansionistiche in Palestina, a partire da quelle che dichiaravano illegali gli insediamenti in Cisgiordania. E la “comunità internazionale” non ha mai preso iniziative sostanziali per farle rispettare. Tuttavia se in passato era l’Assemblea dell’ONU a condannare Israele (ovvero il consesso dove siedono tutte le nazioni e le risoluzioni vengono adottate a maggioranza semplice, senza avere carattere esecutivo), ora l’intimazione a cessare il fuoco arriva dal più importante Consiglio di Sicurezza (dove siedono Cina, Francia, Regno Unito, Russia, USA e altri 10 membri a rotazione) le cui risoluzioni hanno valore di legge internazionale e sono vincolanti.

leggi l’articolo completo di Valeria Casolaro su. l’Indipendente

 

L’ennesima denuncia dei portuali genovesi: dalle navi della morte protette dalla Digos mezzi armati USA diretti a Camp Darby

Nella lunga vicenda delle “navi della morte”, le navi saudite della compagnia Bahri, c’è un nuovo inquietante capitolo: la «Bahri Abha» lo scorso fine settimana in porto a Genova ha scaricato una decina di mezzi militari, che non sono destinati a ripartire

Si tratta probabilmente Oshkosh L-ATV (la sigla sta per Light Combat Tactical All-Terrain Vehicle), il veicolo 4×4 tattico leggero dell’esercito americano che in parte sta sostituendo gli HMMWV. È la prima volta che questi arsenali galleggianti portano armi nel nostro paese. Lo fanno come una routine commerciale, evidentemente c’è una “domanda” nuova a cui rispondere. Infatti i mezzi scaricati sono destinati alla base americana di Camp Darby. Su Camp Darby molto è stato detto e scritto, ma va sottolineata la sua incostituzionalità di fatto e di principio. A detta delle stesse autorità USA, è il più grande deposito di materiale bellico al di fuori degli Stati Uniti, che occupa ben 2.000 ettari nella pineta tra Pisa e Livorno. Ha origine da un accordo segreto Italia-Stati Uniti firmato nel 1951. Aveva un carattere temporaneo (quarant’anni) in seguito divenuto permanente. È formalmente una base italiana con un comandante italiano, ma di fatto è il fulcro del dispositivo militare USA nell’Europa meridionale. Ha servito di supporto a tutte le guerre condotte dagli Stati Uniti negli ultimi decenni, in particolare per le spedizioni militari nei Balcani e in Medio Oriente. Quindi è una base militare “italiana” che è servita e serve a condurre guerre, in aperta contraddizione con l’articolo 11 («L’Italia ripudia la guerra» ecc.) e l’articolo 87 («il presidente della Repubblica dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere») della Costituzione. Questo passaggio della «Bahri Abha» che consegna armi alle basi militari USA sul territorio italiano è un altro passo della militarizzazione globale. Infatti sinora nella catena logistica militare che rifornisce le installazioni militari USA in Europa sono state impiegate solo navi con bandiera USA, come quelle che toccano regolarmente il porto di Livorno. L’impiego anche della flotta Bahri, sotto bandiera saudita, nella logistica militare USA sancisce che l’alleanza di interessi tra gli Stati Uniti e la monarchia di Riyad è ormai un’alleanza militare attiva, non più una mera fornitura di materiale per la difesa, il che si constata anche nel Mar Rosso occupato dalle cannoniere occidentali in funzione anti-houthi. Com’è noto, gli alleati dei nostri alleati diventano nostri alleati. È stato il caso di Israele, con cui i governi italiani hanno stretto patti militari importanti, anch’essi rimasti largamente segreti. Ed è ora il caso della sanguinaria e per nulla democratica monarchia assoluta araba saudita. Del resto i portuali genovesi lo stanno provando direttamente da anni sulla propria pelle: ogni arrivo delle navi Bahri in porto è preceduto e accompagnato da un incredibile spiegamento di forze di polizia dentro l’area portuale, anche dove normalmente operano i mezzi e i portuali i quali pertanto sono costretti a lavorare sotto gli occhi della DIGOS senza che questa circostanza sia ufficialmente e pubblicamente motivata. Quello che è un transito di armamenti in violazione di leggi nazionali e trattati internazionali è da tempo presentato come prioritario interesse per la sicurezza del nostro paese. È invece un altro tassello della pratica partecipazione dell’Italia alle guerre in corso e, temiamo, a quelle che si stanno preparando.

comunicato – The Weapon WATCH – Osservatorio sulle armi nei porti europei e mediterranei

 

Precipitiamo! Il vertice europeo ha fatto un altro passo verso la guerra in Europa: “si devono preparare i cittadini a subire attacchi militari, attentati terroristici, allarmi sanguinari”

La chiamano “risposta civile militare rafforzata” con uno di quei begli eufemismi razionalizzanti e feroci in cui sono tanto esperti e tanto bravi per tentare di rassicurarci, per farci stare zitti e buoni a subire tutto sino all’ultimo, fatale, istante. Solo un’escalation verbale di propaganda, da entrambe le parti?

La crisi dei regimi politici è troppo grave per pensare solo a questo: per stare in piedi ormai – nella loro attuale debolezza di consenso e di crescita – tutti gli stati hanno assoluto bisogno della guerra. Come già accaduto nella storia, anche recente, non lo riconosceranno mai. Ovviamente, preferiscono riprendere a urlare che la minaccia – come in un passato inquietante che ritorna – arrivi da oriente. Ed, altrettanto ovviamente, fanno di tutto perché questa loro profezia si autoavveri. Chiedo: se i vostri nemici decidessero di utilizzare gli utili dei soldi che vi hanno sequestrato nelle loro banche per produrre e far comprare ancora armi per farvi guerra, voi come la vedreste? E se vi combinassero un attentato nella vostra capitale, con più di cento morti ad un concerto, voi cosa fareste? E se proseguissero a consegnare decine di miliardi a un esercito nemico che sbanda e tentenna, ma che resiste proprio solo grazie a tutti questi aiuti contro di voi, voi come reagireste? E se vari capi di stato europei (Francia, Polonia, Paesi Baltici…) sembrassero non vedere l’ora di intervenire direttamente sul terreno pur di sconfiggervi, voi cosa ne pensereste? Non vi sentireste continuamente provocati a reagire? Non cerchereste alleanze con i vostri potenti vicini (India, Cina…) contro chi vi assedia? Probabilmente si procederà così , ancora per un po’: minacce, fake news, attentati in franchising, bombe che spuntano qua e là, hackeraggi pilotati, improvvise espansioni della guerra in varie parti del globo, blocchi militari che si dividono e organizzano per potersi “difendere”, nuovi ingressi nella Nato (ad esempio, perché no?, della stessa Ucraina). Cose già viste, continue manovre di ulteriore militarizzazione di quel che resta delle nostre società. Ma il nostro destino appare segnato, al momento e per un po’, da una nuova guerra fredda che si fa permanente e che ammorberà le nostre vite. E, in una prospettiva non troppo remota, da una guerra spietata che ci brucerà col suo tremendo, insopportabile, invivibile calore. Stiamo precipitando nell’abisso della catastrofe e dell’autodistruzione. Si attende solo il momento in cui la giusta scintilla (l’uccisione di un capo di stato? la distruzione di una città intera? un errore di valutazione? un bottone in mani maldestre?) brillerà – ancora una volta – nel firmamento della storia, a giustificare i nuovi, ennesimi delitti dell’uomo contro l’umanità.

vedi il pezzo integrale di Enrico Euli su Comune.info

 

CPR di Macomer: criticità di un luogo di reclusione e abbandono. Report delle associazioni dopo la visita effettuata assieme alla deputata Francesca Ghirra di Alleanza Verdi e Sinistra 

Sabato 23 marzo una delegazione della Rete Mai più Lager – No ai CPR e del Naga (un medico e un operatore legale) ha visitato senza preavviso con la parlamentare Francesca Ghirra il CPR di Macomer (NU). La visita, durata nove ore, è stata organizzata a seguito di segnalazioni di gravi episodi di violenza giunte al centralino SOS CPR del Naga

In generale il luogo, costruito come carcere di massima sicurezza ma poi non ritenuto idoneo neppure come tale, è fortemente caratterizzato dall’aspetto detentivo/punitivo (celle e mura asfittiche, sbarre o ovunque, etc.), e presenta caratteristiche di obsolescenza e incuria che sollevano anche dubbi sui sistemi di sicurezza, incluso quello antincendio, come evidenziato dall’incendio che proprio ieri sera 24 marzo si è sviluppato all’interno del Centro. L’assenza di spazi comuni effettivamente fruiti e di attività di qualsiasi genere lo configura come uno spazio in cui vige un regime di abbandono delle persone detenute. Il Naga e la rete Mai più Lager – No ai CPR ritengono necessario segnalare fin d’ora alcune delle criticità emerse durante i colloqui con i rappresentanti dell’ente gestore Ekene e delle Forze di Polizia preposte alla sicurezza del Centro, nonché con le persone detenute al suo interno. Alcune delle persone migranti incontrate durante il sopralluogo presentavano seri problemi di salute evidentemente incompatibili con la permanenza nella struttura, incluse patologie croniche scompensate, deficit fisici post-traumatici e gravi quadri psichiatrici. Allo scopo di verificare queste e altre situazioni, è stato pertanto richiesto al Gestore di fornire le cartelle cliniche degli interessati, i quali hanno firmato l’autorizzazione a inviarle alla parlamentare. La tutela legale non è garantita. Segnaliamo a questo proposito tre casi esemplari ma non isolati: una persona che ha avuto la possibilità di parlare con un legale solo dopo due mesi di trattenimento; un’altra titolare dello status di rifugiato politico, e, quindi regolarmente presente sul territorio a prescindere dall’avere con sé un documento scaduto; una persona a cui è stato impedito di inviare un reclamo al Garante Nazionale. Particolari criticità solleva il fatto che la stragrande maggioranza dei trattenuti sia assistita dallo stesso avvocato che – secondo quanto riferito – viene loro direttamente suggerito dal personale dell’Ente Gestore, col quale intratterrebbe un rapporto molto stretto. La vita quotidiana dei trattenuti è concretamente gestita da un gruppo di una decina di collaboratori arabofoni, tutti della stessa nazionalità e assunti appositamente, che svolgono compiti che spaziano dalle mansioni tipiche degli inservienti, alla mediazione culturale, fino al mantenimento dell’ordine all’interno dei settori in cui il Centro è diviso. Unici criteri di selezione sembrano essere la conoscenza dell’arabo e la nazionalità. Questi collaboratori costituirebbero l‘unico vero canale e filtro disponibile per accedere sia ai servizi interni – quali l’assistenza legale, amministrativa e medica – sia a quelli esterni, come le strutture sanitarie sul territorio o le autorità diplomatiche e consolari dei paesi d’origine dei trattenuti: la gestione delle persone trattenute è pertanto completamente affidata a questi collaboratori, che operano di fatto in modo discrezionale e praticamente su delega dell’Ente Gestore. L’elemento più grave di questo sistema appaltato e “razzializzato” di gestione della vita quotidiana all’interno del CPR di Macomer è rappresentato da episodi di violenza fisica e da un clima intimidatorio che alcune delle persone migranti detenute denunciano essere messo in atto da questo gruppo di collaboratori. Il Naga e la rete Mai più Lager – No ai CPR intendono approfondire ulteriormente quanto emerso, in particolare con l’esame della documentazione clinica richiesta, prima di pronunciarsi sull’effettiva gravità degli episodi segnalati e di quelli riscontrati di persona.

comunicato ReteMaiPiùLager – No ai CPR, AssociazioneNagaODV

 

Ripensare l’accoglienza. La crisi del diritto di asilo in Italia è sempre più profonda: “Lo scenario di fondo in cui prende forma è quello di una crescente deriva europea delle politiche migratorie”

C’è bisogno di garantire il diritto di asilo a tutte e tutti, serve rendere accessibili i servizi per la salute, occorre sperimentare nuove forme di collaborazione tra realtà che si occupano di accoglienza e al tempo stesso ripensare una vera accoglienza diffusa, ma c’è bisogno anche di una nuova narrazione delle migrazioni

Di questi temi si è discusso nella due giorni partecipatissima – soprattutto da operatori e operatrici del Sistema Accoglienza Integrazione, presenti in circa duemila comuni di tutti Italia – promossa a Roma il 22 e 23 marzo dalla rete nazionale Europasilo, con il convegno “L’Asilo Resiste” e con gli interessanti cinque gruppi di lavoro (Quali diritti, Tutela sanitaria, Forme di sostegno, Inclusione possibile, Comunicare). Anche la redazione di Comune ha partecipato, intervenendo in particolare al tavolo “Comunicare” per raccontare l’esperienza di Benvenuti ovunque promossa insieme alla Rete delle comunità solidali (Recosol): un’occasione per ragionare di decostruzione del linguaggio, per segnalare il lavoro fondamentale di siti di associazioni e di redazioni attente ai temi delle migrazioni, ma anche per discutere come le piccole realtà sociali possono contribuire a creare una nuova cultura antirazzista e raccontare mondi diversi.

per approfondimenti su europasilo

 

Esselunga, gli operai morti riposino in pace! Destra e renziani annacquano le norme sulla sicurezza sul lavoro 

“Mesi di stucchevole retorica da parte della destra sull’importanza della sicurezza sul lavoro e poi FdI, Lega e FI, con i renziani, presentano degli emendamenti al decreto Pnrr per depotenziare la già loffia patente a crediti inserita al suo interno

Una vergogna assoluta. Voglio sperare che la ministra Calderone dia parere negativo. Diversamente, dovremo credere che quelle pronunciate giovedì scorso in Parlamento durante la sua informativa urgente sulla tragedia di Firenze non fossero altro che parole vuote”, la dura critica della capogruppo del M5S in commissione Lavoro alla Camera, Valentina Barzotti, nasce dagli emendamenti che annacquano ulteriormente la già inefficace patente a punti per le aziende. Le proposte di modifica presentate, difatti, aumentano i crediti delle aziende all’aumentare del numero dei dipendenti: da 30 si passerebbe a ben 100 in caso di imprese edili con più di 249 dipendenti. Crediti che – lo ricordiamo – vengono scalati in caso di incidente in cantiere, in proporzione alla gravità del fatto. Una norma scaturita sull’onda emotiva dell’incidente a Firenze del 16 febbraio, quando nel cantiere per il nuovo supermercato Esselunga morirono 5 operai e altri 3 rimasero feriti.

ilfattoquotidiano

 

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