È ormai da molti anni, si può dire dall’inizio degli anni ‘90, dopo la caduta del muro di Berlino, la crisi delle forme tradizionali della rappresentanza, partiti e sindacati, e l’appello alla società civile, che il volontariato si trova dentro a dinamiche di trasformazione, identitarie, di senso e organizzative molto complesse.
L’appello al pre-politico prima, il sorgere quasi contemporaneo del dibattito sul terzo settore poi, oltre ad almeno due stagioni di cambiamento del lessico, hanno innescato una fase che ben descrivono le parole che prendo a prestito da Giuseppe Cotturri ed Aldo Bonomi: una “transizione lunga” e una realtà “sospesa tra non più e non ancora”, scritte in volumi editi a fine anni ‘90, ma ancora valide.
Una società poco attenta alle giovani generazioni, la crisi della partecipazione politica, alcune disfunzioni della riforma del terzo settore, le dinamiche di ibridamento tra profit e non profit, l’accentuarsi delle pratiche di disintermediazione della politica, le retoriche sull’inclusione, la comunità, le differenze, l’innovazione sociale, il diversity management, hanno reso ancora più complesso il quadro e il lessico che lo interpreta.
Ragionare di volontariato è un navigare a vista e fare rappresentanza un compito difficile, inevitabilmente parziale, foriero di pericoli di semplificazione e scorciatoie.
Due i possibili nodi principali attorno a cui ragionare:
– l’identità del volontariato: il suo frammentarsi in varie tipologie, l’agire di figure per certi versi simili e per altre diverse (Volontari/militanti/attivisti), la riforma del terzo settore che sposta l’attenzione dalle organizzazioni al volontariato singola e tende a imprenditorializzare tutto il terzo settore a discapito delle funzioni di tipo immateriale (politica rappresentanza, conflitto, cittadinanza, educazione civica, partecipazione…).
A ciò si aggiunga anche la mancanza di dati per ragionare, annacquati nel calderone indifferenziato del no profit.
– il rapporto con il “politico” e la politica: risorgere qua e la del consociativismo, depoliticizzazione del termine volontario, nascere/ristrutturarsi di un associazionismo orientato a centro destra, migrazione di quote di dirigenti e di parte dei quadri del terzo settore verso un farsi “ceto politico”, il caso studio della disabilità, i corpi intermedi che per restare corpi rinunciano alla intermedietà.
Il lessico è la finestra da cui è possibile leggere tutte queste complesse e incerte dinamiche.
Andrea Pancaldi
Leggi tutto l’articolo di Andrea Pancaldi nel blog della Istituzione GianFranco Minguzzi