So bene che le elezioni non sono il terreno migliore per far passare messaggi utili al bene comune. Inquinati come sono da interessi particolari, gli istituti della democrazia rappresentativa (partiti, parlamenti) hanno sempre meno credibilità agli occhi della gente.

Una qualche ragione ci dovrà essere! Eppure – a costo di una forzatura volontaristica – una cosa potremmo fare. Per “noi” intendo persone affezionate alla democrazia anche nelle sue forme più sbiadite. Penso alla proposta di trasformare queste elezioni europee in una chiamata generale alla mobilitazione per un solo scopo, quello prioritario che costituisce la precondizione indispensabile per ogni possibile futuro. Il nostro, come quello di tutti. Non voglio nemmeno chiamarlo pace, ma ceasefire, cessate il fuoco, immediatamente, ovunque.

Gridiamo: “Depositate le armi, fate rientrare i vostri maledetti scarponi militari da ogni scenario di guerra”. Non abbiamo mai creduto alle vostre “missioni di pace”, alle “guerre umanitarie”, allo “scontro di civiltà”. Serve ancora dimostrarlo dopo l’Iraq, l’Afghanistan, la Libia, la Siria? Non esistono “guerre giuste”.

Nessuna guerra sarà mai l’“ultima guerra” fino a quando ci saranno generali al comando di eserciti. Dobbiamo cacciare l’avvoltoio che vola sulle nostre teste (il riferimento è agli splendidi versi di Calvino). Non sto evocando la minaccia di una terza guerra mondale con il conseguente inverno nucleare, che pure esiste eccome. Sto dicendo una cosa molto elementare che Judith Butler ha così bene espresso: “L’obiettivo implicito della guerra non consiste primariamente nell’alterazione dello scenario politico né della fondazione di un nuovo ordine, bensì nella distruzione delle basi sociali della politica stessa” (La forza della nonviolenza. Un vincolo etico/politico, Nottetempo 2020).

La necropolitica è la morte della politica. La guerra nel discorso pubblico ha smesso di essere un tabù. I militari sono entrati nelle scuole, le industrie d’armi finanziano le università. L’economia di guerra traina la “crescita”, non solo in Russia. La Nato ha conquistato la sua “scala mobile” (il 2% del Pil di ogni Stato che deve andare alla spesa militare). Quanto Pil si merita la salute degli anziani? L’istruzione dei giovani? La sicurezza sociale? La preservazione dell’ambiente naturale?  Discutiamone pure, rilanciamo la sfida, apriamo un confronto pubblico vero sulla destinazione delle risorse comuni.

Ma per farlo seriamente dobbiamo toglierci l’elmetto, sfilarci il giubbotto antiproiettile, bandire le parate militari il 2 giugno (che capiterà in piena campagna elettorale. Per piacere!). La pace è l’unico terreno possibile dove poter giocare le battaglie per l’uguaglianza e le libertà. Per questi motivi la convergenza sul “cessate il fuoco subito, ovunque” in occasione delle elezioni europee a me non sembra una rinuncia o un arretramento della politica (intesa come la pluralità delle scelte possibili), ma la sua pratica condizione di esistenza di fonte alla normalizzazione della guerra, alla militarizzazione nazionalistica delle masse, alla repressione negli Stati in armi.

P.S. Mi rimane ancora da fugare un retropensiero maligno. Non sarà mai che si tratti di una operazione strumentale al fine di carpire qualche voto in più, buono non alla causa della pace, ma a raggiungere un qualche quorum? C’è un solo modo – ritengo – per essere credibili: la coerenza e l’affidabilità personale. Come quella di Mimmo Lucano. (Vedi di Domenico Lucano, Elezioni europee, uniamoci per una nuova storia collettiva,  il manifesto 2/2/2024.