Mercoledì la Lega ha depositato al Senato una proposta di legge che intende vietare le manifestazioni in cui si esprimano critiche alle istituzioni israeliane. La proposta adotta infatti la definizione di antisemitismo formulata dall’Assemblea plenaria dell’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto (IHRA), che inquadra l’antisemitismo “una determinata percezione degli ebrei che può essere espressa come odio nei loro confronti, le cui manifestazioni, di natura verbale o fisica, sono dirette verso le persone ebree e non ebree, i loro beni, le istituzioni della comunità e i luoghi di culto ebraici”. Tale definizione è tuttavia oggetto di non poche critiche, dal momento che definisce antisemiti atteggiamenti ascrivibili piuttosto all’antisionismo. All’art. 3 del ddl depositato, in particolare, la Lega inserisce un apposito punto contro le manifestazioni di piazza, offrendo alle questure il potere di negarne l’autorizzazione “per ragioni di moralità” anche in caso di “rischio potenziale” per l’uso di “simboli, slogan, messaggi e qualunque altro atto antisemita ai sensi della definizione operativa di antisemitismo adottata dalla presente legge”. A caldeggiare la proposta è stato lo stesso leader leghista Matteo Salvini, che ha riferito di aver elaborato il testo del ddl con l’aiuto dell’Unione Associazioni Italia-Israele.

Il disegno di legge, annunciato dal ministro Matteo Salvini in occasione del giorno della memoria ed il cui testo è stato depositato in Senato due giorni fa, si fonda, come accennato, sulla definizione di antisemitismo adottata dall’IHRA. Tale definizione è già in parte riconosciuta dalla Strategia Nazionale di Lotta contro l’Antisemitismo, approvata dall’IHRA stessa, e promossa dal governo Draghi ai sensi delle richieste avanzate dal Consiglio dell’Unione europea con la Dichiarazione n. 13637 del 2 dicembre 2020, all’interno della quale si richiede “agli Stati membri l’integrazione della lotta all’antisemitismo trasversalmente ai vari ambiti politici”. Le critiche in merito all’adozione di tale definizione, tuttavia, non sono poche e riguardano in particolare il rischio che essa sia facilmente piegabile a interessi politici specifici. David Feldman, professore di Storia e direttore dell’Istituto Pears sullo Studio dell’Antisemitismo di Londra, ha definito «sconcertante» l’imprecisione con la quale l’antisemitismo viene definito all’interno della definizione dell’IHRA, rendendo la definizione stessa inefficace anche nello scopo che si prefigge, ovvero tutelare gli ebrei dagli atti discriminatori. A suo parere, inoltre, la definizione presenta anche un rischio concreto che «l’effetto complessivo faccia ricadere sui critici d’Israele l’onere di dimostrare di non essere antisemiti».

Dure critiche alla definizione di antisemitismo dell’IHRA sono giunte dalla stessa società civile israeliana. Pochi mesi fa, oltre un centinaio di organizzazioni israeliane e internazionali (tra le quali B’Tselem, Human Rights Watch e Amnesty International) hanno richiesto alle Nazioni Unite di non adottarla, proprio perchè “utilizzata impropriamente” per proteggere Israele da critiche legittime. Tutti i critici sembrano concordare sul fatto che a essere problematici siano 7 degli 11 “esempi di antisemitismo contemporaneo” offerti dalla definizione. Tra questi, “negare agli ebrei il diritto dell’autodeterminazione, per esempio sostenendo che l’esistenza dello Stato di Israele è una espressione di razzismo“, “applicare due pesi e due misure nei confronti di Israele richiedendo un comportamento non atteso da o non richiesto a nessun altro stato democratico”, “fare paragoni tra la politica israeliana contemporanea e quella dei Nazisti” e “considerare gli ebrei collettivamente responsabili per le azioni dello Stato di Israele”.

Sebbene sempre più governi in tutto il mondo la stiano adottando con il proposito di contrastare l’antisemitismo, “la definizione dell’IHRA è stata spesso utilizzata per etichettare erroneamente le critiche contro Israele come antisemite, e quindi per soffocare e talvolta reprimere le proteste non violente, l’attivismo e i discorsi critici nei confronti di Israele e/o del sionismo, anche negli Stati Uniti e in Europa”, scrivono le organizzazioni nella lettera. E in effetti, proprio l’art. 3 del disegno di legge depositato dalla Lega vorrebbe garantire “Il diniego all’autorizzazione di una riunione o manifestazione pubblica per ragioni di moralità“, con la sola motivazione di un “grave rischio potenziale per l’utilizzo di simboli, slogan, messaggi e qualunque altro atto antisemita ai sensi della definizione operativa di antisemitismo adottata dalla presente legge”.

«Stiamo con Israele, baluardo di democrazia e libertà» ha dichiarato Salvini, nell’annunciare la realizzazione del disegno di legge. «Dalla parte del popolo ebraico, contro il terrorismo islamista, contro chi soffia sul conflitto, per l’obiettivo finale di una convivenza pacifica tra due popoli in due Stati, senza che qualcuno possa più avanzare l’odiosa intenzione di cancellare Israele dalla carta geografica». Tuttavia, è sufficiente guardare proprio alle cartine geografiche dal 1948 ad oggi per rendersi conto che non vi è alcun rischio che lo Stato di Israele venga cancellato. Ciò che resta del territorio palestinese è invece oggi relegato nella Cisgiordania (Occupata) e nella Striscia di Gaza. E proprio quest’ultima, con i 30 mila morti tra i civili nei soli ultimi cinque mesi (il 70% dei quali donne e bambini) e la distruzione della maggior parte delle infrastrutture, delle abitazioni, degli ospedali, delle scuole, sta venendo poco a poco spazzata via dalla faccia della Terra.

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