La bomba sociale e quella ambientale sono pronte a detonare. È possibile disinnescarle? Sì, ma secondo Francesco Gesualdi – attivista, saggista e fondatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo – è indispensabile recuperare il senso del limite, consumare meno risorse e distribuirle più equamente. Perché quelle che offre il Pianeta non sono infinite.
Francuccio Gesualdi – Francesco all’anagrafe – è una delle personalità di riferimento in Italia per chi si occupa di economia e diritti, di povertà ed equa allocazione delle risorse.
Abbiamo incontrato Gesualdi durante il nostro primo viaggio in camper e adesso – in un periodo in cui molti popoli e comunità di tutto il mondo stanno attraversando una fase storica difficile – lo abbiamo risentito per capire quali sono le dinamiche in atto.
Con il Centro Nuovo Modello di Sviluppo pensate in una dimensione planetaria? O meglio universale? O internazionale?
Quando fondammo il Centro Nuovo Modello di Sviluppo, nel 1985, la nostra attenzione era concentrata sulle disuguaglianze sociali e economiche. Non solo quelle interne ma anche internazionali. Ancora oggi oltre due miliardi di persone vivono in condizioni disumane e non per sventura, come vorrebbero farci credere, ma per una precisa impostazione economica. Studiando i processi di impoverimento, apparvero ben presto le responsabilità delle imprese e decidemmo di elaborare proposte per trasformare il consumo da strumento di complicità con i misfatti delle aziende a strumento di liberazione a fianco degli oppressi.
Quali le vostre campagne di pressione più rilevanti contro le multinazionali?
Fra le strade indicate ci sono le campagne di pressione che nel corso degli anni sono state organizzate anche dal Centro. Famosa quella contro Del Monte, a sostegno dei diritti dei lavoratori delle piantagioni di ananas in Kenya, ma anche quella contro Chicco Artsana, a sostegno delle vittime dell’incendio che divampò alla Zhili, fabbrica cinese che lavorava in appalto per Chicco.
Un’altra strada indicata fu il consumo critico che consiste nel fare la spesa smettendo di utilizzare come unici criteri di scelta il prezzo e la qualità dei prodotti, ma ponendo anche attenzione alla loro storia sociale e ambientale, nonché il comportamento più generale delle imprese.
Cosa intendete per consumo critico?
Consumando in maniera critica è come se andassimo a votare ogni volta che facciamo la spesa. Votiamo sul comportamento delle imprese, premiando quelle che si comportano bene e punendo le altre. Alla lunga le imprese capiscono quali sono i comportamenti graditi ai consumatori e vi si adeguano instaurando fra loro una nuova forma di concorrenza, non più basata sulle caratteristiche estetiche ed economiche dei prodotti, ma sulle scelte sociali e ambientali.
Quali sono le problematiche più cogenti tra Nord e Sud del mondo?
Quando cominciammo a proporre il consumo critico, le problematiche maggiormente avvertite erano gli squilibri Nord-Sud, la violazione dei diritti dei lavoratori, la corsa agli armamenti. Ma oggi il ventaglio delle emergenze si è allargato ad altri temi e comprende la crisi delle risorse, l’eccesso dei rifiuti, l’esproprio dei beni comuni. Per questo la nostra proposta nell’ambito dei consumi si è estesa alla necessità di mettere in discussione l’intero stile di vita. Bisogna passare dal consumo critico al consumo responsabile dove la sobrietà fa da sfondo a ogni scelta.
La bomba sociale e quella ambientale incombono sempre sull’umanità?
Non disinnescheremo mai la bomba sociale e la bomba ambientale su cui il pianeta sta seduto finché noi, gli opulenti, non accetteremo di consumare meno auto, meno luce, meno gas, meno acqua, meno cibo, meno vestiario, meno carta. Consumare meno è indispensabile per lasciare ai nostri figli un pianeta vivibile e per consentire agli esclusi di risalire rapidamente la china. I miseri che non hanno ancora conosciuto il gusto della dignità umana hanno il diritto a mangiare di più, a vestirsi di più, a calzarsi di più, a curarsi di più, a studiare di più, a viaggiare di più. Ma potranno farlo solo se i benestanti accettano di consumare di meno.
Usiamo una metafora?
Volendo usare un’immagine pittoresca potremmo dire che il mondo è come abitato da pochi grassoni che convivono con un esercito di scheletrici. Gli scheletrici hanno bisogno di mangiare di più, ma possono farlo solo se i grassoni accettano di sottoporsi a cura dimagrante perché comincia ad esserci competizione per le risorse scarse. C’è competizione per le risorse energetiche e per questo siamo tornati a fare le guerre. C’è competizione per l’acqua, per i pesci, per le foreste, per i minerali e naturalmente c’è competizione per la produzione di rifiuti. Ad esempio, i cambiamenti climatici ci ricordano che se vogliamo salvare questo pianeta dobbiamo ridurre in maniera massiccia le emissioni di anidride carbonica. La morale della favola è che non si può più parlare di giustizia senza tenere conto della sostenibilità e l’unico modo per coniugare equità e sostenibilità è che i ricchi si convertano alla sobrietà. Ossia ad uno stile di vita, personale e collettivo, più parsimonioso, più pulito, più lento, più inserito nei cicli naturali.
In quali aspetti consiste un nuovo modello di economia e di società?
Ma dopo esserci fatti paladini della sobrietà, abbiamo capito che bisogna anche farsi promotori di un nuovo modello di economia e di società. Un numero crescente di persone sta capendo che se vogliamo garantirci un futuro dobbiamo accettare il senso del limite perché il pianeta non dispone di risorse infinite, né può assorbire rifiuti in maniera illimitata. Ma un tarlo impedisce a molti di orientarsi verso stili di vita più sobri: se consumiamo di meno, come può “girare” l’economia e che fine faranno i nostri posti di lavoro?
Qual è la ragione che impedisce a molti la svolta verso il consumo critico e la sobrietà?
In altre parole la ragione che impedisce a molti di convertirsi alla sobrietà, non è l’incapacità di vivere con meno, ma la paura per le conseguenze sociali che ne possono derivare. In primis la perdita del posto di lavoro da cui dipende la possibilità di vivere. Ecco perché è urgente mettere la testa sulle vie da seguire per uscire dall’economia della crescita. La sfida è passare da un’economia organizzata per produrre e consumare sempre di più a un’economia che sa fare i conti col senso del limite. Che richiede un doppio tipo di impegno. Il primo: indicare come può essere organizzato un sistema economico che pur producendo e consumando di meno sia capace di garantire a tutti una vita dignitosa e soddisfacente. Il secondo: come mettere in atto la transizione senza provocare contraccolpi per le fasce più deboli. Nel primo caso si tratterà di ripensare non solo il lavoro, ma anche il ruolo del mercato e dell’economia pubblica. Nel secondo caso bisogna individuare le scelte immediate da attuare in ambito fiscale, legislativo, di spesa pubblica, affinché pur cambiando impostazione, nessuno sia privato delle proprie sicurezze di vita configurabili con il lavoro, il soddisfacimento dei bisogni fondamentali e la garanzia dei servizi essenziali. Ed è proprio di questi due aspetti che oggi ci occupiamo di più, sperando che diventino temi di discussione dell’intera società civile.
Laura Tussi