L’8 dicembre, giornata internazionale di lotta contro le grandi opere inutili dannose e imposte, scenderanno in campo i comitati e le associazioni che da anni si oppongono al mega gasdotto Snam Linea Adriatica, di 430 chilometri, da Sulmona a Minerbio. Sono previste manifestazioni a Brindisi, Sulmona, Colfiorito, Apecchio-Città di Castello e Forlì.

Il grande tubo che la multinazionale del gas vuole imporre ai territori devasterà l’intero Appennino. Si tratta di un progetto obsoleto, concepito venti anni fa, quando sembrava che il consumo del gas potesse crescere in modo consistente. Ma non è stato così. Il picco massimo dei consumi di metano si è avuto nel 2005, con 86,3 miliardi di metri cubi. Da allora è cominciata una continua discesa fino ad arrivare al 2022 con 68,5 miliardi di metri cubi. Quest’anno si registrerà una ulteriore forte flessione: infatti tutto lascia prevedere che i consumi si attesteranno intorno ai 62 miliardi di mc. Questo significa che l’Italia raggiungerà con diversi anni di anticipo l’obiettivo fissato dal Piano nazionale energia e clima, che stabilisce 60 miliardi di mc al 2030.

Nonostante l’evidente inutilità di quest’ opera gigantesca, che interessa ben sei Regioni e che prevede anche una centrale di compressione a Sulmona, la Snam non intende rinunciarvi. Fanno gola i 2 miliardi e 500 milioni di euro dell’appalto, che porterà lauti guadagni nelle casse della multinazionale ma il cui costo verrà pagato dai cittadini attraverso la bolletta energetica per i prossimi 40/50 anni (durata dell’ammortamento dell’opera).

Inizialmente il mega gasdotto si chiamava Rete Adriatica, e il nome sta ad indicare che sarebbe dovuto passare lungo la fascia costiera. Ma, dopo la realizzazione dei tratti a sud, in corrispondenza del Tap proveniente dall’Azerbaigian, la Snam ha deciso di cambiargli il nome in Linea Adriatica e di dirottare il tracciato sull’Appennino, lungo le aree più altamente sismiche del Paese, già colpite dai terremoti dell’Aquila e di Umbria e Marche. Non solo: il metanodotto attraverserà anche aree molto fragili sotto il profilo idrogeologico, come quelle colpite recentemente da alluvioni e frane in Emilia – Romagna. Con buona pace del principio di precauzione.

Come se tutto ciò non bastasse il serpentone della Snam sconvolgerà territori di grande qualità ambientale e ricchi di biodiversità. Sono coinvolte aree protette della rete europea Natura 2000 e i danni all’ecosistema in molti casi saranno irreversibili. Si calcola che per la realizzazione del metanodotto, e per le relative piste di accesso in montagna, dovranno essere abbattuti milioni di alberi. L’area in cui dovrebbe sorgere la centrale di Sulmona è, inoltre, un importante corridoio faunistico dove è documentata la presenza dell’Orso bruno marsicano, specie protetta e ad altissimo rischio di estinzione. Per di più il metanodotto interferisce con diverse aree di valore archeologico e storico.

Vanno inoltre considerati i consistenti danni economici che l’opera provocherà alle comunità locali, attraverso la limitazione e la sottrazione di molte centinaia di ettari di terreno adibiti a coltivazioni agricole o all’uso civico, danni per i quali la Snam offre compensazioni che rasentano il ridicolo. Anche a causa della pericolosità dell’impianto (diverse esplosioni di gasdotti si sono verificate nel corso degli anni) terreni ed edifici subiranno una netta perdita di valore.

Eppure, tutte queste criticità di un progetto ormai completamente fuori dalla realtà non sembrano smuovere di un solo millimetro il governo Meloni che continua ad assecondare i desiderata della Snam e dell’Eni che sono i veri ispiratori dell’anacronistico “Piano Mattei”, in base al quale l’Italia dovrebbe essere riempita di gasdotti e rigassificatori per diventare una sorta di piattaforma per la rivendita di metano ai Paesi del centro e del nord Europa.  Un Hub del gas con i piedi di argilla e che provocherà la dissipazione di una enorme quantità di denaro, come avvertono autorevoli centri studi a livello internazionale secondo i quali si sta andando verso una forte ridondanza delle infrastrutture del gas mentre i consumi sono destinati inevitabilmente a calare.

Gli eventi meteo estremi sempre più frequenti – alluvioni, ondate di calore, siccità, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento dei livelli dei mari, desertificazione – impongono il rapido abbandono dei combustibili fossili e la loro sostituzione con le energie rinnovabili, oggi già più competitive rispetto alle fonti fossili. Va ricordato, in proposito, che il metano è tra i maggiori responsabili dell’effetto serra poiché, nei primi 20 anni di permanenza nell’atmosfera, ha una capacità climalterante oltre 80 volte più potente della CO2.

Dopo la mobilitazione dell’8 dicembre la lotta contro il mega gasdotto Linea Adriatica proseguirà su vari livelli, compreso quello legale. Comitati e associazioni contestano, infatti, l’assurda tesi della Snam secondo cui la Valutazione di Impatto Ambientale dei vari “pezzi” in cui è stata suddivisa l’opera sia da considerarsi senza scadenza, cioè eterna, e richiamano al riguardo una sentenza del 2020 del Consiglio di Stato la quale ha sancito che per tutti i progetti, compresi quelli presentati prima del 2008 (come è il caso della Linea Adriatica) la VIA deve avere una durata di 5 anni, dopo di che va ripetuta.

Altro importante punto è quello relativo agli studi sulla sismicità. Si chiede che venga data attuazione all’impegno assunto dal Ministero dello Sviluppo Economico affinché sia l’INGV ad effettuare studi sismici approfonditi lungo tutto il tracciato del metanodotto, dal momento che quelli fatti dalla Snam – come è emerso nel caso della centrale di Sulmona – non sono affidabili.

Anche sulle distanze di sicurezza l’obiettivo è chiaro: cambiare le norme vigenti perché esse non garantiscono affatto l’incolumità pubblica, come è emerso in modo inequivocabile nel caso di Mutignano di Pineto in Abruzzo. L’esplosione, nel marzo 2015, di un gasdotto Snam più piccolo della Linea Adriatica ha provocato effetti disastrosi, fortunatamente senza vittime, fino ad oltre 100 metri di distanza, mentre l’attuale normativa consente di interrare metanodotti ad appena 30 metri da singole abitazioni e centri abitati.

I gruppi ambientalisti impegnati in questa battaglia chiedono inoltre che venga effettuata una vera analisi costi/benefici che tenga conto non solo dei costi di realizzazione dell’opera ma anche dei costi economici per le comunità locali, nonché dei danni ambientali e climatici e dei rischi per la sicurezza e la salute dei cittadini.

L’obiettivo primario resta però quello del ritiro del progetto, che non ha alcuna ragione di esistere.