Inferno in terra. Così ha definito la situazione a Gaza il commissario dell’UNRWA, l’italo-svizzero, Philippe Lazzarini, durante il suo rapporto al Consiglio di Sicurezza. Ha anche sottolineato che serve “una stretta aderenza al diritto internazionale umanitario, questa non è un’opzione, è un obbligo”.

Strage di Jabalia: 6 bombe da una tonnellata di esplosivo ciascuna sono state sganciate dai caccia israeliani sul campo profughi causando la morte e il ferimento grave di 400 persone. “è un crimine di guerra, perché ha colpito i civili”, ha detto un consulente della Corte Penale Internazionale.

Gli scontri di terra proseguono a rilento, per la dura resistenza dei combattenti palestinesi. Secondo il portavoce sarebbero stati distrutti 6 carri armati israeliani, morte degli equipaggi e cattura di 2 soldati. Tel Aviv ha ammesso indirettamente la perdita di soldati: “La battaglia sarà lunga ed avrà i suoi costi dolorosi”, ha dichiarato il portavoce militare israeliano ammettendo la morte di 11 soldati.

L’offensiva di terra ha per il momento tre assi: da nord est e nord ovest e da est all’altezza di Khan Younis. L’avanzata compiuta è tutta nelle aree agricole aperte, di pochi chilometri. La prova di attacco frontale a Gaza City sembra sia stata abbandonata al momento per le gravi perdite subite. La soverchiante disparità di forze in campo non lascia dubbi sulle sorti della battaglia, ma il costo per le truppe d’invasione sarà troppo alto.

Amnesty International sostiene che le sue investigazioni hanno dimostrato che Israele usa bombe al fosforo bianco a Gaza e in Libano meridionale.

Deportazione

La Casa Bianca partecipa al progetto per deportare i palestinesi da Gaza. Lo ha affermato, con i dovuti distingui, il portavoce del consiglio per la sicurezza, John Kirby, sostenendo che l’amministrazione Biden concorda con la necessità di trasferire i palestinesi di Gaza all’esterno della Striscia, con la garanzia di ritorno. È il piano israeliano per svuotare Gaza dalla sua popolazione e insediare coloni e impianti turistici, oltre a sfruttare i giacimenti offshore di gas.

La BBC arabic ha rivelato che funzionari e politici israeliani hanno rivelato a diplomatici britannici, nel 1971, il piano per la deportazione della popolazione di Gaza nella città egiziana di El-Areesh, nel nord della penisola di Sinai, allora occupata. Documenti del ministero degli esteri britannico resi pubblici, visionati dai giornalisti della rete televisiva pubblica londinese, citano il ruolo in questo piano dell’allora ministro dei trasporti e comunicazioni ed esponente laburista, Shimon Perez, ed il suo tentativo di ottenere il consenso di Londra, promettendo che “l’esercito israeliano non avrebbe distrutto le baracche dei profughi palestinesi senza che ci siano pronte case per accoglierli in Sinai”. Aveva anche indicato le case degli ufficiali egiziani allora vuote, dopo la guerra del 1967.

Visto il rifiuto, di questi giorni, del presidente Al-Sissi, di permettere questo piano, malgrado le lusinghe USA e UE di alleggerire il debito estero egiziano, i tentativi della Casa Bianca si rivolgono adesso alla Giordania. È stata annunciata una telefonata di Biden a re Abdallah II “per affrontare temi umanitari”, con la promessa che “questi trasferimenti umanitari saranno temporanei, fino alla fine delle operazioni militari ed il conseguimento degli obiettivi di Tel Aviv”.

La stampa araba ha accolto queste promesse, di ritorno degli sfollati, con l’invito alla Casa Bianca ed alle potenze UE ad iniziare a dare attuazione alle risoluzioni dell’ONU sul ritorno dei profughi palestinesi, cacciati nel 1948 dalle loro terre. Le minacce di colonizzazione hanno il sostegno delle “incivili” potenze della Nato.

Brigate Qassam- prigionieri

Uno dei capi mascherati di Brigate Qassam, il braccio armato di Hamas, Abu Obeida, ha annunciato che saranno liberati alcuni prigionieri civili con la doppia nazionalità. È una buona notizia. Della decisione sarebbero stati già informati i paesi intermediari, Egitto e Qatar. La consegna non sarà ad Israele ma all’Egitto tramite la Mezzaluna rossa.

Cisgiordania e Gerusalemme est

L’esercito israeliano ha bombardato Jenin. 3 militanti palestinesi sono stati assassinati dopo il ricorso delle truppe di occupazione all’uso di missili teleguidati per domare la resistenza del campo profughi. È di fatto un terzo fronte, dopo quello di Gaza e del Sud Libano.

Continuano sistematici e con il supporto dell’esercito le aggressioni dei coloni armati contro le comunità rurali palestinesi. Sono stati finora cacciati dalle loro terre gli abitanti di 13 villaggi palestinesi, in diverse province, da El-Khalil, a Nablus e nella Valle del Giordano.

Libano

Si scalda il fronte nel Libano meridionale. Hezbollah ha comunicato di aver colpito ieri con razzi e droni diverse strutture militari israeliane, soprattutto impianti di sorveglianza e centrali elettriche. “Non siamo

entrati nella fase di una guerra aperta, ma rispondiamo agli attacchi israeliani che hanno colpito nei giorni scorsi le nostre città”, ha detto il portavoce libanese. L’esercito israeliano ha annunciato di aver intercettato e distrutto un razzo proveniente dal Libano meridionale. Elicotteri israeliani hanno lanciato sui villaggi libanesi volantini di minaccia nei confronti di coloro che collaboreranno con Hezbollah e ordinato alla popolazione di sfollare verso nord per la propria salvezza.

Il governo libanese ha presentato all’ONU una denuncia contro l’uso comprovato delle bombe al fosforo bianco, da parte di Israele, contro i villaggi libanesi del sud.

Iraq-Siria-Yemen

Ancora lanci di razzi contro le basi militari USA nel nord est della Siria. Una forte esplosione è stata sentita nella base di Hasaka mentre le truppe stavano svolgendo manovre militari. Subito dopo sono comparse in cielo gli elicotteri USA per controllare le zone da dove sarebbero partiti i razzi. Non sono state diramate informazioni sui danni o eventuali vittime.

In Iraq, invece, l’attacco contro le truppe USA è avvenuto con l’uso di droni kamikaze. La base militare USA di Ain Assad, nella provincia irachena di Anbar, è stata colpita con il lancio di due droni che hanno causato soltanto danni materiali. L’azione è stata rivendicata dalla sigla indefinita: “Resistenza islamica in Iraq”. Due giorni fa, la stessa base è stata oggetto di attacchi con razzi, che sono caduti all’interno della struttura militare.

Droni provenienti dal sud del mar Rosso sono stati intercettati nel cielo di Eilat, in Israele. Il portavoce delle milizie yemenite Houthi ha rivendicato l’attacco, “in solidarietà con il popolo palestinese fratello e per denunciare i crimini compiuti dagli occupanti”.

Questi sviluppi, anche se militarmente sono insignificanti, potrebbero avere effetti politicamente destabilizzanti per tutta la regione. Iran non si azzarda a entrare nel conflitto, ma manda avanti i suoi alleati locali a compiere atti di disturbo. Le reazioni israeliane e statunitensi allargheranno il conflitto.

Solidarietà internazionale e proteste contro il massacro

Interrotto al Senato USA il discorso del segretario di Stato Blinken, con le grida del pubblico “Stop War”. A Londra migliaia di persone hanno bloccato una stazione ferroviaria chiedendo la fine dell’aggressione israeliana contro la popolazione civile palestinese.

Il governo Boliviano ha rotto le relazioni diplomatiche con Israele, “in segno di protesta contro il genocidio del popolo palestinese”.

I governi di Colombia e Cile hanno richiamato i propri ambasciatori a Tel Aviv per consultazioni: “Se Israele non ferma il massacro dei civili innocenti palestinesi, non possiamo essere lì”, ha detto il presidente colombiano, Gustavo Petro.

Nessun paese arabo o musulmano è arrivato a tanto