Ciao Enrique. Ci mancherai!

Alle 20,50 di domenica 5 novembre 2023, a Città del Messico, è morto Enrique Dussel. Aveva 88 anni. Con la sua “filosofia della liberazione” fece e fa parte del ristretto gruppo di filosofi contemporanei che hanno regalato novità significative al pensiero umano. Mancherà a tutti, specie a chi intende trasformare il mondo.

Correva il 1977 quando Dussel pubblicò la prima edizione della sua “Filosofia della liberazione”: “L’origine della dominazione è nel pensiero… Abbiamo bisogno di una rottura epistemologica che ci distanzi dal colonialismo, dal maschilismo, dal razzismo e dalla esclusione, avvicinandoci alla diversità con una nuova sensibilità svuotata da pregiudizi … Abbiamo bisogno di un sistema di pensiero che, essendo nato dall’oppressione, acquisti le caratteristiche del pensiero liberatore e sia, contemporaneamente, una pratica politica… Il pensiero, da sempre legato allo spazio geopolitico dove si forma, da noi è dominato da un muro, da una barriera simbolica sempre più alta nata nel 1492 con la conquista delle Americhe, che separa il nord sviluppato dal sud impoverito”.

Nel 2010, presentando “El pensamiento filosófico latinoamericano, del Caribe y latino” (Il pensiero filosofico latinoamericano, dei Caraibi e latino), documentò sette secoli di filosofia latinoamericana, dal 1300 al 2000: “Molti sostengono che nell’America Latina non c’è filosofia. Con questo libro li sfido: Provate a respingere quanto questo libro dimostra. Nelle sue 1.100 pagine contiene tesi dure, verificate e verificabili. Attendo risposte”. L’accademia e gli accademici risposero con un silenzio molto simile all’ignoranza.

Il volume si divide in quattro parti: Historia, Corrientes, Temas y Filósofos (Storia, Scuole di pensiero, Tematiche e Filosofi): “Inizia col pensiero amerindio dei popoli originari. Secondo alcuni, non c’era filosofia. Io dico che cerano pensatori, uomini amanti della saggezza, rispettosi dell’etimologia della parola in senso pieno. E che li abbiamo avuti pure durante l’epoca coloniale, anche come reazione alla conquista”.

Gli chiesi dove collocava il gesuita Antonio Rubio, del quale avevo letto nel suo “Metodo per una filosofia della liberazione”: “Grande studioso di Aristotele, il suo libro Lógica mexicana (Logica messicana) era molto noto nell’Europa dei secoli XVI e XVII. Nel 1590 insegnava scolastica moderna nell’Università del Messico. Descartes racconta che, nel colegio gesuita Le Fleche, aveva dovuto studiarlo a fondo nel suo corso di logica. A scanso di equivoci: Rubio era messicano. Ma anche la filosofia latinoamericana dell’età matura, e cioè del XVIII e XIX secolo, comprende molti autori notevoli”.

La seconda parte è dedicata alle scuole filosofiche del XX secolo nell’America Latina. Dussel ne distingueva 16, tra cui gli antipositivisti, i fenomenologici, la filosofia cristiana, la filosofia della ciencia, la filosofia analitica, la filosofia della rivoluzione e marxista: “Parto dal cubano Martí e includo i grandi marxisti, dal peruviano Mariátegui al messicano Sánchez Vázquez. E non mancano il Che Guevara, il subcomandante Marcos ed Evo Morales … A qualcuno verrà un infarto, ma anche loro sono grandi pensatori politici e hanno fatto grandi apporti alla storia del pensiero”.

“I filosofi astratti dicono che la filosofia è logica e nulla ha da spartire con la politica. Studiano Hegel, Kant, Marx e li commentano, ma io penso che si possa studiare Hegel, Kant e Marx come uno strumento per pensare la realtà estetica, politica, antropologica o qualsiasi altra.

Un mio maestro mi diceva: la filosofia non studia la filosofia, studia la realtà, studia la filosofia come strumento ma non si ferma al metodo. Se io possiedo un coltello da carne devo affilarlo, quello è il metodo, ma alcuni passano la vita affilando il coltello fino a consumarlo senza mai tagliare la carne”.

Tra le scuole filosofiche latinoamericane del XX secolo, Dussel includeva inoltre i “filosofi latini” negli Stati Uniti. Era un’altra novità.

La terza parte s’incentrava sui grandi temi trattati dai pensatori della regione: l’etica, l’estetica, l’ontologia, la religione, l’economia, la pedagogia, la filosofia per bambini, la filosofia interculturale…

La quarta conteneva le schede di 200 filosofi latinoamericani di tutte le scuole, con una breve bibliografia per ogni autore. Questa informazione non esisteva: “E’ stato complicato scegliere solo 200 quando soltanto nel Brasile ci sono almeno 300 filosofi che meriterebbero di essere studiati. Ci sono altri 200 in Messico e altrettanti in Argentina. Parlo di grandi filosofi, con opere riconoscibili e riconosciute, non da improvvisatori né da improvvisati tuttologi”.

L’ambizioso progetto di Dussel ha facilitato la mutua conoscenza tra i filosofi della regione. Il maestro annotava: “Gli europei sono estremamente ignoranti ma hanno quantomeno una giustificazione: sono pieni di sé e questo a loro basta. Qui è peggio, perché non abbiamo nemmeno l’aria per gonfiarci. In Messico nulla sappiamo del Brasile, né in Brasile del Messico o dell’Argentina, né dell’Uruguay, del Cile, del Paraguay, della Bolivia, del Perù, dell’Ecuador, della Colombia, del Venezuela, del Centroamerica e/o dei Caraibi”.

“Inseguivo questo progetto da 40 anni. Non avevamo una visione complessiva del nostro pensiero filosofico, non sapevamo ciò che si è pensato nel continente. Gli studenti pensano che la filosofia sia europea o statunitense. Ora potranno accorgersi che, da sempre, ci sono stati autori importanti nostri. Finora non li hanno conosciuti. Ora dovranno farsi carico e prendersene cura. Siamo in una nuova età della storia della filosofia. Per la prima volta, questa storia diventerà mondiale e in 20-30 anni inizieremo a conoscere tutti i grandi filosofi di tutte le culture e avrà inizio un dialogo multiculturale che non si limiterà a Kant, a Hegel e ad Heidegger ma includerà i grandi filosofi giapponesi, cinesi, africani, tutti messi su un simile piano di dignità. In questo senso, il mio scopo è dire ai latinoamericani: anche noi dobbiamo partecipare a quel dialogo e questa è la nostra biografia. E quando gli africani, gli asiatici, gli europei, potranno leggerlo, magari diranno: quindi, anche i latinoamericani avevano una filosofia. Potrà essere, un *golazo”. (*Gol molto bello, spettacolare)

Mesi dopo, invitato a dialogare con un gruppo di filosofi statunitensi, esordiva: “Per dialogare tra di noi dobbiamo prima conoscerci. Noi vi conosciamo, ma voi non ci conoscete”. Quindi, “ho dedicato un’ora e mezza a parlare della filosofia in America latina prima e dopo l’arrivo dei Pilgrims (i primi colonizzatori inglesi arrivati nelle terre che oggi sono gli Stati Uniti). Non ne sapevano nulla. Ignoravano persino che la prima università sorta nel continente non è stata quella di Harvard, bensì quella di Santo Domingo… Alla fine del dialogo un filosofo, un professore universitario vecchio come me, mi si avvicinò e mi disse: oggi ho imparato moltissimo. Io sapevo d’aver creato uno spazio nel vuoto. Allora gli disse, sì, è vero. Siamo poveri. Ma riguardo la cultura abbiamo molto da dirvi”.

Dopo averlo ascoltato, avrei voluto chiedergli perché aveva dovuto scappare dalla sua Argentina natia nel 1975. Osservandolo, non riuscivo a capire perché Videla & Co avevano costretto all’esilio un uomo così saggio e così evidentemente pacifico, tra gli uomini più vicini alla serenità che io abbia mai avuto la fortuna d’incocciare. Non avevo considerato che lo scopo era quello di non permettergli di continuare a pensare.

Non ho osato farlo. Lo vidi talmente contento dall’aver discusso del suo lavoro che mi sembrò tanto fuori luogo come chiedere ad un bambino perché si divertiva tanto correndo con altri energumeni in pantaloncini corti dietro un pallone. Se qualcuno me l’avesse chiesto quando ero uno dei tanti energumeni in pantaloncini corti correndo dietro ad un pallone, avrei pensato che quel qualcuno fosse scemo.

Per non vergognarmi, gli chiesi allora qual era, secondo lui, il rapporto tra la riforma luterana e la conquista – con relativa occupazione – delle Americhe. Ne abbiamo parlato fino a tarda sera, ma ci tornerò in un’altra occasione.

Ciao Enrique, maestro rivoluzionario. Ci mancherai. Mancherai a tutti. Anzitutto a tutti quelli che – come te – continuiamo a pensare che “la storia e la filosofia si possono anche, se non soprattutto, scrivere dalla parte dei poveri, degli orfani, delle vedove…”
Come proponi nel prologo dell’ultima edizione della tua “Filosofia della liberazione” (2011), “contro l’ontologia classica del centro, da Hegel fino ad Habermas per limitarci alla parte più lucida, dobbiamo innalzare un contro-discorso, una filosofia della liberazione della periferia, degli oppressi, degli esclusi… Il nostro pensare nasce dall’ombra che la luce dell’essere non è riuscita ad illuminare, dal silenzio ancora senza parole che ci interpella, dal non-essere, dal nulla, dall’opaco, dall’altro, dall’esteriorità, dall’escluso, dal mistero di ciò che non ha senso. E’, certamente, una filosofia barbara che aspira a diventare un progetto di trans o metamodernità”.