In occasione delle celebrazioni per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre 2023, il Coordinamento Italiano a Sostegno delle Donne Afghane (CISDA), Large Movements  Aps e AltrEconomia, insieme alle associazioni afghane Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (RAWA) e Hambastagi (Partito della Solidarietà) inviano all’attenzione delle istituzioni italiane, europee e internazionali la petizione “Stand Up With Afghan Women”.

La petizione è stata lanciata un anno dopo il drammatico ritiro del 15 agosto 2021 delle truppe occidentali dall’Afghanistan seguito all’accordo di Doha tra Stati Uniti e Talebani ed è una prima tappa della campagna di mobilitazione che vede coinvolte sugli stessi obiettivi 92 associazioni italiane ed europee insieme alle due organizzazioni afghane. I quattro obiettivi individuati nella petizione risultano oggi alla luce degli ultimi sviluppi ancora più pregnanti:

Non riconoscimento del governo dei Talebani

Malgrado le rassicurazioni formali da parte dei governi e delle istituzioni internazionali, assistiamo a un riconoscimento strisciante del governo di fatto che si traduce in supporto finanziario, attraverso rapporti bilaterali e contratti economici. Attualmente sono aperte a Kabul ambasciate di ben 15 paesi, tra cui Cina, India, Indonesia, Russia, Pakistan, Qatar, Arabia Saudita, Turchia, eccetera. Gli USA, attraverso la propria agenzia governativa per lo sviluppo USAID, hanno investito 825.9 milioni di dollari in Afghanistan solo nel 2023.

Sotto forma di aiuti umanitari di emergenza, la UE ha stanziato nel novembre 2023 60 milioni di euro per assistenza all’interno del Paese, che si aggiungono ai 94 milioni già stanziati quest’anno. L’ONU ha lanciato un piano che riguarda tutte le Nazioni Unite: richiede 4,62 miliardi di dollari per assistere circa 23,7 milioni di afghani all’interno del Paese nel 2023. Un simile appello per il 2022 è stato poi finanziato solo per il 52%, con 321 milioni di dollari ricevuti a fronte dei 623 milioni richiesti. Si tratta di cifre ingenti benché insufficienti di fronte alla gravità della catastrofe umanitaria, ma la corruzione a tutti i livelli, carattere distintivo dell’epoca di occupazione Nato, si è perpetuata anche nell’era talebana. Alla popolazione arrivano ancora una volta le briciole, mentre la mancata costruzione di infrastrutture essenziali durante i 20 anni di occupazione occidentale vanifica ogni soccorso. Oltre a intascare la gran parte degli aiuti, il governo talebano investe le risorse nel potenziamento del proprio apparato repressivo, ai danni della popolazione che dovrebbe assistere.

Autodeterminazione del popolo afghano

La cancellazione dello stato di diritto, la negazione di ogni forma di partecipazione democratica, la violazione sistematica dei diritti umani, l’apartheid di genere, documentate anche da fonti autorevoli come l’ONU (Special Rapporteur R. Bennet, 9/02/23 e 15/06/23) rendono estremamente rischiosa ogni attività sociale e politica da parte dell’opposizione civile all’interno del Paese. L’ingerenza negli affari interni delle potenze regionali e globali, che sostengono ognuna una qualche fazione fondamentalista all’interno o all’esterno della galassia talebana, allontana la possibilità per le organizzazioni democratiche di giocare un ruolo attraverso la politica, dando rilievo invece agli attentati e alle azioni armate perpetrate dai fondamentalisti sedicenti “resistenza”. Chiediamo che gli Stati che sostengono milizie talebane o altri gruppi terroristici vengano sottoposti a sanzioni.

Riconoscimento politico delle forze afghane progressiste

Le forze progressiste, quali RAWA e HAMBASTAGI, che sostengono i diritti e le donne quali parte attiva della società, devono essere riconosciute come interlocutori politici dall’Unione Europea e dai governi nazionali in Europa. Le organizzazioni non armate continuano a operare in clandestinità e il fatto che vengano sistematicamente ignorate dalle istituzioni internazionali le rende più vulnerabili. Eppure attorno ad esse gravita una rete di attivisti per i diritti umani, composta da organizzazioni prevalentemente femminili, che ancora resistono e operano in tutte le province sviluppando progetti di resistenza civile (scuole segrete, sostegno umanitario, sostegno sanitario ecc.). Chiediamo che vengano sostenute.

Al contrario, i rappresentanti dei governi precedenti corrotti e fondamentalisti, che hanno goduto dei vantaggi dell’occupazione e sono stati evacuati in sicurezza, non devono avere ruoli di rappresentanza della popolazione afghana.

Monitoraggio sul rispetto dei diritti umani

Dando seguito ai rapporti dell’Human Rights Council dell’ONU del 2023 sopra citati e alle indagini documentate di diverse agenzie internazionali, come Amnesty International e HRW, vanno accertate le responsabilità in materia di violazione dei diritti umani e crimini contro l’umanità perché ogni violazione venga portata all’attenzione della Corte Penale Internazionale. Le autorità europee, in cooperazione con le agenzie dell’ONU, devono istituire un organismo di investigazione indipendente a cui partecipino attiviste e attivisti per i diritti umani afghani e internazionali. In particolare, va perseguito con determinazione il reato di apartheid di genere come da più parti invocato. L’espulsione forzosa dei rifugiati afghani dal Pakistan a cui assistiamo in queste settimane e le inammissibili procedure da parte degli Stati occidentali, che impediscono con metodi burocratici l’accesso al diritto d’asilo a milioni di profughi, sono solo l’ultima violazione massiccia ai danni della popolazione afghana ed espongono in modo particolare le donne a ulteriori gravissime violenze.

Hanno firmato la petizione, oltre alle 92 organizzazioni della società civile italiana ed europea, 2 organizzazioni afghane e più di 4.300 cittadini italiani, europei ed extra-europei.

Alcune istituzioni hanno deciso di manifestare direttamente il proprio sostegno alla Campagna e alla Petizione attraverso l’approvazione di mozioni: la Commissione Pari Opportunità del Comune di Imola, i Comuni di L’Aquila, Modena e Fano. Altre istituzioni locali, come ad esempio la Regione Toscana, la provincia di Siena, la città di Cesena, hanno espresso la loro solidarietà in diverse forme.

Dopo la consegna delle firme ai destinatari della petizione, la campagna rimane attiva: un’inversione di tendenza in direzione dell’affermazione dei diritti universali, e delle donne in special modo, esige un impegno congiunto, solidale e duraturo. Per questo continueremo a coinvolgere la società civile, le forze sociali e politiche e a esercitare ogni pressione, richiamando con forza le istituzioni al loro ruolo di garanti dei diritti.

C.I.S.D.A. ETS, LARGE MOVEMENTS APS, ALTRECONOMIA, RAWA, HAMBASTAGI

Sito della Piattaforma per prendere visione del testo integrale e delle organizzazioni firmatarie: https://www.standupwithafghanwomen.eu/

Il 4 dicembre alle ore 18 incontro on line delle associazioni promotrici a questo link https://meet.google.com/hei-gsfi-avd