> RASSEGNANEWS SULLE SOGGETTIV₳ZIONI DEL METICCIATO MERIDIOGLOCAL <
29#11 Giornata delle Nazioni Unite per la solidarietà con il popolo palestinese
Quest’anno non possiamo commemorare questa data internazionale, a causa della situazione in atto in Palestina: i 49 giorni di ininterrotti bombardamenti israeliani hanno portato alla distruzione della Striscia di Gaza e provocato 20.031 morti, tra cui 8.176 bambini (bilancio, non definitivo, dati Euro-Med monitor). In Cisgiordania, la continua aggressione di esercito e coloni israeliani ha ucciso 237 palestinesi, e ne ha feriti più di 2.950. Non possiamo commemorarla perché non c’è solidarietà per i palestinesi, neanche di fronte a dei crimini di guerra, crimini contro l’umanità e un genocidio così efferato. O meglio, la solidarietà c’è stata, ma solo da parte dei popoli. E purtroppo, non sono i popoli a poter porre fine a questo genocidio, ma i governi. E i regimi occidentali sono stati deludenti poiché, mentre Netanyahu bombardava la Striscia, ripetevano, senza alcuna logica e alcun riferimento alla legge internazionale, la frase “Israele ha diritto a difendersi”. Noi sappiamo che una difesa per essere considerata tale deve essere sempre proporzionale all’offesa e mai ledere i civili o attaccare strutture sanitarie, medici, ambulanze. Al contrario, in questi 49 giorni l’entità sionista ha portato avanti una vera e propria guerra agli ospedali di Gaza e ai bambini di Gaza. Ogni 29 novembre, in tutto il mondo, si celebra la Giornata delle Nazioni Unite per la solidarietà con il popolo palestinese, a ricordo della risoluzione 181, emanata il 29 novembre del 1947 dall’Onu, che sancì la spartizione della Palestina storica, ponendo le basi per la creazione dello Stato israeliano e per la Nakba, la tragedia e pulizia etnica della popolazione palestinese ad opera degli squadroni del terrorismo sionista prima, e delle forze militari israeliane dopo. Nel 1977, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite istituì per il 29 novembre la Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese (risoluzione 32/40 B). Nella risoluzione 60/37 del 1° dicembre 2005, l’Assemblea generale chiese al Comitato per l’Esercizio degli inalienabili diritti del popolo palestinese e alla Divisione per i diritti palestinesi, in quanto parti per l’osservanza della Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese, stabilita il 29 novembre, di continuare a organizzare celebrazioni ed eventi annuali sui diritti palestinesi, in collaborazione con la “Permanent Observer Mission of Palestine” dell’Onu. Se la comunità internazionale vuole dare senso a questa giornata ed essere coerente con le giornate a tema che istituisce, chiediamo un maggiore impegno nel tutelare i diritti del popolo palestinese, condannando con parole, ma soprattutto con fatti le atrocità sioniste attraverso un processo che porti i crimini israeliani davanti al Tribunale dell’Aja.
comunicato Associazione dei palestinesi in italia
Fuori le Università dalla guerra! La petizione contro la Fondazione Med-Or e le mobilitazioni studentesche
in Italia si moltiplicano le azioni degli studenti e delle studentesse nelle università italiane per dire “Stop alla guerra su Gaza”, per rafforzare il boicottaggio contro Israele in solidarietà col popolo palestinese e per chiedere alle governance dei vari Atenei di lanciare un segnale chiaro per il “cessate il fuoco”. Il mondo accademico, a parte la vitalità studentesca, sembra appiattito complessivamente sulla posizione espressa dalla CRUI, che più che rappresentare un vero segnale di pace si sta rivelando come una posizione di neutrale ignavia. Intanto, dopo l’Orientale a Napoli e la Sapienza nella Capitale, occupazioni ed azioni si sono registrate anche a Torino, Pisa, Firenze, Bologna ed altre città universitarie, come abbiamo già riportato sul sito dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. Le richieste degli studenti e delle studentesse vanno da un appello per il Cessate il fuoco alla richiesta di una posizione più netta che si dissoci dal genocidio in Palestina. Oltre ai collettivi studenteschi, in alcuni Atenei si sono uniti alla protesta anche le realtà locali di GEP (Giovani e Palestina) e le occupazioni hanno dato vita ad un dibattito sulla guerra che dovrebbe trovare spazio in modo naturale e condiviso in tutte le realtà accademiche: nell”occupazione di Scienze Politiche a Bologna si sono ad esempio organizzate assemblee di approfondimento di alcuni temi legati al conflitto israelo-palestinese, anche con l’intervento di BDS – Boicottaggio, Disinvestimenti e Sanzioni contro Israele.
estratto dal documento su osservatorionomilscuola
Il presidente della Cop28 inadeguato al ruolo e in pieno conflitto d’interessi
Secondo alcuni documenti ottenuti dal Centre for Climate Reporting, Sultan Al Jaber, il presidente designato della Conferenza annuale delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Cop28), nonché presidente dell’azienda di stato del petrolio e del gas degli Emirati Arabi Uniti, ha ricevuto indicazioni su come privilegiare gli interessi dell’azienda che conduce, in vista delle decine di incontri bilaterali che si svolgeranno nel corso del summit. “Sultan Al Jaber ritiene che la sua conoscenza diretta dell’industria dei combustibili fossili lo renda idoneo a presiedere una importante conferenza sul clima. A noi sembra piuttosto nel ruolo della volpe che tiene d’occhio il pollaio. La nomina alla presidenza della Cop28 del capo di una delle più grandi aziende mondiali di combustibili fossili è un enorme conflitto d’interessi che pregiudicherà i risultati della conferenza”, ha dichiarato Ann Harrison, consulente di Amnesty International sul clima. “Abbiamo ripetutamente detto che Sultan Al Jaber non sarebbe stato un onesto mediatore in una conferenza che dovrebbe decidere di uscire rapidamente dal fossile per evitare ulteriori disastri climatici e avviare un’equa transizione verso le energie rinnovabili”, ha aggiunto Harrison. “La temperatura globale sta salendo a un ritmo senza precedenti, i diritti di miliardi di persone sono a rischio. Eppure proprio l’azienda di stato emiratina ha appena reso noti i suoi ambiziosi progetti di espansione, del tutto incompatibili con la protezione del clima e dei diritti umani a un ambiente pulito, salubre e sostenibile”, ha sottolineato Harrison. “Il fatto che Sultan Al Jaber si sia fatto dare consigli su come privilegiare dalla lobby del fossile significa che la Cop28 sarà dominata proprio da quegli interessi che stanno mettendo a rischio l’umanità”, ha concluso Harrison.
dalla nota di Amnesty International
“Manicomio all’italiana”- VI Congresso dell’Associazione radicale ‘Diritti alla follia’: discriminazione e segregazione dei fragili, degli anziani e dei migranti. Tre giorni contro l’istituzionalizzazione degli “inutili”»
Roma, 1\2\3 dicembre, Palazzo Baldassini (Via delle Coppelle 35)
Segregazione, emarginazione, discriminazione e istituzionalizzazione “di coloro che la nostra società considera «inutili»”, questi i temi al centro del dibattito del VI Congresso dell’Associazione ‘Diritti alla follia’. «Sono tantissime ormai le sigle e le forme dell’istituzionalizzazione di persone con disagio, di migranti, di anziani». Inoltre, secondo l’associazione radicale: «A ognuna di queste sigle – dichiara “Diritti alla Follia” – corrispondono luoghi che significano, in sostanza, “internamento, isolamento dal mondo, diritti negati e pochissima trasparenza”. I controlli da parte delle Istituzioni preposte sono scarsissimi, si tratta di un mondo parallelo e quasi nessuno si accorge della loro esistenza (a meno che non ci finisca dentro un proprio familiare). L’accesso a questi luoghi è difficilissimo senza un’autorizzazione. “Li chiamano ‘ospiti’ ma una volta che si entra in questo circuito è difficilissimo uscirne, peggio che in un labirinto – si legge in una nota –. Ci finiscono i matti, gli strani, i disagiati, i senza dimora, i depressi, gli emarginati, gli anziani e tutti quei soggetti che si preferisce non avere più tra i piedi. Con una differenza rispetto al passato: i manicomi erano gratis, ora molti di questi luoghi sono a pagamento: è sorto un business enorme sulla pelle degli ‘inutili’». Infine si segnala che in questa assise romana gli organizzatori hanno programmato cinque tavole rotonde, nelle quali saranno sviluppati “i temi di interesse dell’associazione e gli impegni per il futuro, con ospiti anche internazionali”.
per approfondimenti su Redattore Sociale
Garanti delle persone private della libertà: “aumentare il carcere non produce sicurezza”
Perplessità e preoccupazioni suscita il disegno di legge in materia di sicurezza pubblica approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso venerdì 16 novembre. Trattandosi, correttamente, di un disegno di legge presentato all’esame parlamentare in forma ordinaria, e dunque aperta alle correzioni che in quella sede potranno essere proposte dai singoli e dai gruppi anche alla luce delle considerazioni emerse nel dibattito pubblico, i sottoscritti Garanti delle persone private della libertà nominati da Regioni, Province e Comuni italiani rappresentano quanto segue e verrà indirizzato ai parlamentari eletti nei territori di riferimento, ai magistrati, agli avvocati, ai sindacalisti e agli operatori del terzo settore, perché se ne facciano portavoce nelle opportune sedi istituzionali. Riteniamo questa discussione utile perché altrimenti il risultato sarà solo un ulteriore affollamento delle carceri. Si produrrà carcere e non sicurezza.
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Transfemministə ingovernabili, se ci fermiamo noi si ferma il mondo! Non si torna più indietro, la marea non si ferma: “Il 25 novembre è solo l’inizio. Rilanciamo l’appuntamento per il 16 dicembre con una mobilitazione nazionale diffusa in ogni città, per essere nuovamente in strada e in piazza tuttə insieme, verso lo sciopero transfemminista dell’8 marzo”
Sabato 25 novembre è stata una giornata storica e potentissima. Un’infinita marea fucsia si è riversata nelle strade di Roma contro la violenza patriarcale. Le fermate metro strapiene hanno dato vita a mille cortei spontanei, fiumi umani hanno raggiunto la piazza da ogni via, un corteo ha di fatto preceduto la testa a piazza San Giovanni. Tutto questo mentre a Messina – in condizioni meteorologiche più che avverse – a Torino, Padova, e in Milano e in decine di altre città, ci si è di nuovo riversatə in strada con degli enormi cortei selvaggi che, tra le altre, hanno saputo rispondere al desiderio di tantə di esserci in ogni caso, nonostante l’ottuso diniego da parte delle autorità preposte di predisporre mezzi gratuiti o calmierati per poter raggiungere la piazza romana. Centinaia di migliaia di voci – ben oltre il mezzo milione – hanno gridato Non Una Di Meno in tutta Italia. Si sente ancora l’eco. Questa enorme esplosione di forza contro la violenza patriarcale è frutto delle parole di Elena Cecchettin, che ha reso il suo lutto uno strumento di denuncia e di lotta per tuttə. “La violenza è sistemica”, e anni di accumulo di pratiche e di elaborazioni condivise nelle piazze transfemministe ci hanno trovatə prontə a rispondere come un’unica voce. Potente, determinata, chiara. E così – nella settimana dell’ipocrita unità nazionale contro la violenza di genere – emerge che la lotta contro la violenza patriarcale non è un terreno neutro e apolitico: attraversa la sfera pubblica e quella privata e le politiche istituzionali e del governo la alimentano invece che combatterla. La risposta è stata immediata, e ha preannunciato e preparato l’enorme mobilitazione di sabato con la rottura del minuto di silenzio, passata di scuola in scuola per rovesciare l’ipocrisia di un governo che ha sempre combattuto l’introduzione dell’educazione sessuo-affettiva e alle differenze e che risponde con linee guida inadeguate, facoltative, irrisorie. Invece del minuto di silenzio ci siamo riversate nelle strade di moltissime città, con passeggiate arrabbiate e rumorose. La rottura del silenzio è risuonata anche al Circo Massimo con un grido muto che ne ha segnato l’inizio, sincronizzando centinaia di migliaia di corpi nello stesso gesto di rivolta. La marea ha fatto poi risuonare le chiavi di casa per denunciare la violenza domestica, esondando fino alle porte del Colosseo in una corsa decisa, in lotta. Lungo il percorso ci sono state varie azioni, all’Assessorato alle politiche sociali del comune di Roma, al Colosseo, ad una Banca mentre una contestazione massiccia della sede di Provita e Famiglia è stata attaccata dalla Celere e dai carabinieri dell’antisommossa, provocando il ferimento di alcunx manifestanti e nessun ripensamento da parte di chi era nel corteo, determinato a segnalare l’organizzazione antiabortista e omolesbobitransfobica che in questi giorni si è nuovamente distinta per una campagna contro l’educazione alle differenze nelle scuole.
abstract della nota di NonUnadiMeno