Da ottobre è a Palazzo Chigi il governo più a destra che il nostro Paese abbia mai avuto dalla fine della Seconda guerra mondiale. Eppure non si registra ancora la formazione di un arco di forze sociali e politiche che abbia come collante la costruzione, se non di una alternativa, almeno di una seria opposizione.

Il motivo di questa assenza sta nella convivenza al governo per diversi anni di una coalizione che ha visto condividere le stesse linee di politica economica nonché le scelte fondamentali come quella di partecipare alla guerra in Ucraina o le linee direttrici del PNRR.

Ma, oltre all’esperienza della coalizione guidata da Draghi, c’è una lunghissima stagione di governi, di centrodestra come di centrosinistra, che hanno condiviso tutte le scelte fondamentali degli ultimi trent’anni, dai diktat della Ue in materia di bilancio fino alle privatizzazioni, dalle regole che hanno smontato le tutele del mercato del lavoro (dalla legge Biagi al Jobs Act) alle riforme istituzionali che hanno deformato la Costituzione (come la riscrittura del Titolo V o l’inserimento del pareggio di bilancio all’articolo 81), dall’inasprimento del codice penale alla riduzione degli spazi di libertà e di democrazia.

Questa commistione politica ha corrisposto anche ad un patto con le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil, che ha garantito il contenimento dei salari per oltre trent’anni e soprattutto la perdita di ruolo del movimento dei lavoratori nelle scelte più rilevanti per il Paese. Sulle decisioni fondamentali di politica economica, fiscale, di legislazione del lavoro, pensionistica e industriale le tre organizzazioni hanno assunto sempre e comunque un ruolo di totale subalternità, senza mai opporre una seria resistenza ma piuttosto preoccupandosi di far ingoiare ai lavoratori i bocconi amari.

Tuttavia sarebbe sbagliato credere che il governo Meloni sia la semplice prosecuzione di tutto quello che abbiamo visto in questi anni. Complici il contesto internazionale, che spinge verso l’escalation bellica, e una crisi che produce una competizione economica sempre più feroce, questo governo sta producendo un autentico salto di qualità.

Tre sono le direzioni di marcia intraprese: da un lato c’è una scelta ideologica e di campo da ultras della NATO che porta ad alzare continuamente l’asticella del coinvolgimento del nostro Paese nella guerra in atto; dall’altro, c’è un esplicito accoglimento di tutte le richieste del mondo dell’impresa privata in termini di flessibilità e ricattabilità del lavoro, privatizzazione dei servizi (con una accelerazione pesantissima sulla sanità) e contenimento di redditi e pensioni, puntando in quest’ultimo caso ad allargare la fascia dell’esercito dei precari e dei senza reddito per poter contare su milioni di lavoratori sottopagati. E l’attacco ai diritti dei lavoratori migranti, esplicitato con il Decreto Cutro, rientra nello stesso progetto. Infine, c’è una torsione autoritaria nei disegni istituzionali e nella gestione dei conflitti che rivela l’attitudine reazionaria delle forze insediatesi a Palazzo Chigi.

Di fronte ad un governo con queste caratteristiche, la formazione di un “campo” di forze che promuova una larga opposizione sociale non è rinviabile e la manifestazione in programma a Roma per il prossimo 24 giugno va in questa direzione.

Pesa sulla situazione che stiamo vivendo quel processo di “passivizzazione” della società che è un altro dei fattori che sta spingendo il governo Meloni ad accelerare. Per modificare la situazione occorre “mettersi in moto” piuttosto che agognare un nuovo “autunno caldo” e cogliere quei segnali positivi che arrivano dal basso: dalle iniziative studentesche sul tema delle abitazioni al buon esito in diversi settori dello sciopero generale del 26 maggio, dai comitati che in alcune regioni sono sorti in difesa della sanità pubblica ai movimenti popolari che si battono in difesa del territorio fino al nuovo protagonismo migrante che abbiamo visto in piazza a Roma lo scorso 28 aprile. Un arco di movimenti e realtà che non ha ancora trovato un punto di coagulo comune e un piano di azione condiviso ma che rappresenta la base di quella opposizione che ancora non c’è.

Il 24 giugno a Roma le cose possono cambiare.