1. Stava per passare sotto silenzio il disegno di legge sull’autonomia differenziata che bypassa, a nostro avviso, l’effettivo iter procedurale che il nostro ordinamento richiederebbe per le modifiche delle norme giuridiche di rango fondamentale, quali sono quelle costituzionali. L’operazione è stata orchestrata sotto la regia dell’abile ministro leghista Roberto Calderoli, ben noto come somministratore di polpette avvelenate, famoso per le sue “porcate  istituzionali”, come il famigerato varo della legge elettorale da lui stesso con orgoglio denominata porcellum.  Adesso lo vediamo brigare trasversalmente, da protagonista principale, con le pseudo “opposizioni dialoganti” nordiste (fra i quali spiccano politici e amministratori dem come  Fassino, Bonaccini, Sala), le quali da tempo hanno dato corpo ad un non-dichiarato “partito unico del nord”, per colpire a morte l’unità del paese e seppellire definitivamente la questione meridionale.

D’altra parte, come non ricordare la stura data all’autonomia differenziata, con la riforma del titolo quinto della Costituzione nel 2001 voluta dal governo di centrosinistra a guida Amato?

Per fortuna “c’è ancora un giudice a Berlino” o, nel nostro caso specifico, un qualche funzionario pubblico a Roma, capace di mettere in dubbio la bontà delle cd. “innovazioni costituzionali” e demistificarne i veri obiettivi, cercando così di ricondurre nel solco della legittimità costituzionale non solo la forma delle procedure previste, ma gli stessi effetti giuridici sostanziali che ricadrebbero sull’assetto istituzionale del dettato costituente repubblicano. Non a caso nella relazione del Servizio del Bilancio del Senato viene citato il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione italiana, il quale prevede “forme e condizioni particolari di autonomia” per le regioni a statuto ordinario.

Nella fattispecie, si fa osservare: «Il disegno di legge A.S. 615, presentato il 23 marzo dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie, definisce i princìpi generali per l’attuazione di questa autonomia differenziata. Ma sarà possibile  – si chiede il Servizio del Senato –  realizzarla senza aggravio per le casse dello Stato e continuando ad assicurare i Livelli Essenziali delle Prestazioni (#LEP), che costituiscono il nucleo invalicabile di quei #diritti civili e sociali, previsti dalla Costituzione, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, in modo da erogare a tutti i cittadini i servizi fondamentali, dalla #sanità all’#istruzione?»

Insomma il disegno di legge è stato giustamente passato al setaccio e dall’esame sono emerse importanti criticità che, qualora passassero, potrebbero mettere seriamente in crisi il patto costitutivo dell’unità nazionale, di cui alla carta fondamentale. Infatti come viene rilevato dall’approfondimento della spesa a carico degli enti meridionali: «Nel caso, ad esempio, del trasferimento alle regioni di un consistente numero di funzioni oggi svolte dallo Stato (e delle relative risorse umane, strumentali e finanziarie), ci sarebbe una forte crescita del bilancio regionale ed un ridimensionamento di quello statale, col rischio di non riuscire a conservare i livelli essenziali delle prestazioni presso le regioni non differenziate».  Cosicché quel che inevitabilmente si determinerebbe è il seguente quadro: «Le regioni più povere, oppure quelle con bassi livelli di tributi erariali maturati nel proprio territorio, potrebbero avere maggiori difficoltà a finanziare, e dunque ad acquisire, le funzioni aggiuntive. E il trasferimento delle nuove funzioni amministrative a comuni, province e città metropolitane da parte delle regioni differenziate potrebbe – rileva la relazione dell’organo strutturale di Palazzo Madama – far venir meno il conseguimento di economie di scala, dovuto alla presenza dei costi fissi indivisibili legati all’erogazione dei servizi la cui incidenza aumenta al diminuire della popolazione».

 

2.Nel corso del seminario “Autonomia differenziata. Italia allo sfascio”, tenutosi lo scorso 7 maggio a Cinisi ed  organizzato dalla componente sindacale d’opposizione della CGIL (che all’ultimo congresso della confederazione ha presentato – in alternativa al corpaccione della maggioranza – la mozione intitolata Le radici del sindacato), tutti gli intervenuti avevano anticipato le criticità rassegnate dalla Sezione Bilancio del Senato di cui sopra.

Al  predetto seminario hanno partecipato: giuristi, giornalisti, attivisti sindacali di base, dirigenti confederali e di  categorie. Fra tutti vogliamo citare il costituzionalista della Sapienza di Roma, Gaetano Azzariti, che  è riuscito a raccogliere i fili del discorso comune emerso e saputo dipanare – con chiarezza ed estremo rigore giuridico – l’intreccio che sottende la trama secessionista del disegno di legge Calderoli, al quale non è mancato – vedi gli assordanti silenzi e i timidi distingui e precisazioni – il sostegno trasversale del ceto politico che amministra le regioni settentrionali raccolto attorno a quel “partito unico dl nord” di cui abbiamo fatto cenno prima. Azzariti nella sua analisi, dopo aver argomentato in punta di diritto sui vari tentativi posti in essere nella cd. “seconda repubblica”, volti alla  devastazione del patto costituzionale – a cominciare dalla “devolution-Amato” a finire al colpo di mano che in atto si vorrebbe assestare alla Costituzione-, ha messo a fuoco con grande nitidezza lo scenario che si verrebbe a determinare con la famigerata autonomia differenziata caldeggiata dall’informale “partito unico del nord”, portando a riprova anche alcuni fatti specifici che mostrano l’esistenza di quel collante identitario che unifica il ceto politico nordista.

Non a caso, nel corso del seminario, sono stati evidenziati una serie di casi singolari che hanno registrato logiche egoistiche propugnate anche da amministratori di sinistra. In particolare è stato ripreso, come un piccolo case study,  la vicenda della pubblicazione di un bando per la costruzione di asili nido in aree svantaggiate (presumibilmente finanziati con fondi comunitari che in passato sarebbero stati destinati prioritariamente alle regioni del sud), la cui partecipazione era aperta sul piano della concorrenza alle amministrazioni locali. Orbene, nello specifico, anche il Comune di Milano del sindaco Giuseppe Sala (esponente illuminato della sinistra)  ha ritenuto legittimamente di concorrervi, riuscendo ad aggiudicarsi il finanziamento del progetto.

Ora, indipendentemente dalle valutazioni del deliberato sulle condizioni richieste dal bando (il disagio sociale o lo svantaggio economico quale criterio selettivo prioritario), v’è da chiedersi: com’è possibile che la “città morale” del paese, la macchina trainante dell’economia nazionale, non riesca a trovare fra le pieghe del proprio bilancio le risorse necessarie per risolvere “l’emergenza delle lavoratrici-madri” –  nell’ipotesi fosse stata questa la motivazione del disagio – che hanno bisogno di un asilo nido per i propri figli? Sarebbe stato certamente un atto di solidarietà astenersi dal concorrere avverso chi lo svantaggio economico e il disaggio sociale lo vive strutturalmente. E, invece no, senza guardare niente e nessuno si tira dritto nell’esclusivo interesse del proprio elettorato, entrando in competizione con realtà territoriali dalle risorse assai scarse, messe in ginocchio dalle ultradecennali politiche economiche neoliberiste improntate allo smantellamento dello stato sociale da nord a sud, allargando in lungo e in largo le diseguaglianze generate dallo sviluppo capitalistico del sistema dell’impresa, mortificando lo spirito solidaristico contratto dalla nostra società all’indomani del secondo conflitto bellico.

Insomma la logica aziendalista dei servizi pubblici, il nuovo mantra sostenuto dai vari governi che si sono susseguiti con matrice apparentemente alternativi (salvo poi ricompattarsi nelle grandi ammucchiate tecniciste che peroravano le stesse politiche di deregulation del Pubblico in favore del Privato predatorio – vedi l’appropriazione delle grandi reti infrastrutturali in nome della liberalizzazione del mercato), ha messo d’accordo tutti, con la conseguenza che l’economia concorrenziale ha approfondito il baratro delle diseguaglianze e svuotato i principi costituzionali della  solidarietà politica, economica e sociale.

 

3. Di quanto sopra precede il “partito unico del nord” n’è stato l’artefice principale, spinto anche della governance ordoliberista europea, è riuscito ad alterare la carta fondamentale del nostro ordinamento giuridico, sia sul piano formale (introduzione del pareggio di bilancio su diktat-UE e devolution-Amato) sia sul piano materiale: basti considerare la marginalità in cui è stato messo il parlamento, lasciando spazio ai sostenitori della democrazia-governate in luogo di una ormai obsoleta democrazia-parlamentare. È stato sufficiente vincere il referendum del 1993, passato alla storia come espressione dell’affermazione della volontà generale in senso maggioritario, in uno con le inchieste di “mani pulite” dell’anno precedente, per modificare acriticamente l’intero assetto dell’arco istituzionale venuto fuori dalla repubblica antifascista.

La partita, però, non è ancora chiusa e le forme di resistenza contro la deriva secessionista si moltiplicano giorno per giorno nel paese. Domani, infatti, a Roma è stata promossa un’assemblea nazionale (a partire dalle 9.30, al centro Congressi Frentani) dal titolo “Insieme per la Costituzione” , in cui si discuteranno iniziative comuni contro i tentativi di stravolgimento della Costituzione materiale e formale e del ruolo del Parlamento. In un editoriale sulle pagine di Sbilanciamo.info (che sarà presente all’assemblea di domani mattina, promossa da associazioni, reti ed organizzazioni sindacali) si mostra l’assoluta contrarietà ai tentativi di divisione del Paese: “L’introduzione dell’autonomia differenziata – scrive Giulio Marcon – è un progetto che mette a repentaglio la coesione sociale e l’universalità dei diritti, soprattutto negli ambiti dell’istruzione e della salute”.

In altri termini, siamo soltanto agli inizi di questa battaglia impegnativa, su cui sarebbe bene far convergere tutte le iniziative conflittuali che stanno montando nel paese, giacché non è indifferente il peso che avranno le critiche  sull’autonomia differenziata in merito alle vertenze sociali in atto o che si potranno produrranno nei prossimi giorni, senza dimenticare di imbastire una resistenza attiva avverso la deriva presidenzialistica che si sta prospettando e che rischia di far tornare la democrazia – sia pur formale – indietro nella prima metà dello scorso secolo: l’intersezionalità sociale è chiamata – in nome del bene comune -ad una nuova resistenzialità di massa  per impedire che  i diritti ambientali, sociali ed economici, tutelati dalla Costituzione vigente, possano essere conculcati da una compagine esecutiva dagli echi fascistizzanti.