Il Green Pass e, in generale, l’accesso a determinati servizi o ambienti a partire da un dispositivo di riconoscimento in formato digitale, sono manifestazioni della modernizzazione in atto in buona parte del nostro pianeta. La gestione digitale delle questioni umane apre la via all’utilizzo di intelligenze artificiali che possono lavorare 24h e 356 giorno l’anno elaborando i nostri dati. Addio lungaggini burocratiche, no?

La rivoluzione tecnologica sta cambiando i connotati della nostra società

C’è chi la applaude come un salto di ottava nell’evoluzione dell’umanità, chi la vede come un fatto inevitabile in se’, indipendentemente dall’apprezzamento o dal rifiuto personale, chi invece si preoccupa della direzione di questo fenomeno. I maggiori sostenitori cercano di convincerci che l’avanzamento tecnologico è un fatto, per così dire, naturale, cioè la nostra evoluzione passa necessariamente da lì ed esattamente nel modo in cui viene gestita nell’attualità. Un po’ come la favola delle leggi naturali di mercato che, secondo i grandi sostenitori del neoliberismo, avrebbero bilanciato naturalmente l’economia e la ricchezza.

Tra gli stessi tecnici di alto livello di Google ci sono diverse visioni. Dalla fede cieca di Ray Kurzweil che, nel suo libro La singolarità è vicina, vede intelligenze artificiali migliori dell’uomo gestire il mondo fatto di individui fisicamente chippati (potenziati dice lui) e permanentemente online, si passa alle recenti dichiarazioni di Geoffrey  Hinton sul New York Times in cui, dopo aver lasciato il suo posto in Google, mette seriamente in guardia sulla nostra capacità di prevedere e gestire gli sviluppi delle IA.

Senza dubbio l’innovazione tecnologica e lo sviluppo di tecnologie per il miglioramento della qualità della vita dell’essere umano e per la sostenibilità delle sue attività su questo pianeta non sono in discussione. In discussione c’è l’intenzione che muove il processo accelerato di questo fenomeno e gli interessi che ne approfittano. E qui arriviamo alle reali intenzioni che hanno mosso il GP e che muovono la IDE.

Come è stato presentato il Green Pass e quello che in realtà ha realizzato

Il Green Pass è stato descritto come una formula semplice ed efficace per diminuire il tempo di controllo alle dogane europee, per chi volesse viaggiare nei periodi in cui le frontiere dei paesi della UE subivano gli effetti dei lockdown o delle misure restrittive imposte all’interno dei diversi stati a causa della diffusione della Sars Cov2.

Ogni paese applicava diverse misure in differenti momenti e, dunque, serviva uno strumento comune e centralizzato che permettesse di facilitare le operazioni di passaggio da uno stato all’altro.

Il Regolamento europeo che ne descriveva l’utilizzo si era anche premunito di un’affermazione (casualmente non tradotta nella versione in italiano e aggiunta in seguito con un documento separato) che ricordava di non discriminare chi avesse deciso semplicemente di non vaccinarsi.

Comodo no? Uno strumento di raccolta dati a livello europeo che facilitava gli spostamenti da uno stato all’altro.

Nonostante fosse stato definito in base a criteri di ‘non infettività’ (vaccino, guarigione o tampone negativo), ridicoli col senno di poi, per molti – e vista la campagna mediatica pressante in Italia – , si è trasformato subito in un Passaporto vaccinale. Questa è stata la prima deformazione.

Come è stato usato poi nel nostro paese, è noto ai più: ha sdoganato l’esclusione sociale per chi non si sottoponeva all’inoculo, che è arrivata ad escludere i giovani dalle scuole e dai mezzi di trasporto e gli adulti dal proprio lavoro. A vari livelli anche in Europa il Certificato Covid 19 ha escluso le persone dalla vita pubblica e le istituzioni europee non si sono sognate di sollevare alcun dubbio. Hanno solo raccolto i dati e centralizzato le informazioni.

A cosa ci ha abituato il Green Pass?

A mostrare un documento o un codice digitale che ci rappresentava in un aspetto sensibile (la nostra identità sanitaria) per avere il permesso di fare le cose di tutti i giorni, che si sono trasformate in un privilegio.

A considerare nemico, o quantomeno pericoloso, o a sentirsi giustificati a deridere, discriminare o perseguitare chi si rifiutasse di farlo.

Sono stati spesi moltissimi soldi per sviluppare la piattaforma europea per la centralizzazione dei dati sanitari, vogliamo buttarli via ora che sembra finita la paura della Covid 19?  No!

Guarda caso oggi ci viene proposto un Portafoglio digitale Europeo, sfruttando quell’esperienza di digitalizzazione dei documenti e centralizzazione dei dati. Comodo, no?

L’Identità Digitale Europea

La Identità Digitale europea ci viene presentata solo descrivendo i suoi vantaggi e la sua sicurezza. I nostri dati (generalità, dati sanitari, dati finanziari ecc) saranno gestiti solo da noi in piena sicurezza, cioè saranno concentrati in una unica app, dalla quale noi potremo dimostrare di averli con un click, se richiesti.

Ed è chiaramente specificato che attivarla è un diritto di ciascun cittadino europeo che voglia avere facilità di accesso ai suoi dati e ai diversi servizi  pubblici, come richiedere un certificato di nascita o certificati medici, segnalare un cambio di indirizzo, aprire un conto in banca, presentare la dichiarazione dei redditi, conservare una ricetta medica, dimostrare la propria età, noleggiare un’automobile usando una patente di guida digitale, fare il check-in in albergo.

Un diritto. Il diritto di fare cose che finora abbiamo fatto anche senza. Qualcuno potrebbe anche decidere di non approfittare di questo nuovo diritto di digitalizzare e centralizzare i suoi documenti e fare a meno della fantastica IDE, in tal caso cosa succederebbe?

Allora.

Quando un oste vende vino acido, che facciamo, torniamo a bere da lui?

L’oste qui è lo stesso ed è molto probabile che anche stavolta il vino sia acido.

Prima di accettare questa modernizzazione inevitabile, permettiamoci il beneficio del dubbio e indaghiamo più a fondo.