C’è stato un momento all’inizio dell’invasione in Ucraina, quando la popolazione con spontaneità ha fatto ricorso a numerose azioni di resistenza civile nonviolenta poco raccontate – parlando con i soldati russi, modificando o rimuovendo le indicazioni stradali per confondere i militari, manifestando di fronte ai municipi occupati… – nel quale a molti, richiamandosi alle tradizioni della nonviolenza e in particolare al pensiero di Tolstoj, è sembrato possibile che le forme di resistenza nonviolenta si estendessero e riuscissero a innescare un processo di pace. In Russia sono stati soprattutto gruppi di donne a proporre sorprendenti e creative azioni di resistenza nonviolenta. Quella resistenza in realtà avrebbe dovuto essere preparata da percorsi educativi e sostenuta da azioni di addestramento per evitare che fosse soffocata con la coscrizione obbligatoria, la repressione, gli appelli all’invio di volontari e di armi. Da oltre un anno i testi che Bruna Bianchi, storica e studiosa del pensiero pacifista e femminista, invia a Comune sono un prezioso faro che raccontano quella resistenza, le sue ragioni, le sue debolezze, l’ostinazione di tanti ucraini e russi di rifiutare il dominio della guerra. Non resistere al male con il male (Biblion edizioni) è il libro con il quale Bruna Bianchi analizza l’obiezione di coscienza, il dovere senza eccezioni della non resistenza, le origini della violenza nei rapporti sociali, il pacifismo nel pensiero di Tolstoj, la cui voce nelle proteste in Russia è ancora oggi motivo di arresto. L’introduzione del libro: Rileggere Tolstoj oggi.

«La gente del nostro mondo cristiano e del nostro tempo è simile a un uomo che sia passato accanto all’imbocco della giusta via e abbia proseguito, e che quanto più prosegue, tanto più si convince che non sta andando nella buona direzione. E quanto più dubita che la direzione sia quella giusta, tanto più accelera il passo, consolandosi al pensiero che in qualche luogo dovrà pure arrivare, prima o poi. Ma giunge il momento in cui gli diviene perfettamente chiaro il fatto che la direzione che egli segue non lo condurrà in nessun luogo, all’infuori d’un abisso che egli sta già cominciando a scorgere davanti a sé»1. Così scriveva Tolstoj in Ricredetevi! nel 1904 allo scoppio della guerra russo-giapponese, la guerra considerata un’anticipazione delle guerre totali del XX secolo e che recentemente è stata paragonata all’attuale guerra in Ucraina2.

Ancora oggi, ha scritto Ani Kokobobo, studiosa di letteratura russa, «si può sentire lo scrittore gridare ai suoi connazionali: ricredetevi!»3. Dopo i bombardamenti brutali a Mariupol, gli orrori commessi a Buča, Charchiv, Kiev e in molti altri luoghi, continua Kokobobo, è necessario accostarsi ai grandi autori della letteratura russa con una domanda nella mente: «Come fermare la violenza?».

Rileggere Tolstoj oggi, accogliere il suo appello a ravvedersi, a cambiare modo di vedere e agire nel mondo potrà forse farci arretrare da quell’abisso in cui il viaggiatore della metafora tolstoiana sta per precipitare.

All’inizio dell’invasione, quando la popolazione ucraina spontaneamente fece ricorso ad azioni di resistenza civile nonviolenta – parlando con i soldati russi per convincere o deridere, modificando o rimuovendo le indicazioni stradali per confondere e fermare, manifestando di fronte ai municipi occupati – in molti, richiamandosi alle tradizioni della nonviolenza e in particolare al pensiero di Tolstoj, espressero la fiducia che le forme di resistenza nonviolenta si estendessero riuscissero a innescare un processo di pace. Scriveva il 5 marzo Alexandre Christoyannopoulos, studioso di Tolstoj:

La condanna della violenza di Tolstoj non era molto popolare allora, né tra coloro che volevano rovesciare lo zar, né tra coloro che stavano lottando in altri paesi per la liberazione nazionale. Ma con l’esperienza e le lezioni sulla nonviolenza accumulate da allora e che sono alle nostre spalle, alcune persone in Ucraina, ma anche in Russia e altrove, hanno resistito con la nonviolenza anche di fronte all’invasione di una superpotenza. La loro strategia potrebbe essere presa sul serio e dar vita a tattiche più creative e queste potrebbero rivelarsi quanto meno altrettanto efficaci della resistenza con la violenza4.

Una tale fiducia all’inizio del conflitto era tutt’altro che infondata. Infatti, alla fine di settembre 2015 un’inchiesta condotta a livello nazionale dall’Istituto Internazionale di Sociologia di Kiev (KIIS)5 aveva rivelato che più di un terzo delle persone intervistate (nel complesso mille, in diverse parti dell’Ucraina) considerava la resistenza civile nonviolenta una strategia più efficace in caso di invasione e occupazione del paese e il 76 per cento era pronto a partecipare ad almeno una azione nonviolenta su larga scala6. Tradurre in azione questo orientamento della popolazione avrebbe richiesto da parte del governo ucraino e dei suoi alleati occidentali un investimento in preparazione, educazione e addestramento; esso, al contrario, è stato soffocato con la coscrizione obbligatoria, la repressione, gli appelli all’invio di volontari e di armi. In un mondo dominato dall’industria, dalla tecnologia e dalla ideologia militare, ovvero dal culto della forza, il primo nemico da distruggere è il rifiuto di prendere le armi. Eppure, la renitenza e la diserzione, la volontà di resistere con la nonviolenza e l’impegno per creare le condizioni e le pratiche su cui costruire un’altra difesa, civile e non armata, non sono mai venuti completamente meno7. Migliaia di giovani uomini sono fuggiti dal paese, almeno 6.000 sono stati fermati alle frontiere8. Dall’estero l’obiettore Ilya Ovcharenko, rivolgendo un appello agli uomini ucraini, li ha invitati a leggere Tolstoj9.

La voce di Tolstoj nelle proteste in Russia

In Russia il messaggio di Tolstoj è più che mai vivo nelle proteste che si sono succedute dal 24 febbraio. Il 22 marzo, il noto oppositore del regime putiniano Aleksej Naval’nyj – che in molte occasioni ha esortato la popolazione a manifestare apertamente il proprio dissenso – alla conclusione del processo che lo ha condannato a nove anni di reclusione in un carcere di massima sicurezza, ha dichiarato:

«Agite con decisione, come Lev Tolstoj, uno dei nostri grandi scrittori, che ho citato alla fine del mio discorso: “La guerra è il prodotto del dispotismo. Chi vuole combattere la guerra deve solo combattere il dispotismo”»10.

Lo scrittore, infatti, attraverso la condanna del militarismo e della guerra, aveva condannato senza appello ogni forma di dispotismo, come nello scritto Non uccidere del 1900, a cui forse alludeva Naval’nyj:

«Le disgrazie delle nazioni sono causate non da particolari persone, ma da quel particolare sistema sociale in cui le persone sono legate in modo tale le une alle altre da trovarsi in balìa di pochi uomini, o più spesso, di uno solo: un uomo così depravato dalla sua condizione innaturale di arbitro del destino e delle vite di milioni di persone che si trova sempre in una condizione malsana, e soffre sempre, più o meno, di una mania di grandezza»11.

Nelle manifestazioni collettive e individuali l’opposizione al dispotismo e alla guerra si è espressa talvolta con le parole di Tolstoj. Lo rivelano i resoconti quotidiani a cura di OVD-info, «un progetto mediatico indipendente per i diritti umani» nato nel 2011 con lo scopo di monitorare i casi di persecuzione dell’esercizio del diritto alla libertà di riunione e di altri diritti politici.12

È il caso di un uomo arrestato il 24 marzo a Mosca nei pressi della Cattedrale di Cristo Salvatore, la più grande delle cattedrali ortodosse, mentre esponeva un cartello sul quale aveva trascritto una frase tratta dall’opera Patriottismo e governo: «Il patriottismo è la rinuncia alla dignità umana, alla ragione e alla coscienza, è una sottomissione da schiavi a coloro che hanno il potere». A Pskov un uomo è stato arrestato il 21 giugno per un poster con una lunga citazione di Tolstoj tratta dallo scritto, Ricredetevi!:

E centinaia, migliaia di uomini in uniforme e con diversi strumenti di morte – la carne da cannone – storditi dalle preghiere, i sermoni, gli appelli, le processioni, le immagini, i giornali, con l’angoscia nel cuore, in un coraggio apparente, lasciano parenti, mogli, figli e vanno là dove, arrischiando la loro vita, commettono l’atto più terribile: la strage di uomini che non conoscono e che non hanno fatto loro alcun male13.

Citare Tolstoj, tenere tra le mani nei luoghi centrali delle città una copia di Guerra e pace, sono stati motivi di arresto. Che lo scrittore russo sia tuttora considerato una minaccia per il regime, lo conferma un verbale della polizia moscovita del 2 aprile:

Lev Nikolaević Tolstoj, secondo la verità storica era considerato lo «specchio della rivoluzione». È noto che nei suoi scritti ha criticato aspramente il regime del suo tempo, in particolare per l’uso della violenza nelle rivolte sociali. Di conseguenza le azioni [dell’arrestato] dovrebbero essere interpretate come un appello a rovesciare l’attuale governo e a seguire le idee di Tolstoj.

La forza del messaggio tolstoiano che ancora trapela dalle testimonianze contro la guerra nonostante la censura e la repressione, il coraggio di chi si oppone alla brutalità del conflitto con le parole dello scrittore mi hanno indotta a ritornare sugli studi pubblicati a partire dal 2004 sul pensiero di Tolstoj e che ripropongo in questo volume. Nel rivederli e, per quanto mi è stato possibile, aggiornarli, ho voluto mettere in rilievo il tema della risonanza degli scritti di Tolstoj a livello internazionale (tra gli obiettori di coscienza in Russia e in Europa, nel movimento riformatore americano e in quello pacifista di tutti i paesi coinvolti nella Grande guerra), una influenza che si estese al di là delle ristrette cerchie dei discepoli e dei dissidenti religiosi e che è ancora in gran parte da ricostruire.

I saggi raccolti nel volume

Il volume si apre con il saggio Tolstoj e l’obiezione di coscienza. Dall’anno della cosiddetta conversione, il 1878, all’anno della morte, il 1910, lo scrittore russo dedicò al militarismo e alla guerra le pagine di condanna più aspre mai scritte e non c’è opera di quegli anni che non affronti i temi dell’obiezione e dell’inconciliabilità tra il cristianesimo e la guerra. Questi scritti furono determinanti nella decisione di singoli soldati e ufficiali di rifiutare o di abbandonare il servizio militare e nel rafforzare le tendenze pacifiste di alcune comunità di dissidenti. Allo scopo di mettere in rilievo l’originalità e la radicalità dell’analisi tolstoiana sul militarismo, la prima parte del capitolo ricostruisce il dibattito che si sviluppò nel mondo pacifista e socialista tra la fine della guerra franco-prussiana agli anni Novanta, quando la coscrizione obbligatoria si estese alla maggior parte dei paesi europei. La seconda parte si sofferma sull’influenza dello scrittore in Russia e in Europa e mette a fuoco la sua riflessione sulla natura dello stato e sull’obbedienza come fondamento del potere.

La convinzione che sia possibile trasferire ad altri la responsabilità delle proprie azioni e che consente di esercitare la violenza senza sentirsene colpevoli è al centro di un breve scritto del 1891, riportato nella sezione Documenti dal titolo Nikolaj Palkin, un dialogo con un vecchio soldato che nel suo lungo servizio aveva punito e torturato a morte molti soldati per aver infranto la disciplina militare.

Influenzato da Étienne de la Boétie e dal suo trattato sulla Servitù volontaria (1548), Tolstoj è considerato uno dei primi teorici del totalitarismo. L’idea che persone assolutamente normali, prive di malvagità e di sentimenti ostili, possano diventare agenti di un atroce processo distruttivo, attenendosi semplicemente agli ordini o ai compiti loro affidati, sarà sviluppata solo dopo la Seconda guerra mondiale con le opere di Hannah Arendt (La banalità del male), Stanley Milgram (Obedience to Authority) e Zigmund Baumann (Modernità e Olocausto).

Il secondo capitolo sul dovere della non resistenza prende avvio da una lettera che Tolstoj inviò nel gennaio 1896 al giurista americano Ernest Howard Crosby, suo ardente seguace. La lettera, un breve trattato sulla non resistenza, apparsa il 5 aprile 1896 sul «New York Tribune», fece conoscere il pensiero dello scrittore ad un pubblico più vasto e segnò una nuova fase dell’impegno riformatore e antimilitarista di Crosby.

Nello scritto, riportato nella sezione Documenti, ricorrono tutti i temi più importanti della riflessione religiosa tolstoiana: il posto dell’uomo nel mondo, l’inconoscibilità degli esiti dell’agire umano, le radici della violenza, la necessità di sottomettersi alla legge dell’amore, la legge suprema dell’esistenza che non ammette eccezioni e pertanto esclude il diritto alla difesa con la violenza, sia personale che nazionale.

Alla riflessione sulle origini della violenza nei rapporti sociali, alla frattura tra lavoro manuale e lavoro intellettuale è dedicato il capitolo Lavoro e proprietà della terra, corredato da una lunga lettera a Romain Rolland sull’ingiusta divisione dell’umanità tra chi produce i beni necessari alla vita e chi li consuma. Il capitolo dedica ampio spazio alla concezione spirituale del lavoro nelle opere dello scrittore e alla critica che egli muove al pensiero politico ed economico contemporaneo, in particolare sul tema della divisione del lavoro, la forma più crudele di schiavitù. Rispetto all’interpretazione marxista e socialista, l’interpretazione di Tolstoj dello sfruttamento dei lavoratori, vicina a quella di John Ruskin, è ben più radicale. Nei rapporti di produzione capitalistici il lavoratore non è espropriato solo del valore del suo lavoro, dell’atto creativo e dell’uso del suo prodotto, ma soprattutto del giudizio morale sugli oggetti del proprio lavoro, costretto a produrre beni inutili e dannosi.

Negli scritti su lavoro e proprietà Tolstoj fa costantemente riferimento all’economista statunitense Henry George con il quale condivideva la convinzione che la terra, condizione indispensabile alla vita umana, non dovesse essere proprietà di alcuno e alla sua proposta di abolizione della proprietà fondiaria attraverso un provvedimento di nazionalizzazione e una riforma tributaria che, scoraggiando il possesso della terra, la rendesse disponibile per il lavoro della sussistenza. Benché una tale soluzione, implicando l’intervento dello stato, dal punto di vista teorico gli apparisse come una contraddizione, una “debolezza”, negli ultimi anni della vita, l’orrore per l’industrializzazione che avanzava in Russia, le preoccupazioni sollevate da una riforma agraria che minacciava di distruggere definitivamente l’antica struttura comunitaria nelle campagne, spinsero lo scrittore a sottoporre il progetto di George ai rappresentanti della Duma, a inviare loro le sue opere, a scrivere al ministro Stolypin e allo zar. Da questi scritti emerge un’immagine dell’“ultimo Tolstoj” ben diversa da quella dell’uomo rigoroso all’eccesso, colui che ammetteva solo soluzioni «chiare, complete, assolute».

Il lavoro della sussistenza, il “lavoro del pane”, fonte della vita morale e vera antitesi della guerra, avvicinò Jane Addams a Tolstoj. A differenza di Ernest Crosby, la fondatrice del social settlemenet più importante degli Stati Uniti, più incline al pragmatismo, non divenne mai una “discepola” dello scrittore, ma ne fu profondamente influenzata, ne diffuse il pensiero nelle sue conferenze e nella sua attività riformatrice e pacifista trasse costantemente ispirazione dal suo “genio”.

Il capitolo Pane e pace. Jane Addams lettrice di Tolstoj ripercorre l’analisi femminista di Jane Addams su giustizia economica, sicurezza alimentare e pace e pone in rilievo i suoi riferimenti a Tolstoj. Dopo la tragedia della Grande guerra, di fronte al fallimento della Società delle nazioni nel contrastare il nazionalismo aggressivo e nella mancata volontà di affrontare il problema della fame nel mondo, ad avvicinare Jane Addams più che mai a Tolstoj fu l’idea della vergogna e del pentimento come necessari preludi di un rinnovamento spirituale che avrebbero dovuto attraversare anche il movimento per la pace affinché si potesse costruire un nuovo ordine mondiale. Il capitolo è corredato da uno scritto del 1927, Un libro che ha cambiato la mia vita, una introduzione alla nuova edizione in lingua inglese dell’opera di Tolstoj Che fare? in cui Addams ricorda l’influenza che l’opera ebbe su riformatori e riformatrici americane.

Gli anni della Grande guerra furono un momento di svolta per il pacifismo e per la diffusione e l’influenza di Tolstoj. È questo il tema del capitolo che chiude il volume, Il padre di un nuovo movimento. Tolstoj e la radicalizzazione del pacifismo (1914-1928). Sulla base di diari, memorie, opuscoli, opere poetiche e letterarie, articoli pubblicati nelle riviste pacifiste sorte in Svizzera con la collaborazione di Romain Rolland – colui che si sentì l’erede dello scrittore russo – il saggio coglie l’atto di nascita di un nuovo movimento, più radicale di quello d’anteguerra che, ispirandosi gli scritti di Tolstoj, fece del rifiuto alla partecipazione a qualsiasi guerra il cardine del suo programma. L’obiezione di coscienza, a lungo percepita come un problema di tolleranza religiosa, divenne un aspetto cruciale dei diritti civili.

Rileggendo i saggi dedicati allo scrittore russo ho rivolto tante volte un pensiero grato a Emilia Magnanini e Antonella Salomoni per la condivisione di idee e riflessioni sul pensiero tolstoiano nel corso della elaborazione del volume Culture della disobbedienza. Tolstoj e i duchobory (2004).

Desidero ringraziare Isabella Adinolfi in ricordo della nostra collaborazione nell’organizzazione del convegno presso l’Università Ca’ Foscari nel centenario della morte di Tolstoj «Fa’ quel che devi, accada quel che può». Arte, pensiero, influenza di Lev Tolstoj.

Un ringraziamento particolare a Emilia Magnanini che delle mie traduzioni degli scritti di Tolstoj dall’inglese ha fatto la revisione sugli originali in lingua russa. Grazie infine agli editori e direttori di riviste che hanno autorizzato la ripubblicazione dei saggi.


Note

1 Lev Tolstoj, Ricredetevi! (1904), in Tolstoj, Perché la gente si droga? E altri saggi su società, politica, religione, a cura di Igor Sibaldi, Mondadori, Milano 1988, p. 439. Lo scritto è stato ripubblicato di recente dalle Edizioni Gruppo Abele, Torino 2022.

2 Chris Wilkinson, Echoes of the Past – Ukraine & The Russo-Japanese War (The Russian Invasion of Ukraine #21).

3 Ani Kokobobo, How Should Dostoevski and Tolstoy Be Read during Russia’s War against Ukraine?, «The Conversation», il 6 aprile 2022.

4 Alexandre Christoyannopoulos, Ukraine: Nonviolent Resistance is a Brave and often Effective Response to Aggression «The Conversation».

5 Macieij Bartowski-Alina Polyakova, To Kill or not to Kill: Ukranians Opt for Nonviolent Civil Resistance, 12 ottobre 2015. Bartowski ha riproposto l’analisi dei risultati dell’inchiesta in un secondo articolo apparso il 27 dicembre 2021, poche settimane prima dell’invasione russa dell’Ucraina: Ukranians vs. Putin: Potentials for Nonviolent Civilian-based Defense.

6 Rimando all’articolo per i numerosi grafici che lo corredano.

7 Dichiarazione del movimento pacifista ucraino contro la perpetuazione della guerra, 27 aprile 2022.

8 L’obiezione di coscienza nella guerra in Ucraina. L’imperativo morale: non uccidere, «Azione nonviolenta», 59, 2002, 652, p. 42.

9 Dichiarazione del movimento pacifista, cit.

10 Twitter

11 Tolstoj, You Shall not Kill, The Complete Works of Count Tolstoy, translated by Leo Weiner and Aylmer Maude, vol. 12, Univesrity of California, Los Angeles 1904, p. 170.

12 I resoconti appaiono nel sito di OVD: Акции в поддержку народа Украины и против войны, e la versione inglese, Russian Protest against the War with Ukraine. A Chronicle of Events (ultima consultazione: 1 settembre 2022). Il sito in lingua russa è aggiornato quotidianamente, quello in lingua inglese, settimanalmente. Come riferimento agli episodi di protesta ho indicato giorno e luogo.

13 Cito dalla traduzione italiana recentemente ripubblicata da Gruppo Abele Edizioni, Torino 2022, p. 25.

L’articolo originale può essere letto qui