E’ stato recentemente pubblicato il report Pharma’s Pandemic Profits  pubblicato da SOMO, gruppo di ricerca olandese indipendente specializzato nell’analisi critica e fattuale delle multinazionali.

Nel report sono analizzati i profitti delle maggiori aziende farmaceutiche durante la pandemia di COVID-19. Secondo i dati raccolti, tra il 2019 e il 2020, le 10 maggiori aziende farmaceutiche hanno visto un aumento medio del 26% dei loro profitti, per un totale di 89 miliardi di dollari.

Il merito principale del report è, da una parte, aver raccolto ed analizzato i dati esistenti e, dall’altra, di aver stimato, con una metodologia chiara e solida, i dati mancanti, quelli nascosti tra le righe dei bilanci.

In questo e nel successivo post, partendo da questo dettagliato e prezioso lavoro, cerchiamo di fare un passo in più e rispondere a due domande:

  1. qual è la strategia di prezzo adottata dalle imprese che ha permesso di ottenere i profitti registrati?
  2. come questi profitti sono stati e sono utilizzati?

Dal punto di vista della società, il giudizio  sull’operato delle imprese farmaceutiche infatti non può prescindere dalle risposte che siamo in grado di formulare a queste due domande.

La strategia di prezzo: fuori i secondi

Fin dall’inizio diverse imprese impegnate nelle produzione di un vaccino hanno proclamato che “non avrebbero fatto profitti durante la pandemia” (AstraZeneca e Johnson&Johnson) e che avrebbero assicurato “un accesso equo e giusto a tutti” (Pfizer/BioNTech e Moderna). E stato davvero così? La domanda rischia di essere ingenua, ma vale la pena capire quello che è successo.

Qual è il costo di produzione di ogni vaccino commercializzato? La poca trasparenza delle imprese coinvolte non permette di rispondere direttamente a questa domanda, ma alcuni ricercatori hanno provato a darne una stima.

Per semplificare, il costo di produzione ha due componenti: un costo fisso, ad esempio un macchinario, ed un costo variabile, per esempio delle materie prime o il salario del personale coinvolto. Data la quantità prodotta è possibile definire il costo medio. Maggiore la quantità prodotta, minore sarà il costo perché la componente fissa si ripartisce su una quantità di prodotti maggiore. La differenza tra prezzo e costo medio rappresenta l’utile (profitto) lordo per prodotto.

Il costo medio per 100 milioni di dosi prodotte in un anno è stato stimato essere inferiore ad un dollaro se la produzione è svolta in un paese industrializzato:

costo fisso ripartito per dose 20 centesimi
costo del personale qualificato 18 centesimi
materie prime 30 centesimi
costi di preparazione del prodotto finale, quale il dosaggio in fiale e confezione 30 centesimi
totale 0,98 dollari

 

Questo valore è da considerarsi una stima per eccesso perché se la produzione fosse svolta in un paese non industrializzato, i costi sarebbero più contenuti, circa 58 centesimi in totale secondo l’articolo citato.

Nell’ottica dell’impresa, il profitto lordo, ovvero la differenza tra prezzo e costo medio moltiplicata per il numero di vaccini venduti, deve anche permettere di ripagare gli investimenti a monte della produzione quali, per esempio, le spese in ricerca in sviluppo.

Il report di SOMO argomenta, così come un recente studio commissionato dalla Commissione Europea, che il costo relativo alla ricerca e sviluppo del vaccino sono stati già pagati dal sistema pubblico. Sia per quanto riguarda la ricerca scientifica alla base per esempio di vaccini mRNA che è stata svolta in università e finanziata da progetti pubblici, ma anche per la fase di sviluppo finanziata di fatto dai diversi governi sotto forma di aiuti e sussidi versati durante la pandemia. Possiamo quindi concludere che quanto speso in ricerca e sviluppo non dovrebbe rientrare, neanche indirettamente, nella determinazione del prezzo.

Il costo medio di produzione stimato, circa 1 dollaro come abbiamo visto, non dovrebbe quindi essere inferiore di molto al “prezzo di costo” a cui avrebbero dovuto vendere il vaccino per non fare profitti, come da loro stessi proclamato.

La tabella seguente (tabella 6 del report), mostra i prezzi di Pfizer/BioNTech e Moderna, che come si vede sono ben lontani dal prezzo di costo.

Non riportati in tabella, ma solo nel testo del report, sono i prezzi per il vaccino di AstraZeneca tra 2,2  a 6 dollari e di quello di Johnson&Johnson tra 8.5 e 10 dollari.

La tabella mostra due fatti assai interessanti che mostrano l’aggressività della strategia di prezzo di Pfizer/BioNTech e Moderna finalizzata a fare il massimo dei profitti possibile:

  1. i prezzi sono diversi per acquirente;
  2. i prezzi (così come le quantità prodotte) aumentano nel corso del tempo. 

Prezzi diversi per Paesi diversi

Il prezzo dei vaccini di Moderna, venduto negli Stati Uniti, è inferiore a quello praticato in Europa a causa degli accordi fatti in fase di sviluppo, che l’amministrazione Biden ha finanziato ampiamente ottenendo così un “prezzo di favore”.

Pfizer/BioNTech ha spinto la strategia di differenziazione dei prezzi agli estremi, definendo un listino di prezzi per categoria di paesi: un prezzo intorno ai 20 dollari per quelli ricchi; circa la metà per quello a reddito medio, per esempio 10 per Brasile e Sudafrica; ed infine a loro dire “al prezzo di costo” per quelli più poveri, anche se il prezzo stipulato per esempio per l’Unione Africana è stato di 6,7 dollari , cioè quasi 7 volte il costo medio stimato.

Due osservazioni sulla strategia adottata di differenziazione dei prezzi. Primo, una simile strategia è perseguibile solo se un’impresa ha una posizione dominante sul mercato, altrimenti non funziona. Secondo, in principio la differenziazione dei prezzi puo’ rappresentare un vantaggio per i paesi più poveri: il prezzo per loro sarebbe altrimenti più alto. Questo è però vero solo se la produzione non è limitata, per esempio, da vincoli tecnologici. Se così è, succede quello che è successo: chi paga di più è servito per primo e gli altri, se va bene, sono serviti tardivamente oppure, se va male, non sono proprio serviti. In questo il report realizzato da SOMO è estremamente chiaro, come mostra il seguente grafico che riporta i vaccini somministrati ogni 100 abitanti per gruppo di paesi secondo il loro livello di reddito medio. E’ chiaro che seguendo simili strategie di prezzo e dato il vincolo produttivo,  i paesi più poveri hanno avuto enormi difficoltà di accesso ai vaccini in quanto serviti per ultimi.

I prezzi aumentano… ed aumenteranno

La tabella mostra come i prezzi sono aumentati. Ci saremmo potuti aspettare prezzi decrescenti, visto la produzione sempre più importante, come riportato dalla tabella 6, e la conseguente riduzione del costo medio, ma non è stato così. La possibile spiegazione di tali aumenti potrebbe essere legata all’aumento dei costi variabili, ad esempio quello delle materie prime, ma non sembra neanche questa la spiegazione.

I prezzi di Pfizer/BioNTech aumentano semplicemente perché diminuiscono i concorrenti! La teoria economica è chiara, in una situazione in cui ci sono poche imprese e la produzione è comunque limitata dal punta di vista tecnico, se diminuiscono i concorrenti il prezzo aumenta ed è quello che è successo: a inizio 2021 i vaccini AstraZeneca sono percepiti, a torto o a ragione non interessa, meno sicuri. Nei paesi industrializzati i cittadini preferiscono evitarli, ed i prezzi degli altri vaccini aumentano, come argomentato in questo articolo pubblicato su The Guardian.

Ma non è finita. Moderna e Pfizer/BioNTech, in questi giorni affermano la necessità di aumentare i prezzi, portandoli a più di 100 dollari perché una dose sarà sufficiente e perché, a loro detta, i costi di produzione sono aumentati. La spiegazione ovviamente non è questa: la vaccinazione di massa non è più di attualità ma solo i più vulnerabili ne avranno bisogno. Se ne hanno bisogno davvero saranno disponibili a pagare di più e dovranno pagare di più. Parafrasando altri: è Big Pharma, bellezza!

Lorenzo Cassi e Frank Zappa

L’articolo originale può essere letto qui