Definizioni e prospettive

Se con decolonizzazione intendiamo quel processo, avvenuto dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, che portò alla graduale conquista dell’indipendenza dei paesi dell’Asia e dell’Africa dal giogo politico ed economico degli imperi coloniali europei, con decolonizzazione del pensiero descriviamo il processo di cambiamento culturale effettuato dalle persone che, nate in Paesi che storicamente sono stati colonizzatori, comprendono come questo fatto storico sia fondato su una serie di binomi – superiorità/inferiorità, privilegio/sofferenza, violenza/morte – colonne di una visione predatoria verso l’altro oltre il noi.

La tematica della decolonizzazione del pensiero è già entrata in modo diretto nel bagaglio culturale della permacultura ed è una strada da continuare a percorrere, arricchendone il significato, alimentando la discussione, avendo la capacità di scorgere tracce che ci indichino come l’applicazione del pensiero etico di questa giovane disciplina umanistico-scientifica, sia a pieno titolo un’espressione decolonizzante.

Ho letto un post

Questi pensieri, maturati già da tempo, hanno preso maggior corpo a seguito di uno scambio di commenti avvenuto su un social, sotto un post[i] collegato alla tragedia accaduta nelle acque al largo di Crotone, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio, in cui hanno perso la vita 70 esseri umani, di cui 16 bambini o ragazzi.

Il post in oggetto ha attirato la mia attenzione perché in poche righe esprimeva il concetto per cui se l’Unione Europea ha intenzione di salvare le vite di chi migra, delle persone che attraversano il Mediterraneo, su barche che spesso si ribaltano e affondano in balia della furia delle onde,[ii] deve sostituirsi a chi in questo momento gestisce le tratte di esseri umani. Ma, tra «gestisce» e «tratte» era presente anche la parola «illegalmente». Leggere illegalmente mi ha fatto quindi presumere che queste tratte potrebbero essere gestite anche legalmente. Strano.

L’affermazione seguente, chiamando in causa la logica, era che questo porterebbe a un guadagno per tutti, anche dal punto di vista economico. Mi sta sfuggendo qualcosa, evidentemente.

Su richiesta di ulteriore approfondimento, un commento dell’autore ha messo in evidenza il fatto che l’Europa dovrebbe creare, per coloro che intraprendono questi viaggi, un ponte di supporto economicamente e umanitariamente sostenibile. Ad ulteriore specifica ha introdotto l’idea di libero mercato, per cui l’Europa dovrebbe porsi con un servizio migliore degli scafisti. Trasalisco.

Questo è per me un confine di pensiero che non si può attraversare mentre ci sono esseri umani che per attraversare confini fisici muoiono.

Colonizzazione, colonialità e razza

Per avviare un processo di decolonizzazione del pensiero può essere utile andare oltre l’aggiunta del prefisso de- al sostantivo originale e incontrarne un altro, colonialità. La Colonidad, è una teoria sviluppata dal sociologo Anibal Quijiano[iii] che va oltre all’idea di conquista, assoggettamento e sfruttamento, aspetti propri della colonizzazione. La colonialità è più duratura e profonda perché si fonda sulla giustificazione del ruolo dei colonizzatori come organizzatori razionali del mondo e portatori di un ordine superiore.

Quijiano individua nella colonialità il modello di potere eurocentrico:[iv] essa è la colonizzazione dell’immaginario, la repressione culturale, l’annichilimento dei paradigmi espressivi delle società colonizzate.

Uno degli assi fondamentali di questo modello di potere è la divisione in classi per razza, dove sono i tratti fenotipici – l’insieme delle caratteristiche determinate dall’interazione fra la costituzione genetica e l’ambiente – e le proprietà culturali a legittimare la supremazia del dominatore sul dominato.

In questo modo si opera una classificazione sociale universale della popolazione mondiale, dividendola e ordinandola per ranghi.[v]

Nella soluzione «[siamo nel] libero mercato, per cui l’Europa dovrebbe porsi con un servizio migliore degli scafisti» sta tutto ciò che Quijiano descrive: un’Europa post colonialista, che ha perso buona parte del potere economico e che inizia a confrontarsi con migrazioni di ritorno, si nutre ancora del substrato culturale della colonialità. Una presunta superiorità porta a ritenere moralmente accettabile la riduzione dell’uomo a merce, edulcorandola con l’aggettivo sostenibile.

Questa non è sostenibilità, è predazione.

«Nessuno che sia impegnato a pensare la storia e la politica può restare inconsapevole dell’enorme ruolo che la violenza ha sempre svolto nelle questioni umane e a un primo sguardo è piuttosto sorprendente che la violenza sia stata scelta così di rado per un esame particolare. Questo fatto dimostra fino a che punto la violenza e la sua arbitrarietà fossero date per scontate e quindi neglette; nessuno pone in questione o esamina ciò che è ovvio per tutti».[vi]

 

Il sistema etico valoriale della permacultura

Dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso, dopo aver tratteggiato nel decennio precedente il modello della permacultura, Bill Mollison e David Holmgren approfondirono gli aspetti valoriali che lo sostenevano.

La prima direttiva dichiara che «l’unica decisione etica possibile è agire responsabilmente per la nostra vita e per quella dei nostri figli»,[vii]  riproponendo il pensiero elaborato circa un decennio prima da Hans Jonas ne Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica. La responsabilità è nel presente, ma volge lo sguardo al futuro, non permettendo di agire senza valutare e comprendere le conseguenze.

Secondo Jonas – e di conseguenza Mollison – esiste una responsabilità nei confronti dello stesso pianeta Terra che ospita l’uomo, soprattutto in un’età dove vige il primato della tecnica e gli interventi antropizzanti sugli habitat naturali sono impattanti e distruttivi.

Successivamente è introdotto il principio di cooperazione, inteso come fondamento dei sistemi vitali esistenti e della sopravvivenza futura. L’elaborazione parte da quella che fu definita Ipotesi Gaia, elaborata da James Lovelock e Lynn Margulis.

Infine, l’etica della cura qualifica la permacultura chiedendo di riconoscere l’esistente, oltrepassare il sostenibile e di dedicarsi alla rigenerazione.

Cura della terra

La prima declinazione dell’etica della cura, riguarda la Terra.

Bill Mollison propone di utilizzare lo stretto necessario, di conservare l’esistente ed esorta a rendere conto delle proprie azioni.

Dal punto di vista ambientale, il colonialismo ha dato inizio a una delle devastazioni più grandi che l’uomo abbia mai creato: le piantagioni di monocultura. La canna da zucchero è un esempio che affonda le radici già nel 1400, quando i portoghesi la impiantarono prima nell’isola di Madera e poi nelle altre isole, loro colonie, fin sulle coste dell’Africa occidentale. Lo zucchero, usato inizialmente per le preparazioni galeniche, era molto prezioso e redditizio. Il sistema delle piantagioni, esteso al Sud America e all’area caraibica, permise lo sfruttamento di nuove terre e la canna da zucchero divenne una delle coltivazioni principali, cosa che ancora permane.[viii]

Lo sfruttamento delle risorse naturali dei paesi soggiogati, ha portato e porta ancora di più oggi alla disastrosa perdita di biodiversità e alla vulnerabilità degli ecosistemi stessi, naturali e sociali. I cambiamenti climatici, conseguenza di una serie di azioni antropiche tra cui la deforestazione selvaggia operata in paesi ex colonie europee, sconvolgono economie fragili e le persone, per mettere al sicuro la propria vita, si spostano.[ix]

Entro il 2050 almeno 216 milioni di persone saranno costrette a migrare a causa di effetti e conseguenze del cambiamento climatico. Il numero più alto di queste moderne migrazioni di massa, interesserà – e già sta avvenendo – l’Africa sub-sahariana: 86 milioni di persone in fuga, il 4,2% della popolazione totale.[x]

Cura delle persone

La seconda accezione di cura è quella per le persone, intesa come cura della specie, una sorta di estensione del costrutto di famiglia.

Come potrebbe mai coesistere questo pensiero con l’espressione violenta del percepire altri esseri umani come merce da trasportare? Perché nelle situazioni di tratta, le persone migranti sono deumanizzate e derubricate a un mezzo per soddisfare un tornaconto economico, come se fosse applicata una deregulation complessiva che non riconosce più la dignità dell’esistenza.

Cura delle persone è cura della/e comunità a differenza del libero mercato che è competizione. Una comunità non si può fondare sulla competizione, semplicemente perché sarebbe la sua fine per deflagrazione o annichilimento.

Possiamo quindi tenere insieme umanità e libero mercato? Al momento parrebbe di no e quindi risulta necessario schierarsi, da l’una o dall’altra parte, con chi è oppresso o con l’oppressore.

Terza etica della cura

La terza etica, che nel tempo si sta definendo come cura del futuro, è sempre stata la più sfaccettata.

Entrambi gli autori portano la necessità dell’idea di limite, declinata in termini di consumi e di diminuzione della popolazione.

Stabilito l’abbastanza, di conseguenza, è indispensabile operare una ridistribuzione del surplus di risorse per aiutare la terra e le persone che si trovano al di là del nostro immediato cerchio di potere e responsabilità, in situazioni di svantaggio ecologico e sociale.

Risulta evidente la correlazione che esiste tra lo sfruttamento dei paesi colonizzatori e la predazione subita dai colonizzati, i privilegi instaurati dai primi e la violenza subita dai secondi e di conseguenza è altrettanto chiaro verso chi occorre operare in termini di riparazione e cura.

Conclusione

David Holmgren fa una premessa fondamentale, quando parla di cura delle persone.

«Solo dopo aver capito le gigantesche disuguaglianze strutturali che esistono tra nazioni ricche e povere, tra comunità urbane e rurali, tra risorse umane e risorse naturali, sarà possibile vedere in una diversa luce il fatto di provvedere prima di tutto ai propri bisogni».[xi]

Il modello economico imperante è quello del libero mercato globale.

Non si tratta certo di pensare di scagliarsi, come una contemporanea Light Brigade,[xii] in una carica suicida contro le ridotte armate di questo sistema, immolandosi, ma di assumersi la responsabilità individuale e collettiva di costruire un nuovo linguaggio, che voglia appartenere al presente e al futuro con piena dignità.

 

[i] Alla data del 3 marzo 2023, il post è pubblicato su un noto social network, con privacy pubblica.

[ii] Sono più di 26.000, in dieci anni, i migranti partiti dall’Africa e dall’Asia col sogno di raggiungere l’Europa, ma annegati durante la traversata del Mediterraneo, prima di toccare terra. Fonte: Il Sole 24 Ore, «Migranti, cimitero Mediterraneo: 26mila morti in dieci anni».

[iii] Aníbal Quijano (1928-2018) è stato un sociologo peruviano che si è occupato di teorie della dipendenza e di imperialismo, sviluppando ricerche originali sulla cultura e identità latinoamericane. Dal suo punto di vista, l’eurocentrismo è un aspetto fondamentale, ma a noi interessa soprattutto per aver proposto la categoria di «colonialità del potere» come chiave di lettura della modernità e del sistema mondo.

[iv] Dal 1415, con l’occupazione di Ceuta, inizia l’ascesa dell’impero portoghese, seguita da quella di molti stati europei: Spagna, Olanda, Inghilterra, Francia, Belgio, Germania, Italia…

[v] Quijano, Aníbal. Colonialidad del poder, eurocentrismo y América Latina, in Cuestiones y horizontes: de la dependencia histórico-estructural a la colonialidad/descolonialidad del poder. Buenos Aires: Consejo Latinoamericano de Ciencias Sociales (CLACSO), 2014.

[vi] Arendt Hannah. Sulla violenza, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1971, pp. 15-16

[vii] Bill Mollison. Permacultura. Manuale di progettazione, Mediperlab, Bari, 2020, p.1 (edizione originale: Permaculture: A Designers’ Manual, Tagari Publications, AU, 1988).

[viii] Nel mondo la coltivazione di canna da zucchero produce 1869 milioni di tonnellate/anno di prodotto, su una superficie di 26,467 milioni di ettari. È come se circa il 110% del Regno Unito di Gran Bretagna fosse completamente ricoperto di canna da zucchero. Fonte: faostat (2022). «Crops and livestock products».

[ix] I risultati combinati dei due Rapporti Growndshell (2018 e 2021) forniscono, per la prima volta, un quadro globale della potenziale portata della migrazione climatica interna riguardante sei macroregioni. I cambiamenti climatici a lenta insorgenza influenzano le dinamiche della popolazione e i contesti di sviluppo modellano tendenze della mobilità. In https://openknowledge.worldbank.org/handle/10986/36248.

[x] Antonella Sinopoli. 216 milioni di migranti climatici entro il 2050, 17/09/2021.

[xi] David Holmgren. Permacultura. Come progettare e realizzare modi di vivere sostenibili e integrati con la natura. Arianna Editrice, Bologna, 2011, p. 37 (edizione originale: Permaculture. Principles & Pathways Beyond Sustainability, Holmgren Design Services, AU, 2002).

[xii] La Carica della Brigata leggera è un fatto accaduto il 25 ottobre 1854 nella pianura di Balaklava, nei pressi di Sebastopoli, durante la Guerra di Crimea. Per una serie di combinazioni interdipendenti tra loro – l’odio tra gli ufficiali al comando, l’orgoglio di ciascuno, l’errata interpretazione degli ordini e il cieco senso del dovere – la Brigata Leggera inglese si lanciò alla carica frontalmente, contro una serie di batterie di cannoni russe. Fu, ovviamente, un massacro.