Dai gilets gialli alla grande mobilitazione contro il capitalismo neoliberista
La portata delle manifestazioni provocate dallo scellerato progetto di riforma delle pensioni che Macron vuole imporre a tutti i costi, ha assunto la valenza di una generalizzata rivolta operaia e popolare che di fatto è in continuità con quella dei gilet gialli e prende i connotati di una vera e propria rivolta contro capitalismo liberista incarnato dal regime Macron.
Da decenni non si vedeva una convergenza così ampia e così solida di tutti i sindacati e di tutta la sinistra compresi i più moderati; ma anche la forte mobilitazione dei giovani e di tutte le componenti dell’arco intersezionalista (antifascisti, antirazzisti, antisessisti. LGBT ecc.). Si è creato di fatto un fronte comune di rifiuto di questo regime non solo nelle grandi città ma anche nei piccoli comuni. Siamo davanti a un fatto politico totale che entra a pieno nella storia del movimento operaio e popolare francese dalla rivoluzione del 1789, alla Comune di Parigi sino al Fronte Popolare e alla Resistenza contro il nazismo e i collaborazionisti. Non è infatti casuale il nesso fra questa lotta per difendere pensioni giuste con le grandi conquiste operaie e popolari quali ad esempio quella dei congés payés (ferie pagate istituite nel 1936 dal Fronte Popolare che aveva suggellato appunto l’unità di tutti i sindacati e di tutta la sinistra). E’ importante ricordare che quella conquista corrispondeva alla consapevolezza del diritto al “tempo libero”, al tempo per il riposo e quindi a non vivere solo per lavorare, consumare e morire di malattie (la statistica dell’INSEE -l’Istat francese- mostra in modo inequivocabile che la durata della vita per i lavoratori è nettamente inferiore a quella dei quadri (di almeno 6 anni): “La speranza di vita accresce le diseguaglianze sociali”.
La rivolta di oggi si è generalizzata perché è un fatto politico totale nel senso che riunisce tutte le ragioni dell’opposizione degli interessi dei lavoratori, sia dei settori privati sia di quelli pubblici, e di tutte le categorie socio-professionali contro i datori di lavoro e contro le autorità politiche e dello Stato. Lo sviluppo del capitalismo liberista di questi ultimi 40 anni ha peggiorato le condizioni di lavoro e di vita, e anche i giovani sanno che la prospettiva di una vita da precari e malpagati è senza futuro, conduce a una vecchiaia da homeless con pensioni di fame o addirittura senza alcuna pensione.
Ecco perché la rivolta francese contro la riforma delle pensioni assume una valenza che è di netto antagonismo al capitalismo liberista. Ma essa è maturata in un contesto sociale che per certi versi è meno devastato dalla destrutturazione economica, sociale, culturale e politica che si è compiuta negli ultimi 40 anni in Italia. In Francia le economie sommerse hanno molto meno peso che in Italia (dove sono oltre il 32% del PIL mentre in Francia sono circa 15%); le grandi e medie unità produttive esistono ancora e sono diffuse in tutto il paese e il subappalto è meno diffuso che in Italia; la consapevolezza dei diritti è radicata anche in una buona memoria storica – il salario minimo garantito (SMIG) è sempre esistito così come l’indennità di disoccupazione vincolata a questo.
In altre parole, in Francia l’aggregazione nelle lotte è possibile nonostante storicamente il tasso di sindacalizzazione sia stato più debole che in Italia. Inoltre, nonostante le difficoltà e il suo recente sviluppo, la rappresentazione politica di sinistra in Francia è presente (vedi NUPES: Nuova Unione Popolare Ecologista e Sociale che nelle elezioni politiche del 2022 ha avuto circa 30% dei voti sul totale votanti) e ha sostenuto una battaglia parlamentare difficile per impedire il voto della riforma Macron impedendone comunque il voto.
Insomma, al di là delle similitudini date dall’omologazione dei processi di controrivoluzione liberista, le differenze tra Italia e Francia sono evidenti e mostrano in maniera netta la tragica deriva della situazione italiana: fra gli effetti di questa controrivoluzione e la scellerata opera dell’ex-sinistra, l’Italia ha un governo neofascista che si basa solo su circa 27% degli elettori aventi diritto al voto ma non c’è alcuna mobilitazione popolare contro le misure che questo governo sta varando conducendo verso un ulteriore peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita oltre che una sfacciata limitazione dei diritti di Resistenza a questa deriva. E questo governo potrà contare sull’aumento di un astensionismo che conferma l’approdo all’anomia politica liberista e alla post-politica a prescindere da ogni ideologia.