A cento anni (e un giorno) dalla marcia su Roma, la Milano antifascista, antirazzista, meticcia e solidale si è riunita a Palestro per una passeggiata culturale attraverso i luoghi storici del fascismo meneghino. Una Retro-marcia su Roma attraverso uno dei principali teatri dell’avvento del fascismo e della sua violenza.

Il 28 ottobre 1922 le squadracce in camicia nera incombevano su Roma. Mussolini, ben al sicuro lontano dalla Capitale, prometteva a Vittorio Emanuele III, re d’Italia, di impedire l’incursione paramilitare. Il sovrano congedò Facta, il primo ministro in carica, e incaricò il futuro dittatore di formare un nuovo governo.

Un secolo dopo, a formare un nuovo governo è la rappresentante di un partito di chiara ispirazione fascista, Fratelli d’Italia, discendente diretto del Movimento Sociale. La storia, con le debite differenze, si ripete e l’allerta antifascista deve essere massima. Da qui la necessità di ricordare e ripercorrere gli antefatti di quei giorni tristemente destinati a cambiare la storia italiana non solo a Roma, ma anche a Milano, città ricca di luoghi-simbolo dell’ascesa paramilitare e culturale delle camicie nere.

Da Palestro, allora, più di duecento persone si sono mosse attraverso il capoluogo lombardo. Prima tappa, la casa di Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Movimento Futurista, poeta, ma non solo: i manifestanti infatti hanno ricordato come Marinetti sia stato anche uno dei capi del Circolo degli Arditi, braccio armato di guerriglia urbano del fascismo, direttamente legato al Futurismo e protagonista di violenze quali l’assalto alla sede dell’Avanti! il 15 aprile 1919. Davanti alla casa del poeta-guerrafondaio sono stati letti brani della sua produzione, trasudanti bellicosità, spirito violento e aggressività che tanto bene si sposano alla poetica del suo movimento culturale quanto alla matrice paramilitare delle camicie nere.

Proprio la già citata sede dell’Avanti!, o meglio il luogo in cui si ergeva, è stato il secondo passaggio della passeggiata antifascista. Vicino alla colonna in memoria dell’assalto fascista al giornale socialista, raso al suolo, è stata ricordata la tensione di piazza che aveva preceduto l’attacco. Scontri sanguinosi e sparatorie di massa contro i socialisti si erano svolte nel fine settimana precedente il rogo dell’Avanti! e la Milano antifascista, antirazzista, meticcia e solidale ha commemorato Teresa Galli, prima vittima della violenza squadrista.

Ancora gli arditi sono stati i protagonisti della terza fermata della Retro-marcia, che si è fermata in via Cerva, dove aveva sede il cosiddetto primo covo di questo gruppo armato. Come ricordato in un intervento di taglio storico-didattico, questo gruppo armato è stato fondamentale per la costruzione del consenso forzato tra i cittadini che, spaesati dalla violenza di marca socialista vissuta durante il Biennio Rosso, hanno docilmente piegato il capo alle istanze reazionarie ma apparentemente rassicuranti dei fascisti. Fascisti che dal controllo sono passati in fretta alle angherie, imponendo la propria politica con la violenza e garantendosi ampi consensi non sempre spontanei tra le masse urbane.

Successivamente, il corteo si è diretto in via Paolo da Cannobio, dove risiedeva il Popolo d’Italia, il giornale fondato da Mussolini dopo essere uscito dall’Avanti!. Per coincidenze della sorte, lì vicino risiede oggi l’ambasciata libica in Italia e, sempre per gli intrecci della storia, come oggi anche allora il governo Giolitti cedette alla pressione degli industriali, accettando di invadere la Libia. Un fallimento annunciato, che però fu uno degli elementi propagandistici fondamentali del fascismo, che successivamente tornò a ricamare sul presunto destino di potenza coloniale italiano; un destino che i fascisti tentarono di compiere con i massacri etiopi e somali tra 1936 e 1939.

Il Popolo d’Italia fu una delle voci principali della propaganda delle camicie nere prima e durante la loro affermazione politica, e i legami tra il passato ed il presente non permettono di ignorare il ruolo mediatico nella costruzione di un immaginario glorioso che Mussolini perseguirà fino all’ultimo. Non bisogna dimenticare come il capo fascista fu sempre un convinto bellicista: già dalle colonne dell’Avanti!, quindi quando si riteneva socialista, apparteneva all’ala interventista che chiedeva l’ingresso italiano nel carnaio della Prima Guerra Mondiale. Da camicia nera e Capo dello Stato, le cose non cambiarono, viste le politiche autarchiche e di politica militare estera (Africa, la quasi disfatta albanese e il disastro greco) alimentate dall’illusione di poter competere con le forze atlantiste, che intanto si organizzavano in senso anti-reazionario (si pensi alla conferenza di Stresa del ’36).

Il fascismo è nato, insomma, non per caso, ma da un humus militare e culturale preciso. Da una parte, il ritardo coloniale rispetto alle altre potenze europee e lo spaesamento post ’14/’18; dall’altro, la nascita di un movimento culturale forte che tra Futurismo e l’appartenenza ideologica manifestata da filosofi e giornalisti dava continuità sociale ad un movimento che si configurava come ben più di una forza di guerriglia.

Il fascismo, però, è anche caduto. Le illusioni coloniali si sono rivelate nella loro inconsistenza, l’alleato nazista e la liberazione atlantista hanno martoriato un paese incapace di gestire un conflitto come la Seconda Guerra Mondiale, l’ideale stesso di italiano per come era propagandato si è sciolto come neve al sole, arrivando alla guerra civile tra fascisti di Salò e partigiani. La Liberazione, appunto: chiave fondamentale della caduta del regime e prova tangibile che per molte e molti la volontà di Resistenza c’era e attendeva solo una scintilla per accendersi.

La Retro-marcia su Roma si è conclusa in Piazza dei Mercanti, luogo di commemorazione delle partigiane e dei partigiani che hanno dato la vita per un ideale di libertà che sembrava precluso per sempre, ma ha trovato la forza di riaffermarsi nonostante la tragedia bellica e sociale del ventennio.

Un’eredità, quella antifascista, che deve rivivere oggi, perché quelle date storiche non siano ricorrenze, ma occasioni di lotta contro l’oppressione delle persone e la negazione dei diritti e delle libertà.

 

 

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