La   decisione presa dalla Corte Suprema americana lo scorso 24 giugno, attraverso il ribaltamento della storica sentenza Roe v. Wade del 1973, ha come conseguenza, ormai è noto, che  l’aborto non sarà più assicurato a livello federale ma ne verrà valutata la necessità dai singoli Stati membri degli USA.

Inevitabilmente è stata aperta una strada pericolosa che conduce tutti indietro nel tempo vanificando anni di lotte e di sofferenze per l’acquisizione di un diritto non solo delle donne ma di tutta l’umanità. Strada che vorrebbe essere percorsa da forze politiche reazionarie anche in altri Paesi, non ultima l’Italia. La crisi di governo appena iniziata e le elezioni imminenti fanno tremare le vene e i polsi almeno secondo quanto i sondaggi inducono a pensare.

La nostra legge 194 ,per quanto perfettibile in alcuni punti, va dunque custodita come un baluardo di civiltà e difesa da incauti attacchi politici. Nata per depenalizzare l’aborto e toglierlo dalle grinfie della clandestinità, nella prassi quotidiana è posta sotto assedio sempre; il personale sanitario, infatti, nelle strutture pubbliche ospedaliere e nei consultori ricorre con crescente frequenza alla obiezione di coscienza rendendo ,in molti casi, inapplicabile la legge, soprattutto nel meridione: sono ben 31 le strutture sanitarie italiane con il cento per cento di obiettori(24 ospedali e 7 consultori).Quasi 50 strutture raggiungono una percentuale superiore al 90 per cento ed oltre 80 più dell’80 per cento.

Tutti timorati di Dio?

Chiaramente la prassi dell’ obiezione, del tutto legittima (non il suo abuso nei reparti di ostetricia e ginecologia) è uno strumento politico non di rado  ricattatorio. La Costituzione limita la pratica dell’obiezione, la Pubblica Amministrazione ha il dovere , infatti ,di assicurare la continuità del servizio con personale non obiettore… se ci fosse. Il pensiero corre a quella donna padovana rifiutata da 23 ospedali prima di poter praticare l’IVG. A quale coscienza si sono appellati quegli obiettori? Non si dovrebbe denunciare l’ omissione di atti d’ufficio sanzionata dal codice penale (Art.328)?

Ciò che non viene garantito dalla legge, è pure banale dirlo, favorisce la clandestinità. La legge 194 ,statistiche alla mano, non ha fatto aumentare le IVG, anzi è vero il contrario. I dati sono, infatti, in costante diminuzione.

La 194 consente alla donna, è utile ricordarlo, di poter ricorrere alla IVG nei primi 90 giorni di gestazione  sulla base di una sua dichiarazione che attesti una  situazione di pericolo fisico o psichico; tra quarto e quinto mese solo per motivi terapeutici certificati da un medico (anomalie genetiche, malformazioni embrionali o del feto, patologie tumorali o psichiatriche). Nei fatti, quindi, ogni interruzione ,nel nostro paese è “terapeutica” sebbene questo aggettivo sia riferito solo  al secondo trimestre. Prima di procedere all’interruzione, in teoria scegliendo tra due strade, la chirurgia o la RU 486 (nella prassi no la metodologia è imposta) ,vengono concessi sette giorni durante i quali avviare la procedura ed operare una “riflessione imposta” alla donna (art.5 L.194).

La scelta, si sappia, presuppone un travaglio lungo o breve, comunque  difficile specie dal punto di vista psicologico. In molti casi, finito tutto, viene il peggio ed uno Stato degno di questo nome non può lasciare la donna da sola, come solitamente fa, in balia del giudizio, fosse anche solo il proprio, del dolore, della perdita, senza aiutarla gratuitamente a rielaborare quanto accaduto. La donna in sostanza andrebbe accompagnata, soprattutto nel caso in cui non si mostrasse in grado di formulare una richiesta d’aiuto. In questo la legge si scontra con la realtà e probabilmente con le risorse economiche. Ma c’è!

Difendiamola, dunque, con le unghie ed i denti.

 Quanto accaduto negli USA ci serva da monito: un diritto, qualunque esso sia, non deve mai darsi per scontato, va presidiato e preservato; una “distrazione” potrebbe essergli fatale rendendoci meno liberi.

 

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