Il segretario generale dell’Interpol Jurgen Stock ha recentemente dichiarato che l’abnorme quantità di armi che circola in Ucraina sta già diventando oggetto di un traffico criminale e mafioso. “I criminali si stanno concentrando già adesso su queste armi. Anche le armi usate dai militari, le armi pesanti, saranno disponibili sul mercato criminale. I criminali di cui sto parlando operano a livello globale, quindi queste armi verranno scambiate tra i continenti” ha detto Stock senza mezzi termini.

Tutto ciò che è trasportabile diventerà potenziale oggetto di traffico In Europa ed oltre. Non solo fucili e pistole ma varie armi da guerra compresi missili portatili anti-aereo e anti-carro. La notizia non sembra avere scalfito minimamente la fede nel riarmo ucraino di Draghi e di quasi tutto il parlamento. Il fatto che l’Ucraina stia diventando il centro di un traffico internazionale di armi viene definito dalla real politik come un “effetto collaterale”. Ma questo effetto collaterale potrebbe non essere l’unico.

Tra le armi partite dagli arsenali di parecchi Paesi della Nato verso l’Ucraina (e che potremmo ritrovarci nelle nostre strade) ci sono anche i missili anti-carro portatili Milan, di produzione franco-tedesca. I vecchi modelli di questi missili, oggetto dei trasferimenti in questione, hanno un sistema di puntamento che contiene e rilascia torio, un metallo pesante altamente radioattivo. Nei poligoni Nato di Capo Teulada e Quirra, in Sardegna, ne sono stati sparati a migliaia con conseguenze devastanti per ambiente e salute. Proprio al Tribunale di Cagliari, lo scorso 10 giugno, è iniziato il processo per disastro ambientale dell’area di Capo Teulada che vede imputati i generali Valotto, Graziano (già “promosso” alla presidenza di Fincantieri), Errico, Rossi e Santroni.

Risulta che i missili in questione siano stati inviati in Ucraina non solo dalla Francia ma anche dall’Italia. Mentre in Francia Macron lo ha dichiarato ufficialmente, in Italia il governo Draghi segue la linea del segreto di stato. Segreto di pulcinella, per la verità, visto che l’invio di queste armi è già trapelato. Ne renderà conto il presidente del consiglio al parlamento il prossimo 21 giugno? Ed i partiti che a parole si stanno mettendo di traverso sulla questione dell’invio di armi continueranno a fare il doppio gioco o sceglieranno la strada della coerenza?

La solidarietà armata dei paesi Nato verso l’Ucraina si sta rivelando per quello che è in realtà ossia un buon modo per svuotare gli arsenali di armamento vecchio ed in certi casi pure in grado di rilasciare una persistente eredità di morte come già avvenuto in quasi tutti i paesi dove la democrazia (radioattiva e cancerogena) è stata esportata: Iraq, Bosnia, Serbia, Kosovo, Afghanistan, Siria, Libia. Gli stessi Leopard che la Germania ha deciso di inviare “per fare la sua parte” possono sparare le munizioni all’uranio impoverito impiegate dai carri Abrams statunitensi. Non è da escludere ed anzi è molto probabile che tali munizioni arriveranno in Ucraina, comprese nello stratosferico pacchetto da 40 miliardi di dollari che Biden ha recentemente stanziato.

Sul fronte opposto è altrettanto probabile che anche le forze armate russe stiano utilizzando proiettili all’uranio impoverito. Risale a quattro anni fa la decisione del ministero della Difesa russo di modernizzare i suoi carri T80-BV in modo che possano sparare proiettili contenenti il mortifero metallo. Una sorta di adeguamento al “così fan tutti” per altro in un contesto internazionale dove queste armi, a differenza di quelle chimiche, batteriologiche e nucleari, non sono ancora formalmente vietate.

L’Ucraina si sta quindi trasformando nell’ennesimo campo di battaglia dove la guerra, quando finirà, lascerà in “dote” una vera e propria epidemia da uranio impoverito e da altri metalli pesanti radioattivi. Un’epidemia che colpirà negli anni sia i soldati di entrambi fronti che i civili che continueranno a vivere sui territori contaminati.

Esistono precedenti che purtroppo non lasciano ben sperare e che sono di proposito ignorati dai decisori politici e dai vertici militari. Stati Uniti, Regno Unito e Nato, dopo avere disseminato in trent’anni di belligeranza centinaia di tonnellate di uranio impoverito dal medio Oriente ai Balcani, continuano a voltare le spalle sia ai propri stessi soldati ammalatisi o morti per l’esposizione a questo metallo sia alle migliaia di civili che in numero decisamente maggiore seguono la stessa sorte.

Per arrivare alla Serbia bisogna partire dall’Italia. Dal nostro Paese infatti sono decollati i caccia bombardieri della Nato che per tutti gli anni novanta e con migliaia di sortite sulla Bosnia e sulla Jugoslavia hanno disseminato almeno 16 tonnellate di uranio impoverito. Poi l’invio di truppe su quegli stessi territori contaminati per il così detto “peacekeeping”. Tra i militari italiani rientrati dalle missioni nei Balcani e dall’Iraq si contano almeno 400 morti e 8000 gravemente ammalati per l’esposizione al metallo pesante. Grazie alle quasi 300 sentenze vinte dall’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, legale rappresentante delle vittime militari, non solo il Ministero della difesa ha dovuto fare i conti con le proprie responsabilità dirette, ma la correlazione tra gravi forme tumorali ed esposizione all’uranio impoverito è diventata giurisprudenza. Un caso unico in Europa e nel mondo.

Ci sono voluti vent’anni ma poi l’eco di questa inedita battaglia legale ha raggiunto la Serbia dove nel frattempo l’incidenza tumorale nelle aree contaminate è schizzata al 200% con un drastico abbassamento dell’età di insorgenza dei tumori ed un picco di casi tra la popolazione sotto i 50 anni.

Un pool di legali guidati dall’avvocato Srdjan Aleksic’, col supporto determinante di Tartaglia, ha così imbastito le prime cause contro la Nato presso l’Alta corte di Belgrado. Migliaia infatti sono le vittime civili del disastro ambientale scatenato dall’Alleanza.

Dopo oltre un anno dalla presentazione della prima causa la Nato ha fatto sapere che non intende rispondere in tribunale per le sue responsabilità rivendicando una presunta immunità ed il fatto che tra l’Alleanza e la Serbia esiste un accordo in tal senso in vigore dal 2005.

In una lettera trasmessa all’Alta corte di Belgrado, che l’avvocato Tartaglia ci ha fornito, la Nato dichiara che “non parteciperà ai processi e si aspetta che lo status, i privilegi e le immunità di cui gode l’Organizzazione siano pienamente accettati dalle autorità serbe inclusi i tribunali. La Nato si aspetta che il governo serbo prenda tutte le misure necessarie per riconoscere e rendere effettivo lo status goduto dall’Organizzazione presso l’Alta Corte di Belgrado…”

Ma gli avvocati che rappresentano le vittime non ci stanno: “Abbiamo risposto per le rime alle pretese della Nato” ci riferisce Tartaglia “In primo luogo l’accordo del 2005 col governo serbo a cui si fa riferimento è successivo ai fatti contestati e comunque riguarda l’immunità per il personale operante sul territorio serbo. Inoltre” prosegue l’avvocato “ci pare irricevibile il fatto che la Nato chieda l’immunità per una serie documentata di crimini di guerra. Ci pare inoltre segno di grande arroganza il fatto che la Nato pretenda dal governo un intervento presso il tribunale per insabbiare tutto. Noi andiamo avanti, qui si gioca la cultura giuridica europea…”

Una cosa è certa: la giurisprudenza sull’uranio impoverito costruita in Italia e le cause legali in Serbia sono già diventate un pezzo imprescindibile delle lotte per inchiodare la Nato alle sue conclamate responsabilità di guerra e della più generale battaglia per mettere definitivamente al bando l’uso di queste armi. Ucraina compresa.

Gregorio Piccin

articolo originale nel numero in edicola di Left